Alla ricerca del “senso” della vita

Antonio Gallo
4 min readFeb 10, 2023

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La Verità 8 febbraio 2023

Ancora un’altra lettera da me scritta e pubblicata su un quotidiano nazionale. Ho già avuto modo di dire in un precedente post che di lettere ne ho scritte tante nel corso degli anni a riviste, giornali e settimanali di ogni tipo e tendenza, tante da poter farne un libro. Ma questa la ritengo oltre che importante molto personale e coinvolgente. Spiego il perchè prima a me stesso e poi a qualche benevolo eventuale lettore che volesse leggermi.

Se ho deciso di scriverla è perchè mi offre la possibilità di parlare del “senso della vita”, un argomento sul quale è stato scritto e si continua a scrivere molto. Siamo tutti alla ricerca di questo senso, uno dei più grandi e antichi interrogativi che l’uomo si pone da quando nasce. Non esiste una risposta unica o definitiva. Può dipendere da convinzioni personali, credenze religiose o dalle scelte di vita di ciascuno.

Per alcune persone, il senso della vita può essere quello di conoscere se stessi e il mondo intorno, di vivere una vita piena e significativa, di contribuire al bene comune e alla felicità altrui, fino all’idea di cambiare il mondo. Per altre, può essere di raggiungere uno scopo spirituale, di trovare l’amore e di crescere come individuo.

Altre possono considerare il senso della vita come il raggiungimento di un obiettivo prescelto. Il fatto è che la ricerca sul senso si intensifica vivendo. C’è da dire, comunque, che c’è anche gente che vive ma non sa di esistere. Mi ritrovo a scrivere di questo interrogativo ad una certa età, il che ha un particolare valore perchè è la somma delle esperienze che la vita mi ha dato e il senso al quale, sia io che ognuno degli esseri umani con i quali mi sono confrontato, abbiamo cercato di chiarire a noi stessi.

Un processo non sempre facile da comprendere, tanti sono i modi nei quali una vita può essere vissuta. Ma non intendo andare per le lunghe e passo direttamente al senso della lettera pubblicata. Quello che scrive Mario Giordano, giornalista e scrittore, riguarda un episodio di cronaca giudiziaria che ha visto qualcuno decidere la vita di un altra persona, e di un giudice che ha deliberato essere un “valore morale” l’azione esercitata. Quella vita “meritava” l’exit finale perchè non aveva “valore”. Il problema centrale è appunto questo: chi può decidere se una vita “merita” di essere vissuta o meno?

“Il settimo comandamento “non uccidere” significa che non devi uccidere nessuno in qualsiasi circostanza. Si riferisce a una proibizione di uccidere altre persone, ma può anche significare che non si dovrebbe prendere la vita di altri esseri viventi. La Bibbia cita l’uccisione come uno dei sette peccati capitali, e i principi morali delle principali religioni del mondo condannano l’uccisione. In molti paesi, l’omicidio è un reato grave punibile con pene severe.”

Il testo virgolettato è la risposta a questo interrogativo che mi ha dato la Intelligenza Artificiale. Una risposta, a dire il vero, che non ha nulla di artificiale e tutto di umano. Mi tranquillizza l’idea che la IA la pensi ancora come quella umana, nonostante tutto quello che si dice di essa. Non solo di questa, a dire il vero, ma anche della vita di ogni giorno, visto e considerato che “uccidere” accade ogni giorno.

Non lo si fa solo in guerre, (sono oltre 50 le guerre guerreggiate attualmente su questa Terra) ma anche secondo la legge di chi sostiene che la morte può avere un “valore morale”. Ma quand’è che un essere umano può essere considerato privo di “particolare valore morale e sociale”? Se sfogliamo i libri di storia troviamo innumerevoli esempi e situazioni in cui è stata affermata questa, come dire? “necessità”. Vogliamo chiamarla “esigenza sociale” non punibile?

Leggendo quell’articolo scritto da Mario Giordano e la sua risposta alla mia lettera sulla decisione di quel medico di “eliminare” quella vita, anticipandone l’uscita dal mondo, mi sono ricordato di quei pazienti, bambini, giovani, anziani e vecchi, per i quali, oltre mezzo secolo fa, io, giovane e sprovveduto come ero, mi posi il medesimo interrogativo.

Erano pazienti ai quali, in quell’ospedale mentale a nord di Londra dove ero finito per mantenermi a studiare, dovevo dare cura ed assistenza nella loro totale incapacità di comprendere la loro condizione fisica e mentale. Qui è bene andare direttamente al cuore del problema che ruota intorno alle domande: Perché aiutarli a vivere? Perché la maggior parte di quei pazienti avevano un cervello oltre che un fisico imperfettamente sviluppati sin dalla nascita? Perchè continuare a tenerli in vita?

Erano destinati a rimanere in quella condizione per tutta la vita. Non avrebbero potuto mai migliorare sia nel fisico che nella mente. Erano fatalmente destinati a peggiorare. Allora, ieri, come oggi, in quel posto a nord di Londra, come in tante altre realtà ancora oggi. Secondo statistiche recenti, su cento bambini, cinque presentano queste deficienze. Bambini destinati poi a diventare vecchi.

C’è tutta una gamma di variabili sia per quanto riguarda la classificazione dei tipi di patologie che i sistemi d’accertamento del livello mentale, come ad esempio l’intelligenza, il temperamento, la salute fisica, l’ambiente, il lavoro, la scuola e molti altri. Le cause di queste condizioni possono essere diverse: fattori ereditari trasmessi attraverso le cellule sessuali dei genitori; influenze negative esterne traumatiche come ferite o malattie contratte dopo il concepimento; oppure una combinazione di entrambi.

Quello che si intendeva, allora, in psichiatria col termine di “deficienza mentale” lo si intende ancora oggi anche se i termini sono mutati. Chiamatela come volete, questa esistenza da deficienti, cretini, mongoloidi, down, imbecilli, idioti, ritardati, subnormali fisici e mentali resta ancora senza una ragione, senza una risposta alla domanda iniziale.

Che facciamo, li eliminiamo tutti per un “particolare valore morale e sociale”? Noi li curavamo, bambini, giovani, adulti, anziani e vecchi, uomini e donne. Ieri come oggi, ovunque su questo pianeta, la pietà e l’umanitas non possono far scomparire il senso della vita.

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Antonio Gallo
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Written by Antonio Gallo

Nessuno è stato mai me. Può darsi che io sia il primo. Nobody has been me before. Maybe I’m the first one. Nulla dies sine linea.

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