L’insostenibile leggerezza della nostra identità

Antonio Gallo
10 min readJun 28, 2022

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Il Libro

Per una strana coincidenza mi sono trovato a leggere questo interessante saggio di Paolo Guidone sul fenomeno dell’identitarismo italiano insieme ad un libro di tutt’altra “identità”, è il caso di dire. Perchè proprio di questo si tratta, “identità” intesa come riconoscimento e consapevolezza di chi ha a cuore il proprio destino di essere umano.

Il destino, o la identità, di una bambina di sei anni che emigra con la sua famiglia dalla Valle del Sarno. Diventa una delle più note scienziate nel campo della epidemiologia e della genetica nel suo nuovo Paese, senza mai dimenticare le sue origini.

La sua storia si incrocia con questo saggio scritto da un giovane studioso, della stessa Valle, che va alla ricerca non solo della sua, ma della identità di tutta questa comunità, antica di secoli, alla quale anche lui, come chi scrive, appartiene.

Un invito a nozze per me che ho imparato a leggere e scrivere con i caratteri mobili in una tipografia post gutenberghiana, proprio in questa secolare Valle del Sarno nella quale, per dirla con De Saussure, “tout se tient” e dà vita ad una realtà fatta di molteplici, impreviste ed imprevedibili identità.

Forse non mi troverò d’accordo con quello che scrive e pensa Paolo, preferendo una scelta per me più consona e gradevole, quella “ecologica interiore”.

Ma quello che penso io, conta poco o nulla. L’importante è sapere che l’identità di un essere umano consiste nella coerenza tra ciò che fa e ciò che pensa. Sempre questione di identità sarà.

Paolo Guidone è un amante di lingue semitiche e dei fenomeni sociali. Laureato in Giurisprudenza e innamorato di Geopolitica è specializzato in diplomazia culturale, sistemi finanziari e sicurezza. E’ docente a contratto in C.I. di Relazioni Internazionali, Teoria dei Trattati, Storia dei Mercati Valutari. Ama la Vita, lo Sport e la Ricerca. Ha scritto: “Alla Ricerca dell’Immortalità: Racconti e Tradizioni della mia Terra, la Valle del Sarno” testo donato al suo comune. Per le edizioni de “Il Comunitarista” ha pubblicato questo prezioso saggio che ho letto in versione Kindle. (Il Talebano) Lui scrive: “In quella stessa Campania Felix romana dove il contadino sarnese dimostra come il concetto di piccola Patria non è mero sinonimo di autonomismo o populismo bensì mostra e dimostra qualcosa di più eterno l’Italia profonda, dei Popoli dal grande passato che lotta per sopravvivere alla fine della storia”.

A sua volta, la scienziata Immaculata De Vivo nel suo libro Ecologia Interiore, scritto a quattro mani con Daniel Lumera scrive: “Mia madre era una donna del Sud cresciuta in un ambiente fatto di abitudini sane, prive di eccessi, legato ad uno stile di vita semplice e molto tradizionale. Quando ci siamo trasferiti negli Stati Uniti, quel modo di vivere è emigrato con noi e ha continuato a segnare la quotidianità della nostra famiglia senza essere in alcun modo intaccato in usanze del posto in cui eravamo arrivati. La nostra casa era a New York ma quando varcavi la soglia tornavi di nuovo a Sarno, nella stessa dimensione genuina, da vita di campagna, dalla quale provenivamo”.

Una questione, quindi, di una vera, concreta e necessaria analisi di quel fenomeno di identità che viene chiamato “identitarismo”, a sua volta connesso al “destino” sia di una comunità che del singolo appartenente. Il saggio di Paolo Guidone si articola in undici interventi preceduti da una breve introduzione ed una emblematica, romantica chiusura in forma di “racconto” dedicata alla “coscienza del contadino”.

