Viva la fotografia
“Solo la fotografia ha saputo dividere la vita umana in una serie di attimi, ognuno dei quali ha il valore di una intera esistenza.”
Così ha scritto Eadweard_Muybridge (1830–1904) fotografo inglese, pioniere della fotografia in movimento.
Col passare degli anni mi sono appassionato alle immagini, siano esse fotografie, disegni o dipinti. Forse sarà la diffusione dei siti sociali sui quali ognuno trasmette qualcosa in questa forma scambiandosi fotografie e video, con la voglia di vedere facce e movimenti, situazioni e avvenimenti, oppure sarà la trasformazione della memoria che il tempo porta in ogni essere umano man mano che va avanti negli anni.
Non saprei dire con esattezza. E’ certo che da un pò di tempo mi diverto a fotografare, non solo con la mente le situazioni in cui mi trovo. Cerco anche di fermarle sulla “carta” della fotografia. A dire il vero la carta lucida delle foto di un tempo è diventato lo schermo del PC perché ormai tutto va a finire lì.
Parole, immagini e suoni sempre a portata di mano nelle nuvole della sua memoria.
Restano parcheggiate là per poi essere smistate nei modi e nei tempi opportuni, realizzando quello che tutti chiamano “condivisione”.
Non a caso, proprio su questa condivisione i così detti siti sociali hanno avuto successo: condivisione di facce, luoghi, situazioni, eventi che accompagnano la vita degli uomini tutti i giorni.
Ogni momento o situazione può essere quel momento che caratterizza l’esistenza, come dice Muybridge. In rete ci sono migliaia di luoghi dedicati alla fotografia, abbondano i fotografi dilettanti e quelli professionisti. Una passione, un lavoro, una opportunità per selezionare, “fare a fette” il tempo per poi studiarlo, osservarlo, conservarlo. A me piace guardare una immagine fotografica, specialmente quando questa è importante, artistica, per così dire memorabile.
Ma che cos’è che rende una fotografia tale? La prima caratteristica, io credo, sia appunto la sua capacità di non solo di fermare la “memoria” con la sua novità che ne costituisce il messaggio, ma di “fare” memoria. Tutti conosciamo la sensazione di quando, guardando una foto, scopriamo cose che avevamo dimenticato. Il “disco rigido” del nostro cervello improvvisamente diventa mobile, flessibile e si apre alla lettura dei cassetti dimenticati, tenuti chiusi dal tempo. Ritornano alla mente eventi, persone, idee, luoghi che sembravano essere affondati nelle nebbie del passato.
Certo che l’arte della fotografia ne ha fatta di strada nel corso degli anni. A partire da quella che nel 1838 fece Louis_Daguerre chiamandola “Le Boulevard du Temple” a Parigi, alle otto del mattino. Non ancora una fotografia ma un dagherrotipo, le prime fotografie della storia. Ovviamente questa foto ha un valore storico perché è la prima volta che appare l’immagine umana che si vede in evidenza. Un uomo che si fa lustrare le scarpe. Daguerre forse ci impiegò diverso tempo per riprendere l’immagine. E’ certo che le persone non si resero conto di essere riprese e forse lo stesso fotografo non sapeva che i soggetti gli sarebbero apparsi sulla lastra.
La stessa cosa si può dire di questa seconda fotografia scattata a distanza di più di un secolo, questa volta a colori.
Il protagonista inconsapevole è un embrione umano del fotografo svedese Lennart Nilsson pubblicata sul settimanale “Life” il 30 aprile del 1965.
Allora sconosciuto, poi diventato famoso, Nilsson pubblicò poi un libro sui nove mesi di gravidanza che ebbe un successo mondiale, vendendo oltre cinquanta milioni di copie in venti lingue. In questo caso abilità tecnica, intuito e immaginazione si fondono facendo nascere veri capolavori d’immagine che fanno la storia.
Alla stessa maniera di quella altra foto che ritrasse l’uomo sulla luna che tutti ricorderanno. Entrano in gioco in queste immagini diversi elementi che caratterizzano gli attimi fermati nella foto, ma anche lo spazio che viene lasciato a chi guarda alla sua fantasia per poter poi ricostruire un’intera sequenza significativa, quello che c’era prima e quello che sarà venuto poi dopo.
In questo caso la fotografia entra in competizione con la pittura. La differenza tra una foto riuscita e un quadro di pittura sta nel fatto che quell’attimo che il fotografo riesce a fermare col suo apparecchio è un attimo in movimento che descrive una intera sequenza. Il quadro invece riesce ad essere sempre diverso, sia per la varietà dei colori che per lo stato d’animo di chi lo guarda.
Ovviamente l’evoluzione della tecnica fotografica è in stretta correlazione con l’evoluzione del mezzo che il fotografo ha a sua disposizione. Oggi chiunque riesce a fare bellissime fotografie sulle quali non è necessario intervenire perché sono già relativamente perfette. Tanto perfette che possono anche essere non vere, truccate, alterate, modificate.
Un elemento al quale io non so rinunciare in una fotografia è quello che io chiamo il “contesto visivo”.
Quando si vuole cogliere un dettaglio e il fotografo vuole fermarlo nel tempo e nello spazio, è necessario che lo faccia tenendo presente l’esigenza di chi la osserverà e comprendere le relazioni che la stessa vuole trasmettere. E’ vero che si fa appello alla immaginazione di chi guarda, ma non sempre chi “legge” quella immagine possiede gli elementi necessari per interpretarli.
Prendiamo ad esempio questa immagine che risale al 1990 ripresa dall’operatore del telescopio spaziale Hubble. Non fu un operatore umano ma uno strumento tecnico in orbita. Gli elementi per la comprensione dell’immagine in questo caso provenivano dalla NASA la quale ci ha detto che “V838 Monocerotis” è un’enigmatica stella variabile situata nella costellazione dell’Unicorno a circa 20.000 anni luce dal nostro Sistema solare.
Agli inizi del 2002 è stata registrata un’improvvisa esplosione sulla stella; inizialmente si è pensato che fosse una delle tipiche eruzioni delle stelle note come novae, ma si è subito capito che si trattava di qualcosa di sostanzialmente diverso.
La causa dell’esplosione è ancora incerta, ma sono state avanzate alcune ipotesi, che includono la possibilità che si tratti di un’eruzione dovuta ai processi che stanno portando alla morte della stella o la fusione di una stella binaria o di pianeti precipitati sulla stella. Il telescopio riprese l’evento e questo è il risultato.
Solo l’immaginazione della mente umana può dare il contesto ad una immagine di questo tipo. Ognuno ci può vedere quello che gli pare. Non a caso quando venne pubblicata molti andarono col pensiero al quadro di Van Gogh “Notte stellata”. Questo prova che alla base della fotografia e della pittura c’è uno stretto rapporto legato alla coscienza che ognuno di noi ha della realtà.
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