Zibaldone greco. Nessun uomo è un’isola, ma tutti vogliono un’isola …
Le isole greche ricoprono un quinto della superficie del territorio della Grecia, pari a 25.000 km². Il loro numero supera, comprendendo le isolette, gli isolotti minori e gli scogli, le 6.000 unità; di queste solamente 227 sono abitate.
Adesso mi spiego molte cose sul conto dei Greci, del greco e della Grecia. Tante isole, tanti dei, tante regole della loro grammatica. Non me ne ero reso conto. Se me lo avessero fatto capire, ai tempi del ginnasio, la mia vita sarebbe stata certamente diversa.
Non mi piaceva nè il latino nè il greco. Ora ho capito che non mi piacevano quelle due lingue non soltanto perchè non le studiavo, ma anche perchè chi le insegnava non mi faceva capire il contesto.
I conti con il greco antico non li ho mai saldati, anche se in Grecia ci sono stato, ma soltanto in una comoda crociera e su di un paio di isole. Indimenticabile Santorini!
Quello che state leggendo è una sorta di post in forma di zibaldone greco scritto durante una impossibile calura, in occasione dell’acquisto di un libro, donato a mia nipote Chiara, in partenza con la famiglia per un’isola ovviamente greca! Buona lettura e buon viaggio!
“Prima degli uomini nacquero le isole. Sin dalle origini, i Greci immaginarono se stessi come parte di una costellazione di terre circondate dal mare: tante stelle di una medesima galassia. Fu lì che si delineò l’alba della nostra civiltà: diecimila anni fa in quelle terre si cominciava a costruire navi, a modellare idoli di terracotta. Sono luoghi meravigliosi, circondati dal mare forse più bello del mondo, in cui si può percepire, anche da semplici turisti, il respiro degli dèi e degli eroi che li hanno abitati nell’antichità del mito. Questo libro riprende il largo, dopo “In viaggio con gli dei. Guida mitologica della Grecia”, per trovare nuove spiagge in cui sostare e così raccontare al lettore le storie senza tempo degli eroi ma anche dei semplici mortali che hanno reso le isole della Grecia non un semplice punto su una mappa, ma un posto in cui si vuol sempre tornare.”
“Nessun uomo è un’isola, intero per se stesso;
Ogni uomo è un pezzo del continente,
parte della Terra intera ; e se una sola zolla vien portata via
dall’onda del mare, qualcosa all’Europa viene a mancare,
come se un promontorio fosse stato al suo posto,
o la casa di un uomo, di un amico o la tua stessa casa
”
Le nostre famiglie, le nostre comunità e la nostra cultura ci fanno quello che siamo. Una volta diventati quello che siamo, siamo ancora impensabili al di fuori dei nostri gruppi di appartenenza. Su di un’isola deserta formeremmo una associazione per giocare a pallone, se ne troviamo uno. Se una nuova infrastruttura si presenta e ci permette di entrare in contatto con tutti gli altri sul pianeta e ci mette in condizione di inventare nuovi tipi di connessioni, questa sarà una bella notizia! E’ il caso di Internet. Ci offre l’opportunità di ripensare molte cose di quelle che pensavamo con le nostre presupposizioni circa la nostra natura e quella del mondo circostante.
Our families, our communities and our culture make us what we are. Once we are what we are, we are still unthinkable outside our groups with whom we live. On a desert island we’ll form an association with a ball if we can find one. So if a new infrastructure comes along that allows us to connect with everyone else on the planet and to invent new types of connections, this is big news indeed! This is the case with Internet. It gives us an opportunity to rethink many of our presuppositions about our nature and our world’s nature.
Le nostre connessioni sociali, le isole, finora sono state ristrette dalla geografia e dagli atomi del mondo reale. La Rete è un mondo non naturale, un mondo che ci siamo costruiti noi stessi. I fatti della natura fuoriescono dalla Rete. Siamo in grado di renderci conto di quanto della nostra socialità sia dovuta non al mondo reale ma alla nostra stessa natura. La Rete ci fa confrontare con la cruda realtà, ci fa capire che siamo creature che si prendono cura di se stessi e con il mondo che condividiamo con gli altri. Viviamo in un contesto di significati: il mondo è più ricco di significati, più di quanto noi possiamo immaginare.
Our social connections, our islands, until now have been constrained by geography and atoms: the real world. The Web is an unnatural world, one we have been built for ourselves. The facts of nature drop out of the Web. We can see reflected in the Web just how much of our sociality is due not to the nature of the real world but to the nature of ourselves. The Web confronts us with the brute fact that we are creatures who cares about ourselves and the world we share with others. We live within a context of meaning: the world is richer with meaning than we can imagine.
“Quasi contemporaneamente al loro primo contatto con esso, i Greci sentirono il mare greco in quella straordinariamente intima fusione con la terraferma e con le isole, che in seguito, verso sud e specialmente sulla costa orientale della madrepatria e quella occidentale dell’Asia Minore, determinò una volta per tutte l’esistenza greca, tanto pratica che spirituale”. Queste parole di Paula Philippson, la studiosa svedese che dedicò la vita alla ricerca sulle origini e sulle forme del mito greco, diventano di evidente concretezza nel percorrere il viaggio proposto da Giulio Guidorizzi e Silvia Romani attraverso il “mare degli dèi”, alla scoperta della trama di racconti e miti che unisce tutte le isole che compongono quella “nazione arcipelago” che è la Grecia.
Isole celeberrime come Santorini o Itaca, isole più segrete, come Lemno e Sciro, isole che assomigliano a sogni inafferrabili, come Delo, isole-mondo come Lesbo e Rodi, isole come Ikaria o Nasso, che fin dal nome evocano i miti all’origine dell’occidente. Tutte cariche di bellezza, perché il mare greco è “forse il più bello del mondo”, e cariche di storia, perché la storia di ciò che chiamiamo Europa, delle sue idee e del suo immaginario, è cominciata qui. Il bello di questa “guida mitologica alle isole della Grecia” — arricchita da un bell’apparato fotografico e dai disegni di Michele Tranquillini che danno alla guida un sapore di portolano — è precisamente la capacità di mostrarci, isola dopo isola, racconto dopo racconto, l’intreccio stretto tra immaginazione e realtà che ancora oggi può rendere unico un viaggio in Grecia.
C’è una precisa sensazione, riservata a chi sappia guardare al suo mare costellato di isole con occhi disponibili e ben aperti, ed è quella grazie alla quale, in certe mattine limpide, Alberto Savinio “vedeva” sfrecciare il divino Hermes nel cielo della natìa Atene, “città della civetta”. Anche noi, condotti con sapienza da un approdo all’altro, scopriamo storie che sanno “di sale, di meltemi e di spume bianche”, ci imbattiamo in dèi e semidei e mortali illustri e animali fantastici, che ci appaiono subito familiari. Capiamo, per esempio, come mai i greci che ballano il sirtos, la danza che conosciamo oggi come sirtaki, conservano un’espressione seria e concentrata. Quella danza è il ricordo dell’uscita dal labirinto, e il fazzoletto tenuto in mano dal primo dei danzatori è ciò che rimane del filo di Arianna, colei che guidò Teseo verso la salvezza dopo l’uccisione del Minotauro.”