Nella Introduzione il giovane e brillante studioso sarnese scrive che intende parlare della identità come “lo strumento necessario a non morire, vittime poco consapevoli di un mondialismo castrante”. Di fronte ad un Dio quanto mai “enigmistico” non siamo altro che “uno sciame di formiche impazzite ad una riunione di formiche impazzite ad una riunione di condominio di Giganti”. I capitoli successivi sono molto ricchi di riferimenti locali e globali, argomentazioni sostenibili e riconoscibili sia da un punto di vista storico che politico e letterario.

Lascio al lettore il piacere di questa lettura, confrontandosi con idee e proposte passate sul palcoscenico della storia, per mano di politici, filosofi, economisti ed esperti di ogni tipo ai quali non è mai mancata, nella storia del pensiero locale, nazionale e globale la possibilità di dire la loro, ignorando sempre, volutamente o inconsciamente, quella che il grande Fiorentino chiamava senza infingimenti la “realtà effettuale”.

Ieri come oggi, come sempre, una realtà che non si può ignorare. Se lo si fa, prima o poi bisogna aspettarsi che essa abbia la meglio, travolgendo chi l’ha ignorata. Pertanto, se la realtà è quella abbiamo sotto gli occhi, giorno dopo giorno, o quella che leggiamo nei libri di storia, occorre avanzare qualche proposta, affinché il tutto non si risolva nella solita critica o in un diluvio verbale, privo di qualsivoglia proposta alternativa.

Gli uomini, le collettività e le società non possono fare a meno di ritrovare un principio di identità: un coagulo individuale e collettivo, saldamente pensato e vissuto. Certo, è più facile a dirsi che a farsi. Eppure è una via obbligata. Si tratta di ricostituire, dal nulla, una comunità che, pur tenendo conto delle esigenze imprescindibili della vita moderna e delle conquiste tecnologiche, sia in grado di ricostituire quelle basi motivazionali e identitarie su cui si fondava l’antica comunità, quella di prima, per intenderci, quella di quando nessuno si poneva il problema dell’identità. Basta leggere il Vecchio Testamento per rendersene conto.

Quella in cui esisteva un senso della trascendenza espresso dal Sacro, in cui esisteva un interazione uomo-collettività-natura e in cui le “bande politiche” di sempre sapevano di avere un limite espresso dal sistema di valori che professavano e in cui credevano. Credete voi possibile ricreare, magari per mezzo di un qualche artifizio informatico, un ambiente del genere, magari di quello “raccontato” da Paolo nel suo “racconto” in chiusura al suo saggio? Una assurdità oltre che una caricatura.

Si tratta invece di stimolare il sorgere spontaneo di una nuova realtà di vita individuale e sociale che possa favorire il mutamento. Come si fa, a livello individuale, stimolare una crescita culturale, al presente del tutto assente, valorizzare nella liquida e frivola immagine mediatica, la pratica della lettura e della riflessione, incentivando ogni forma possibile di dialogo e di confronto che da essa prenda origine?

Stimolare il rispetto e l’orgoglio per le proprie tradizioni, quelle dell’Occidente, per la propria storia, per la propria specificità culturale e comportamentale, senza enfasi o retorica, ma con serena e pacata convinzione, instillare il senso della dignità unita alla valorizzazione dei doveri dell’uomo, far maturare un atteggiamento di rispetto, disponibilità e di tolleranza nei confronti di chiunque: a qualsiasi etnia, religione o ideologia appartenga?

Che dire poi, dopo la lettura e lo studio del libro citato innanzi e scritto dalla “sarnese” “Immacolata” De Vivo, ripensare, in termini razionali e insieme emotivi, il rapporto con la vita che si esprime nell’empatia con la natura, con il prossimo nei confronti con se stessi? A queste cose si aggiunge, a livello sociale, un’azione altrettanto profonda e incisiva. Si tratta di ristabilire alcuni valori collettivamente fondamentali.

Sono l’onore, la fratellanza, lo spirito di servizio, il senso del bene comune, la condivisione, la carità e il coraggio. Oggi, mi pare, si vive, invece, solo nella retorica ufficiale, ma non nella realtà. Ne è correlato, il cambiamento totale della classe al potere, sostituendo alle attuali mafie politiche persone leali, oneste, indipendenti e dedite alla res publica e non alla res propria: quindi, giuste.

