“Vladimir Putin, la sua ferocia è figlia della storia: sulla Russia il sigillo di Mongoli e tiranni”
Ci sono articoli di giornali che meritano di essere letti, ricordati e registrati come esempi di scrittura storica nel senso pieno della parola. Giordano Bruno Guerri prima di essere un giornalista è uno storico.
Era il mese di aprile 1997, quando ebbi modo di conoscerlo. Scriveva sul quotidiano “Il Tempo”, dove teneva una rubrica in prima pagina intitolata “La Piazza”. Gli scrissi e gli facemmo conoscere la nostra rivista LYCEUM, nata da pochi mesi.
Lo conobbi insieme agli studenti del Liceo di Sarno quando visitammo il quotidiano romano. Le foto che pubblico qui di seguito lo documenta. La mia memoria lo ricorda come una persona che ci accompagnò nella visita alla redazione saltellando da una finestra all’altra della redazione mentre ci faceva da guida.
Un intelligente articolo di una nostra alunna Pina Tramontano, della V B, Liceo Scientifico “G. Galileo”, ne è testimonianza. Alunni e docenti accompagnatori, avemmo l’impressione di avere di fronte una guida di grande cultura, un carattere ecclettico, radicale, anarchico e libertario pronto e mettere in discussione tutto e tutti.
Gli avevamo portato la nostra rivista LYCEUM, nata da poco. A distanza di tanti anni lo ritrovo sul quotidiano LIBERO in veste di confermato grande intellettuale e abile storico di un grande Paese quale è la Russia.
Il suo è un articolo di giornale che ha il valore di un saggio, alla maniera di quei tipici saggi della letteratura inglese del settecento che hanno fatto la storia della letteratura e del giornalismo. Un articolo che non vive “l’espace d’un matin”, come dicono i francesi, ma disegna la vera Storia con la maiuscola.
Quella che oggi chiamiamo Russia, un tempo non interessava proprio a nessuno (figurarsi la Siberia). Fredda, innevata e ghiacciata per grande parte dell’anno, quasi ovunque lontana da un mare, troppo vasta per controllarla, non piaceva neanche agli invasori dagli occhi a mandorla che venivano da terre ancora più desolate. Le tribù bellicose di Attila e di Gengis Khan, per dire solo di due invasori, non passavano anni e anni per attraversare la Siberia e gli Urali — con così poco da saccheggiare — per trovarsi in una pianura simile a quella che avevano lasciato: puntavano a leggendarie città colme d’oro, come Roma, a donne bionde e dalla pelle bianca, a fiumi e mari che non ghiacciavano mai. Se venivano fermati o se il loro capo moriva, come accadde a Gengis Khan, tornavano nelle loro terre asiatiche.
Quanto agli uomini del nord (oggi li chiamiamo scandinavi), in migliaia di anni, fino a circa il 1000, avevano prodotto un popolo avventuroso, i vichinghi, e quello andava via mare, capace di raggiungere l’America — senza accorgersene — e di risalire la Senna fino a Parigi per saccheggiarla. Ma che sarebbero andati a fare dove non c’era niente? Poco e nulla interessava della Russia anche alle opulente civiltà più meridionali, bizantini, musulmani o persiani che fossero: avevano le loro beghe con i popoli vicini, e nessuna voglia di occupare — se non in zone di confine — quelle terre di poco conto.
IN RITARDO
Così, dunque, la Russia rimase esclusa, impermeabile, sia dalle civiltà mesopotamiche, sumeri, babilonesi, assiri, ecc., sia da quelle mediterranee, greca, romana, bizantina. Come dire: chi abitava le pianure russe, era indietro sulle civiltà occidentali di qualche migliaio di anni. (E non mi si infastidisca con accuse di politicamente scorretto che non possono riguardare la storia. Così è stato, e basta.) In compenso, delle invasioni asiatiche è rimasta traccia, non nelle città, non nella cultura, non nei campi, bensì nel sangue e nella carne: è stato ipotizzato da genetisti che circa l’8 per cento di chi vive nei territori conquistati e occupati dalle truppe di Gengis Khan, ne porti la traccia nel DNA, per via di unioni più o meno consenzienti.
