Un “matto al giorno” nella Valle dei Sarrasti
Qualcuno ha scritto che “il tempo si muove in una direzione, i ricordi in un’altra”. E’ vero. E’ il tempo stesso a confermarlo ogni giorno, man mano che scrivo per capire quello che penso.
Questo articolo nasce dalla lettura di uno dei “365 tipi strani che hanno cambiato il mondo”, brevi biografie giornaliere in un libro pubblicato da poco, intitolato: Almamatto.
I matti ci incuriosiscono, ci costringono a riflettere, ci cambiano lo sguardo, ci mettono davanti ai nostri fantasmi, non ci lasciano mai indifferenti.
La storia dell’uomo è costellata di individui eccentrici, bizzarri, anticonformisti, visionari, in molti casi con disturbi psichici gravi, ma spesso creativi in campo letterario, artistico, scientifico.
Partendo da queste considerazioni, è nata l’idea di una sorta di calendario che racconti, al posto del santo del giorno, il matto del giorno.
Io, però, ogni giorno che passo davanti a questo edificio, che nasconde gran parte della mia memoria, non solo la mia, ma di gran parte dei cittadini di Sarno, e vedo le condizioni in cui versa, mi si stringe il cuore. Perciò decido di scrivere questa denuncia.
Mi pare di vedere affacciare dalle sue finestre i volti dei tanti “matti” che l’hanno frequentato ma sopratutto, di quelli che l’hanno ridotto così.
Un almanacco originale è questo libro, piacevole e utile per riconoscere quel pizzico, o quel tanto di follia che c’è in ognuno di noi e che dà sale alla vita.
Il libro è di un illustre psicoterapeuta, scritto in collaborazione con un gruppo di colleghi e professionisti della comunicazione.
Ci fa capire come i diversi gradi di sofferenza psichica abbiano per comune denominatore l’amore variamente declinato: come mancanza di amore, insufficienza di amore, richiesta di amore, eccesso di amore, desiderio di amore.
A tutto questo va aggiunto la mia esperienza vissuta in quella che io considero la mia prima “Università della Vita” che ho avuto il piacere e la fortuna, si fa per dire, di frequentare da giovane studente, sia di lingua che di infermeria mentale, in quel grande ospedale a nord di Londra: Harperbury Hospital.
Questo prova il mio antico interesse per tutto ciò che è fuori norma, anormale ed irregolare. Roba da matti, appunto.
Il terzo piano di questo edificio a cui mi riferisco era intestato ad uno di questi matti. In quella che fu la Valle dei Sarrasti.
Un popolo di antenati, che poi tanto normali non dovevano essere, se questi moderni sono i loro successori. Riguarda lo scrittore latino Tito Lucrezio Caro, poeta e filosofo (98/94 a.C. — 55/54 a.C.) al quale è intitolato.
Lui non avrebbe mai pensato di finire in questo libro di matti. Sono sicuro, a dire il vero, che se vedesse come hanno ridotto la sua “casa”, si metterebbe subito alla ricerca di questi matti.
Tito Lucrezio Caro e questo libro ripropongono alcuni miei personali ricordi man mano che il tempo, con il passare degli anni, si dilata.