Non dimentichiamo Agostino che, con spirito profetico, ricordava: «Remota itaque iustitia quid sunt regna nisi magna latrocinia? Quia et latrocinia quid sunt nisi parva regna?». — “Se non è rispettata la giustizia, che cosa sono gli Stati se non delle grandi bande di ladri? Perché anche le bande dei briganti che cosa sono se non dei piccoli Stati?”

Sull’onda di questo cambiamento è d’obbligo l’introduzione di nuove e condivise regole di cittadinanza e di sociabilità, che tengano conto delle esigenze di tutti, ma da cui nessuno può derogare. Infine, ma non ultima, la necessità di un effettivo governo europeo che, limitando al minimo, se non esautorando del tutto gli inutili Stati nazionali, promuova forme federali che uniscano gruppi sociali e entità geo-politiche storicamente, geograficamente, linguisticamente e culturalmente affini.

È fuor di discussione che questo governo debba essere un vero governo senza sudditanza servile nel confronti della volontà politico-economica quando la stessa si accoppia al dominio dell’economia: ossia alla predominanza dell’avere sull’essere. Fare tutto questo equivale a ricostituire un tessuto sociale e individuale sfilacciato. Equivale a riproporre una identità che non deve essere esibita ma che esiste. Equivale, altresì, a porre le basi per una vera comunità che s’innesti, non in maniera subalterna, sulle conquiste tecnologiche, facendone un positivo volano per i propri scopi.

Se questo avverrà, se questa comunità del futuro prenderà piede, allora verranno meno, o quanto meno si ridurranno, i disagi del presente. E con una nuova, sentita interiorità ricomparirà anche quel senso della sacralità dell’uomo, del mondo e della vita che oggi è scomparso, ma che continua a vivere nel profondo dell’inconscio dell’uomo e della collettività. D’altronde, il Sacro e l’Identità sono una cosa sola: tutta da riscoprire.

Bisogna ritrovarla, ricrearla in maniera umana, rifondandola anche in maniera digitale, come non è stata mai prima d’ora. Secondo la definizione data dalla psicologia e dalle scienze sociali, in via del tutto generale, l’identità personale consisterebbe nella rappresentazione di un individuo in relazione al contesto sociale in cui sviluppa la sua personalità. Essa è costituita quindi dalle sue esperienze, dai suoi gusti e dalle sue convinzioni soggettive.

L’Identità personale, così definita, rientra anche tra i beni giuridici tutelati dall’ordinamento, che vuole proteggere l’interesse del soggetto ad essere rappresentato nel contesto sociale in cui vive e in cui esprime la sua personalità, come libera determinazione e rappresentazione del proprio io.

In questo senso, quindi, l’ordinamento giuridico riconosce il diritto del singolo a mantenere il controllo sulla rappresentazione che ha di sé agli occhi della società. Da questi concetti si sviluppano, peraltro, le questioni giuridiche relative alla tutela dell’onore, del decoro, della reputazione, nonché del diritto all’immagine.

Tale diritto rientra infatti tra i diritti fondamentali della persona umana ed è stato così definito anche dalla Corte Costituzionale, secondo la quale il diritto all’identità personale consisterebbe nel “diritto ad essere sé stesso, inteso come rispetto dell’immagine di partecipe alla vita associata, con le acquisizioni di idee ed esperienze, con le convinzioni ideologiche, religiose, morali e sociali che differenziano, ed al tempo stesso qualificano, l’individuo“.

Sempre in questo contesto si vanno dunque ad inserire anche le problematiche relative alla tutela della identità digitale, ovvero di quell’insieme di dati ed informazioni immessi sul web e riferibili ad uno specifico soggetto/utente. È chiaro, infatti, che ogni azione compiuta nella realtà di internet fornisce al sistema dei dati che consentono di ricostruire un profilo più o meno dettagliato dell’utente a cui si riferiscono, relativo alla sua personalità, alle sue preferenze ed opinioni personali: in breve, la sua identità personale.