Come nasce dunque, la Russia? Dai rus’, da chi altri, se no? Era un popolo scandinavo, il nome significa «uomini che remano», ma a differenza dei vichinghi remavano poco. Dopo essere sbarcati nell’Europa nordorientale, si stabilirono in parte dell’attuale Ucraina, della Russia occidentale e della Bielorussia. La capitale era Kiev, nata come piccolo snodo commerciale fra Costantinopoli e il grande nord. Divenne una splendida capitale dello stato Rus’ alla fine del IX secolo; Mosca fu fondata nel 1147, oltre due secoli e mezzo dopo: e ancora per due secoli e mezzo il principato di Mosca rimase sotto il controllo dei governanti mongoli, dei quali si sarebbe liberato definitivamente soltanto nel 1480. In quella data l’Europa aveva già prodotto l’Umanesimo e il Rinascimento, entro pochi anni avrebbe inventato la stampa con caratteri mobili e scoperto l’America.
*** Da qualche settimana ho riscoperto la cinematografia russa, non quella della “Corazzata Potemkin”, vista e rivista in cineteca — nei miei vent’anni — prima dell’urlo liberatorio di Fantozzi. Parlo del cinema russo di oggi, che si trova facilmente in italiano su Netflix e Prime. A parte che si può incocciare in qualche bel film, sono affascinanti perché imitano in tutto e per tutto Hollywood, e il divertimento sta, come per la Settimana enigmistica, nello scoprire le differenze. Quale che sia il tema — spionaggio, fantascienza, avventura, poliziesco, amore — il film russi sono sempre più duri, spietati, mongoli di quelli occidentali. Non dev’essere un caso, il cinema imita la vita, e la vita imita il cinema.
NON RINNEGARE
Un’altra differenza riguarda la storia recente. Quale che sia l’argomento, dall’inventore del kalashnicov a una vicenda di fantasia su un eroismo nella Seconda guerra mondiale, non viene mai sottaciuto che la Russia è stata comunista per 70 anni, né lo si mostra con vergogna. I ritratti di Lenin, Stalin, Krusciov, Breznev e compagna bella compaiono ovunque senza pudore né compiacimento. C’erano e sarebbe sbagliato nasconderli, come invece si fa da noi, dove mai si girerebbe un film su giovani fascisti eroici, né su Ungaretti erotomane e fascista, se no come si farebbe poi a parlare a scuola della sua “Natale”? Lasciatemi così / come una / cosa / posata / in un / angolo / e dimenticata.
La disposizione di non rinnegare il passato comunista è stata data personalmente da Vladimir Putin, e si capisce, se no sarebbe come rinnegare se stesso, a lungo “funzionario” del KGB. Ma c’è qualcosa di più sensato: un popolo non può e non deve rinnegare la propria storia, pena doverci sempre fare i conti, come noi continuiamo a farli con lo spauracchio fascista. I russi non hanno paura dello spauracchio comunista, perché ricordano ogni giorno di esserlo stati, volenti o nolenti. E questa è un’altra loro forza. *** Se poi si va più indietro nella loro storia, mica si scoprono tante allegrie. Ivan III Vasil’evic fu il fondatore dell’impero russo: nel 1492, anno decisivo della storia umana, sposò Sofia, nipote di Costantino XI, ultimo imperatore bizantino, e sviluppò l’idea della “Terza Roma”: Mosca avrebbe dovuto sostituire Costantinopoli. È il germe dell’idea di un impero mondiale. Suo nipote Ivan IV, a ragione detto il Terribile, soffocò nel sangue una rivolta della nobiltà terriera (i boiari), assunse per primo il titolo di zar (ovvero Cesare), ingrandì il regno, avviò la penetrazione in Siberia e istituì la servitù della gleba. Nel resto d’Europa questa forma di schiavitù era già quasi scomparsa, in Russia durerà sino al 1861, quando vennero liberati 22 milioni di contadini trattati come bestie. Li chiamavano “anime”, e Nikolaj Gogol’ — in “Le anime morte”, del 1842 — ce li racconta con la potenza del capolavoro. Nel 1613 ai discendenti di Ivan si sostituì la dinastia dei Romanov, che regnerà per tre secoli. Per tutto quel tempo, la Russia si isolò dal resto dell’Europa, se non per i viaggi di piacere e di studio dei nobili, di preferenza a Parigi.
