Una poesia per una riflessione

Antonio Gallo
3 min readJul 31, 2022

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Foto@angallo

Reflection

Looking at blue, looking through blue,
he watched slow floaters rise and die;
flowers were talkative that high summer,
their fluid crimsons bedded on his retina
as he twisted sunlight from his eyes,

took a steady breath to ease the skin
soaped on a clay pipe bowl, watched
a perfect globe imprison his reflection:
his charmed soul, perfect in its wandering,

to float it all away: the trill of voices,
the dog’s gruff coat, the cradled branches,
and all that curvature of space and time
which held him briefly, as life holds him,
carried through iridescence to his vanishing.

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Riflessione
Guardando il blu, guardando attraverso il blu,
osservò lenti galleggianti alzarsi e morire;
i fiori erano loquaci in piena estate,
i loro liquidi cremisi si posarono sulla sua retina
mentre distorceva la luce del sole dai suoi occhi,
prese un respiro costante per lenire la pelle
insaponato su una ciotola di pipa di argilla, guardato
un globo perfetto imprigiona il suo riflesso:
la sua anima incantata, perfetta nel suo peregrinare,
per far volare via tutto: il trillo delle voci,
il pelo burbero del cane, i rami cullati,
e tutta quella curvatura dello spazio e del tempo
che lo tenne brevemente, come lo tiene la vita,
portato attraverso l’iridescenza fino alla sua scomparsa.

“Reflection” è una poesia tratta da “Invitation to View” di Peter Scupham (1933–2022), una raccolta poetica in cui la percezione trema spesso al limite del liminale. Ciò che non è del tutto presente ossessiona l’abbondanza fisica della lunga vita, dell’arte, dell’amicizia e del matrimonio, tutto celebrato ma percepito come evanescente in una raccolta che il poeta prevedeva sarebbe stata la sua ultima.

In questo poema sonetto il protagonista, descritto in terza persona, ripercorre una particolare “alta estate”. Il ritmo è adeguatamente lento. Lo sfondo della prima strofa suggerisce un giardino, con fiori dai colori rigogliosi — rose? — nella frase “fluido cremisi”. Più tardi, “il trillo delle voci, / il pelo burbero del cane, i rami cullati” si aggiungono a quel senso di contesto domestico piacevolmente ordinario.

Ma la visione fin dall’inizio è estranea, letteralmente: l’attenzione del protagonista, che guarda “a” e “attraverso” il cielo in quella prima linea meravigliosamente accattivante, è catturata dalla vista dei suoi “floater” mentre “sorgono e muoiono” . La menomazione visiva che provoca anche le miodesopsie, è implicito, produce una particolare sensibilità e ritenzione alla luce: l’impressione di colore e luminosità è feroce e duratura, “adagiata sulla retina”.

Le descrizioni di Scupham sono silenziosamente sorprendenti. Il verbo “bedded” effettua una transizione netta dall’aiuola all’occhio. Descrivere i fiori come “loquaci” è un modo insolito per dirci che erano inevitabili: non c’era alcun rilascio dal colore nell’inconsapevolezza.

Nell’ultima riga della prima strofa, “mentre distorceva la luce solare dai suoi occhi”, possiamo immaginare qualcuno che storce gli occhi mentre si adatta a un nuovo livello di luce più debole, che va dall’esterno all’interno. Oppure potrebbero semplicemente chiudere gli occhi, per evocare meglio una visione del passato.

Il materiale nella nuova strofa a quattro righe è inaspettato. Sebbene Reflection, considerato un sonetto, sia un sonetto insolitamente strutturato, si ha la sensazione che sia avvenuta una “svolta” particolarmente drammatica. Immagino una scena d’infanzia rivisitata, il protagonista che soffia una bolla attenta da una pipa di argilla giocattolo in una ciotola di schiuma di sapone.

Il bulbo oculare e la bolla hanno in comune la loro forma e “iridescenza”. La bolla “imprigiona” anche un’immagine, il secondo significato del titolo del poema, e l’immagine riflessa è anche “la sua anima incantata, perfetta nel suo peregrinare”.

Questo “fluttuante” contiene tutto e ha il potere di “portare via tutto”. Quindi l’idea del galleggiante ottico viene sottilmente trasferita dall’occhio alla bolla e a tutti i fenomeni della vita. In un gesto audace e ampio, Scupham raccoglie “il trillo delle voci, il pelo burbero del cane, / i rami cullati” insieme a “tutta quella curvatura dello spazio e del tempo” e lo stesso protagonista, “trasportato attraverso l’iridescenza fino alla sua scomparsa” . L’ultima strofa porta il poema al punto di partenza e lo porta avanti in un commiato particolarmente misurato e aggraziato.

@ The Guardian - Poem of the week: Reflection by Peter Scupham
A peaceful look back at a ‘high summer’ and its evanescence

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Written by Antonio Gallo

Nessuno è stato mai me. Può darsi che io sia il primo. Nobody has been me before. Maybe I’m the first one. Nulla dies sine linea.

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