Ne deriva, quindi, che il concetto di identità digitale comprenderebbe, da un lato, la proiezione dell’identità personale di un individuo sul web, dall’altro, l’insieme delle tecniche di identificazione del soggetto che gli consentono di agire nella realtà virtuale tramite strumenti informatici. Ma, allora, se alla identità personale si viene ad affiancare una identità mai vista prima, quella digitale, bisogna pensare che questa nuova realtà impone la creazione di una terza rappresentazione per ogni individuo: il profilo digitale.

Ogni individuo ha un certo grado di controllo sulla rappresentazione pubblica della propria ‘identità personale’, ma non ne ha nessuno sulla rappresentazione della propria ‘identità digitale’, che spesso viene imposta automaticamente. L’imposizione di un’identità digitale avviene mediante ‘profili digitali’, creati automaticamente e basati su dati magari forniti spontaneamente dallo stesso individuo e su algoritmi costruiti da società pubbliche o private, che sfuggono al controllo dell’individuo.

Una, nessuna o centomila identità alla ricerca di quella perduta, o magari mai avuta, solo immaginata, illudendosi di averla avuta. Quella personale me la sono costruita più o meno in maniera consapevole, identificandomi per mia scelta con modelli socio culturali ai quali mi sono riferito in maniera canonica alla mia formazione linguistica cercando di rispondere ai famosi interrogativi “chi-cosa-quando-dove-perchè”.

Nel corso degli ultimi venti/trenta anni, da quando incontrai la realtà dell’ipertesto, ho assunto una identità digitale che mi rappresenta come un individuo, non più persona, ma rappresentazione connessa a qualche specifico interesse, costruita da una quantità sufficiente di dati rilevanti per essere usata, in uno specifico ambito e ai fini del suo utilizzo, come delega dell’individuo.

Da tutto ciò nasce una terza forma di identità, il profilo digitale che è la rappresentazione digitale dell’individuo. Esso è il risultato di processi automatici in cui dati relativi all’individuo vengono prelevati da grandi database e sottoposti a processi inferenziali con lo scopo di individuare caratteristiche personali che aiutino a prendere decisioni che riguardano l’individuo stesso.

La ‘profilazione’ è un processo che impiega algoritmi per trovare correlazioni tra dati riguardanti l’individuo, che possano essere usate per rappresentare un soggetto umano o non umano, individuale o gruppale. Viceversa, dei profili possono essere usati per individuare degli individui come appartenenti ad un gruppo o ad una categoria.

L’individuo non deve essere identificato quando i suoi dati vengono aggiunti al profilo, ma solo riconosciuto (per il momento) , per esempio usando dei cookies. Anche se non c’è una connessione diretta ad uno specifico soggetto, un profilo può essere connesso ad un individuo successivamente alla sua creazione. La connessione avviene quando l’individuo viene riconosciuto come possessore di uno o più attributi appartenenti ad un profilo.

Mi viene in mente a questo punto la vignetta di quella persona la quale, seduta in poltrona, con una scheda tra le mani, si chiede in maniera perplessa: “Cerco me stesso, a volte credo di trovarmi, ma poi scopro che non ero io”. Una immagine ed una situazione ben lontane da quella raccontata da Paolo nel suo primitivo, idilliaco e romantico “racconto” nel finale del suo erudito saggio.

Ma tutto era stato già previsto, anche se in maniera diversa. Qualcuno lo ha scritto magistralmente: “Uno, nessuno e centomila”: “Vitangelo arriva alla conclusione di essere: uno (cioè l’immagine che lui ha di sé stesso), centomila (come le forme che gli vengono attribuite dagli altri) e, in conclusione, nessuno (perché l’idea che lui ha di sé non coincide con nessuno di quelle che gli altri hanno di lui, e non si sa quale sia la più giusta).

La “forma”, purtroppo, la vince sempre sul “contenuto”. Saremo sempre di più costretti a difendere questa nostra davvero “insostenibile leggerezza” di identità.

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Written by Antonio Gallo

Nessuno è stato mai me. Può darsi che io sia il primo. Nobody has been me before. Maybe I’m the first one. Nulla dies sine linea.

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