MODERNIZZAZIONE
Pietro I, passato alla storia come “il Grande”, nel Settecento fu non meno crudele e dispotico di Ivan il Terribile. Partecipò alla tortura fino alla morte del figlio Alessio, principe ereditario, perché si opponeva alla sua politica e complottava contro di lui, e mostrò altrettanta spietatezza con il popolo. Tuttavia ebbe il merito di modernizzare il paese, per renderlo competitivo. Visto che la Russia era priva di un grande porto sul mare del Nord, quindi sull’Atlantico, impiegò decine di migliaia di contadini — in grande parte morti sul lavoro — per bonificare una palude e fondare San Pietroburgo, la nuova capitale. Secolarizzò parte dei beni della Chiesa ortodossa e impose il pagamento delle tasse sul resto. Mostrò la stessa determinazione nel cambiare le abitudini dei suoi connazionali: per esempio, i funzionari, i cortigiani e i militari si vestivano con tuniche e gli alti dignitari portavano barba e capelli lunghi; ordinò che accorciassero tutto quel pelo e che si vestissero all’europea.
Non per questo le condizioni del popolo migliorarono, ma Pietro accrebbe il regno fino a farne un impero, battendo Carlo XII, abile re di Svezia, espandendosi in Siberia e in Persia. Venne poi il momento di Caterina II. la prima femmina della storia definita “Grande”. Moglie di Pietro III, nel 1762 Caterina — a dire poco volitiva — lo detronizzò con un colpo di stato, lo fece chiudere in carcere, dove fu ucciso pochi giorni dopo, si fece incoronare imperatrice e proseguì l’espansione territoriale a spese della Polonia, della Persia e dell’Impero Ottomano, fino a ottenere uno sbocco sul Mar Nero.
Nel 1867 uno zar fece la sciocchezza di vendere la gelida Alaska agli Stati Uniti per 7,2 milioni di dollari (141 milioni di dollari nel 2023), 4 dollari e 20 centesimi al chilometro quadrato. Sembrava un territorio inutile, invece si sarebbe scoperto che è ricco di oro, petrolio e gas. Adesso la Russia avrebbe un’enorme base strategica nel continente americano, invece i Romanov preferirono espandersi in Asia, in Turkmenistan e Uzbekistan, poi in Kirghizistan, Turkestan, Tagikistan, infine in Manciuria. Gli zar avrebbero pagato isolamento e arretratezza culturale con la rivoluzione bolscevica, che in pieno Novecento riportava la Russia — ormai immensa — a un’utopia medievale aggiornata da Karl Marx.
La sostanza di questa storia è che fin dalla nascita — assai tardiva — nell’ultimo millennio la Russia è sempre stata sottoposta a monarchie assolute e poco illuminate o a dittature avventurose, non ha mai conosciuto né il liberalismo né la democrazia se non forse quell’ubriacatura brevissima rappresentata da Boris Eltsin. Putin, ex agente del KGB, è nipote dei mongoli, di Ivan il terribile, di Pietro il Grande, di Caterina II e di Stalin, come il suo popolo. Meno del suo popolo — però, forse — ha preso da Tolstoj e Chaikovski, da Chagall e Majakovsky(diolibenedica), autore di questi versi esemplari sulla sua terra: Ho visto paesi più ricchi, più belli, più civili / ma una terra con più dolore / non mi è mai capitato di vedere. Senza tenere conto di tutto ciò, non si capisce niente, né di Putin né dell’Ucraina, russa per secoli, né di Navalny, russo pure lui.
@GIORDANO BRUNO GUERRI — LIBERO 22 febbraio 2024