La “insostenibile” leggerezza del dialetto
I libri sono come le ciliege, una/o tira l’altra/o. Nei giorni scorsi ho preso parte alla presentazione di un libro avvenuta nell’Istituto Comprensivo Statale “Amendola” di Sarno, nella Valle dei Sarrasti. Me ne sono occupato scrivendo un post sul mio blog e poi ho rilanciato l’opera su GoodReads e Librarything, le mie biblioteche digitali. Il lavoro merita di essere conosciuto e diffuso per varie ragioni, la più importante per le opere di bene che l’Associazione “Nuova Officina” si propone con la vendita.
Qualsiasi libro è espressione di una memoria sia personale che sociale. Questo libretto, in particolare, mi ha dato l’occasione di ritornare indietro nella mia memoria personale. Un lungo passo indietro nel tempo, gli anni cinquanta, i miei anni al ginnasio. Il lavoro è una curatela, come si suol dire, opera di un valoroso giovane studioso sarnese, il prof. Vincenzo Salerno, docente universitario. Ha recuperato alcuni scritti di una importante figura intellettuale locale sarnese, passato alla storia come il “professore” anche se laureato non era: Raffaele Salerno.
Una nota, una memoria forse troppo personalizzata la mia. Qualcuno l’avrà letta in maniera “controcorrente”, se non addirittura “provocatoria”. Mi sento di dire così perchè conosco bene i miei amici sarnesi, discendenti degli antici Sarrasti. Mi dispiace se non hanno capito il senso, il significato della forse “insostenibile leggerezza” con la quale ho affrontato il tema e il contesto nel quale ci/si colloca il libro. Solo in apparenza “insostenibile leggerezza” se vista fuori contesto.
Il compianto “prof” Raffaele Salerno, oltre a possedere quelle qualità che tutti gli riconoscevano in vita, merita ancora oggi di essere ricordato anche per un altro suo egregio ed importante lavoro pubblicato dopo una ventina di anni dalla sua prematura scomparsa. Una curatela, anche questa, che vide la luce nel 2004 per gli stessi tipi dell’Editore Buonaiuto. Intendo occuparmene qui per varie ragioni che cercherò di spiegare nella maniera più sintetica possibile.
Ho avuto sempre un rapporto conflittuale con il dialetto, sin dai tempi di quando discutevo con il mio collega e amico di sempre prof. Salvatore D’Angelo. Ho detto prima che i libri sono come le ciliege ed infatti viene fuori un altro libro, questo scritto e pubblicato da Salvatore alla fine dell’anno 1982. Tra le tematiche da lui trattate c’era anche la questione del dialetto.
Per chi ha fatto dell’insegnamento delle lingue, quelle moderne, il suo interesse, sia culturale che professionale, come nel caso sia mio che di Salvatore D’angelo, la cosa assume un aspetto molto particolare. Lui, docente laureato all’I.U.O. in lingua e letteratura francese (gruppo romanzo), io in lingua inglese (gruppo germanico), entrambi eravamo, allora come oggi, a conoscenza di quei problemi che i linguisti chiamano “interferenze linguistiche” riferite principalmente al dialetto.
Io sono sempre stato per la valorizzazione della identità linguistica della lingua madre, scevra di qualsiasi problema dialettale. Lui, da docente di francese, ha sempre sostenuto la valorizzazione del dialetto. Nel suo caso, quello che usavano, e ancora in uso, a Striano, un paese della Valle a poca distanza da Sarno, io docente, unitamente a mia moglie Amelia, entrambi insegnanti di inglese.
Guarda caso, a questo punto entra in scena anche il libro del “prof. Raffaele Salerno” col suo “dizionario del parlare sarnese”. Un mondo di “conflitti” che, da un puro sapore linguistico, diventano culturali, mentali, sociali. Una davvero insostenibile leggerezza diventata pesantezza nella comunicazione. La temibile, pesante ed opprimente presenza poi delle lingue morte che la facevano, e sotto molti aspetti, ancora la fanno da padrone: il latino e il greco.
Il “prof” Raffaele dava prova, ancora una volta, di questa sua naturale, profonda ed apprezzata predisposizione che lo faceva affermare, giustamente, come grande e dotto conoscitore della cultura classica, legata appunto, alla grande classicità del passato dei luoghi nel suo dialetto. Un discorso questo, ne converrete, molto difficile da comprendere da parte di chi veicola la comunicazione umana soltanto in maniera orizzontale e non verticale nel suo decisivo contesto.
Questo è un ritaglio apparso sul quotidiano “Il Giornale” proprio in questi giorni nella pagina dei lettori, gestita da Tony Damascelli. Si discute, appunto, del valore del dialetto. Anzi, io direi, dei dialetti. Perchè di questo si tratta. L’Italia pullula di dialetti. La sua principale caratteristica. A dire il vero non solo italiana, ma di ogni lingua. Tutto vero, bello e indiscutibile. Tutti i dialetti, comunque, rimangono conflittuali, spesso davvero insostenibili, anzi, incomprensibili.
Facevo notare al mio amico e collega Salvatore, un tempo insegnante di francese a Striano, a soli tre km da Sarno, sempre nella Valle dei Sarrasti, dove insegnavo io, inglese, che i nostri alunni, spesso, non si capivano tra di loro. Anche accedendo al dizionario del “prof” Raffaele Salerno non si sarebbero capiti e avrebbero continuato a discutere, non solo sulla pronunzia di una parola ma anche del suo uso e significato. Oggi hanno difficoltà non solo a prununciare, ma anche a capire: “Sine die”…