“Una meravigliosa solitudine: l’arte della lettura nell’Europa moderna”
La storia della lettura è diventata essa stessa un campo di studio. Libri sulle diverse specie di lettori; studi neurologici su ciò che accade nel nostro cervello quando leggiamo; studi sociologici su come la politica e la pubblicità determinano ciò che leggiamo: tutti lottano per lo spazio sui nostri scaffali. Come spesso accade quando una nuova tecnologia minaccia quella precedente, iniziamo a scoprire i meriti di quella tecnologia apparentemente obsoleta e ne piangiamo preventivamente la scomparsa. Eppure le vecchie tecnologie tendono a persistere. L’invenzione della stampa non ha eliminato la scrittura a mano; portò invece con sé un rinnovato interesse per la scrittura di lettere e la calligrafia. L’espansione dell’industria automobilistica negli Stati Uniti non ha eliminato i pedoni dal paesaggio urbano; ha invece fatto nascere la passione per il jogging. Il testo elettronico non ha suonato la campana a morto per il libro stampato; ci ha invece portato a riflettere con nostalgia sulle qualità sensuali dell’inchiostro e della carta.
Non che gli storici della lettura di oggi manchino di precursori. Molte personalità illustri hanno dato sentori sull’argomento in passato. Nel Fedro Platone Socrate inventa il mito del dio Thoth, che offre al faraone egiziano l’arte della scrittura, dono che il faraone rifiuta, dicendo al dio che la sua offerta “è una ricetta non per la memoria ma per il ricordo”. Cicerone sosteneva che la lettura come promemoria ci consente di trarre vantaggio dall’esperienza del passato e esortava i suoi corrispondenti a leggere in ogni occasione possibile se desideravano acquisire conoscenze politiche. Ugo di San Vittore, nel XII secolo, in quello che è forse il primo manuale sulla lettura, il Didascalicon, ribatteva che la lettura favoriva tre qualità eminentemente filosofiche più che politiche: “la prima teorica, ordinata alla verità; la seconda pratica, ordinata alla virtù; la terza meccanica, ordinata al sollievo dell’esistenza fisica”. Un secolo dopo, il filosofo e trovatore Richard de Fournival modificò l’avvertimento di Socrate e disse al suo pubblico che l’intreccio di peinture e parole nel testo scritto portava l’autore nella mente del lettore attraverso il tempo e lo spazio. Francisco de Quevedo (1580–1645) chiamò questo atto magico “conversazioni con i morti”.
Lina Bolzoni, nota storica dell’arte della memoria, ha deciso di esplorare le strategie di lettura sviluppate all’inizio dell’Europa moderna per fare un uso più attento del libro come strumento mnemonico ed edonistico. La storia della lettura non è lineare: piuttosto ritorna su se stessa, recuperando e perfezionando vecchi metodi di lettura e riciclando i precedenti supporti del testo. La regola benedettina della lettura ad alta voce è stata resuscitata negli audiolibri e l’usanza talmudica di commentare a margine del testo sacro è ora raggiunta attraverso collegamenti elettronici, mentre la tavoletta d’argilla sumera si è trasformata in un iPhone e il papiro scorre in uno schermo digitale. “Possiamo chiederci se accadrà ancora quanto accaduto nel passato”, sostiene Bolzoni nella mirabile traduzione di “A Marvelous Solitude” di Sylvia Greenup, “perché è ormai chiaro che i nuovi strumenti di comunicazione non sono solo oggetti… hanno hanno un impatto profondo sull’individuo che li utilizza… nella misura in cui trasformano aspettative, capacità ed emozioni e di conseguenza influenzano il cervello stesso, sottoposto a ritmi di vita del tutto impensabili in passato”.
Quel passato aveva i suoi dispositivi. Petrarca, il primo degli esemplari librari evocati da Bolzoni, costruì un’immagine di sé come lettore insaziabile, parlando dei suoi amati libri in termini gastronomici — “Mangiavo la mattina quello che avrei digerito la sera, lo ingoiavo come un ragazzo, ciò su cui rimuginerei da uomo più anziano” — e indulgendo in quella che Bolzoni chiama “una forma di lussuria letteraria”. Ma la lettura deve essere una lussuria corrisposta. Petrarca esigeva gelosamente dai suoi lettori ciò che chiedeva a se stesso quando sedeva davanti a un libro. “Vorrei che il mio lettore”, scrive, “chiunque egli sia, consideri me solo, e non il matrimonio di sua figlia, né una notte con la sua amica, né le astuzie del suo nemico, né la sua sicurezza o la sua casa, né la sua terra o il suo denaro. Anche mentre mi legge, voglio che sia con me. C’è un elemento necrofilo in questo rapporto: il cadavere del testo incontrato rivive nell’atto della lettura e diventa oggetto d’amore. Poggio Bracciolini, il grande cercatore di libri del Rinascimento, parlava dei manoscritti trovati negli angoli dei monasteri come di fantasmi scarmigliati e mutilati che doveva guarire di nuovo, usando parole che riecheggiano la visione finale dell’universo di Dante come un volume di pagine sparse “ ora legati insieme dall’amore”.
Riportare in vita gli autori morti consente al lettore di vederli com’erano. Bolzoni fa risalire l’usanza rinascimentale di collocare ritratti e busti di scrittori nelle biblioteche a un passaggio sui costumi ellenistici nella Naturalis historia di Plinio il Vecchio che menziona l’ostentazione di sembianze immaginarie di Omero. “Se le anime parlano attraverso i libri”, spiega, “da loro nasce anche il bisogno di immaginare la forma dell’oggetto desiderato, e questo alimenta il desiderio di dare a Omero tratti riconoscibili, di vedere davvero il suo volto”. Esempi eccezionali di questa deliziosa consuetudine sono lo studiolo nel Palazzo Ducale di Urbino e il “Museo della Carta” del medico umanista Paolo Giovio, una raccolta di oltre 400 ritratti su carta nella villa di Giovio sul Lago di Como.
La lettura consente una relazione di amicizia con un autore. Bolzoni analizza, ad esempio, lo scambio di lettere tra Giovanfrancesco Pico (nipote del più famoso Giovanni Pico della Mirandola) e lo studioso Pietro Bembo in tema di intimità letteraria. Pico sosteneva che il gusto segnala una corrispondenza tra la natura dello scrittore e del lettore; quando leggiamo cerchiamo “l’immagine di un’anima simile alla nostra”, e possiamo quindi imitare lo stile dell’autore. Erasmo, tuttavia, condannava questa “strategia dell’imitazione” perché si limitava a fare uso di una maschera, critica ripresa da Étienne Dolet (editore di Rabelais), che giudicava il mascheramento della propria identità un atto di “un pazzo ignorante”. Lo stile del lettore dovrebbe essere il risultato naturale “di una negoziazione con altri testi”. Machiavelli ha spinto ulteriormente questa nozione: questa negoziazione dovrebbe consentire al lettore di catturare e mettere su carta tutto ciò che ricorda di un suo sogno. Per lui la lettura era un modo per materializzare visioni e pensieri personali da condividere con i futuri lettori.
Lo studio di Bolzoni include un’evocazione di Montaigne, il quale, nella sua torre, dichiarò che quando scriveva preferiva “farlo senza la compagnia e il ricordo dei libri”, perché temeva che interferissero con il suo stile. Eppure come “un suffisant lecteur” sapeva che il ricordo delle letture passate alimentava la sua scrittura presente: in Montaigne (secondo Pierre Bayard, citato da Bolzoni), “la distinzione tra citazione e autocitazione svanisce”. La lettura può rendere tutta la letteratura anonima. Il titolo del libro di Bolzoni deriva da Torquato Tasso, che definì la biblioteca non come una casa di accoglienza ma come un rifugio, “un luogo di solitudine” dove il lettore vive “tra oratori, storici, poeti e filosofi” che diventano i fantasmi della biblioteca. Glossando il tag latino, “verba volant, scripta manent”, il Tasso dichiara:
La voce afferma e nega, e spesso è contraria a se stessa e mossa dalla paura, dall’amore o dalla pietà, da tutte le passioni che la muovono; ma la scrittura, che di solito è composta quando la mente è calma e libera da tutto ciò che la può turbare, non mostra animosità ma verità ed è sempre coerente… Rende presenti le persone lontane e quasi vivi i morti, e questo è il più grande dei prodigi.
Lina Bolzoni affida l’ultima parola a due eredi dello spirito dei lettori del Rinascimento, John Ruskin e Marcel Proust. In entrambi gli scrittori emerge l’idea di lettura che permette al libro di diventare uno speculum animi, uno specchio dell’anima, con un importante avvertimento. “Se le parole vengono scelte non dal nostro pensiero secondo le sue affinità essenziali, ma dal desiderio di rappresentare noi stessi, rappresenta questo desiderio ma non ci rappresenta.” La meravigliosa solitudine di un lettore consente la trasformazione del testo in un santuario per la conversazione, un luogo in cui condividere le esperienze dei nostri anziani, uno specchio per le nostre paure e desideri. Il nostro vero io, ahimè, è condannato a rimanere per sempre dall’altra parte della pagina.
Alberto Manguel è il direttore dell’Espaço Atlântida a Lisbona. L’articolo è stato pubblicato dal settimanale TLS -Times Literary Supplement in data 8 marzo 2024