L’autore del libro, Giampietro Savuto, un illustre psicoterapeuta, avanza l’ipotesi che l’epicureista Caro sia stato “vittima di diffamazione”. Propone seri dubbi sulla sua sanità mentale, concludendo che forse si tratta di una moderna “fake news”. Così scrive di lui:
“Vittima di diffamazione «Impazzì per aver bevuto un filtro d’amore, dopo aver scritto negli intervalli di lucidità alcuni libri… si suicidò nel quarantaquattresimo anno di età». Questo scrive San Gerolamo di Lucrezio, grande poeta latino dalla vita misteriosa, che nel suo poema, “De rerum natura”, mette in versi la filosofia di Epicuro, esaltandone la figura quale «benefattore dell’umanità», poiché aveva liberato l’uomo dalle paure — degli dèi, del dolore, della morte — che ne affliggono la vita. Della presunta follia, filtro d’amore a parte, molti studiosi hanno cercato le tracce nelle pieghe del poema, che mostrerebbe alternanza di stati di esaltazione e momenti di cupo pessimismo, senza, peraltro, arrivare a conclusioni certe. Altri parlano di una leggenda diffusa in ambiente cristiano per screditare il poema: l’Epicureismo era l’unica filosofia dell’antichità incompatibile, per il suo materialismo che negava ogni forma di sopravvivenza oltre la morte, con il Cristianesimo, il quale aveva invece largamente assimilato tutto il sapere della tradizione filosofica anteriore. Il dubbio non è stato sciolto. Così uno dei più grandi poeti latini, la cui opera rivela eccezionale lucidità e straordinaria potenza creativa, è stato consegnato ai libri di storia letteraria e a generazioni di studenti accompagnato dall’ombra della follia. Vero? Una colossale fake news?”
Nelle tre immagini che corredano questo articolo posso racchiudere graficamente i miei pensieri. Mi riferisco all’edificio nel quale, nella città di Sarno, feci i miei studi giovanili. Un edificio dalle linee chiaramente dettate dallo stile del tempo (fascista).
Ogni tempo, si sa, ha il suo. Sia detto senza ipocrisia, questo stile dimostra ancora oggi, la sua forza espressiva e la sua voluta “pesantezza” dell’essere.
Metteteci dentro tutto quello che può contenere una parola che allora si poteva chiamare “cultura” e che, oggi, chiameremmo “conoscenza”.
Un edificio costruito per ospitare le “Scuole Elementari” che dovevano formare i cittadini di un “mondo” che sarebbe diventato “nuovo”. Come, infatti, è diventato.
Nessuno, però, avrebbe potuto immaginarlo come quello di oggi. Ospitava la scuola elementare e il titolare non poteva non essere che “Edmondo de Amicis”.
Non ricordo molto dei giorni trascorsi in questo edificio, quasi nulla. Dall’asilo delle suore di Ivrea in piazza Croce, venni trasferito qui per i successivi tre anni.
Ricordo vagamente una severa insegnante vestita di nero, la signora Tura. Poi, per i tre anni della Scuola Media, i ricordi cominciano a apparire molto più chiaramente.
Scendemmo, in mancanza di meglio, (eravamo in pieno dopoguerra), al di sotto del livello stradale, nelle famose “cantinelle”.
Quei buchi neri, che si intravedono nella foto a livello della strada, segnalano le finestrelle di quelle che furono le aule per le classi che frequentai nei tre anni.
Nel frattempo, quell’edificio aveva visto “nascere” sulle sue spalle “fasciste” un altro piano, il terzo, nel quale sarei poi salito per accedere alle vette del “Parnaso della conoscenza”.
Era nato quel “Liceo-Ginnasio T. L. Caro” che sarebbe stato la culla della cultura del luogo, non solo della città di Sarno, ma di gran parte del suo territorio, nella storica Valle dei Sarrasti.
Oggi, a distanza di tanti anni, quel terzo piano è scomparso. Lo hanno abbattuto, dicono, per motivi di sicurezza. I “ricostruttori”, non so per quali ragioni, hanno inteso riproporre il suo “rigore” architettonico originale bruciando nella sua infinita ricostruzione non so quanti milioni di lire-euro.
Non mi interesso di politica, non la pratico, non essendo capace di “farla”. Mi basta soltanto riflettere su quanto il tempo possa essere implacabile giustiziere delle tante indiscusse stupidità che gli uomini, si chiamino politici, amministratori, architetti o altro, sono capaci di praticare.
Il “Liceo T. L. Caro” della città continua a vivere la sua felice ed attiva vita nel “mondo nuovo”. Anche chi scrive, pur se in minima, piccola parte, non ha timore di dire, ha concorso a creare una scuola moderna nel territorio.
Con l’aiuto del tempo, l’unico vero amico, ripenso a quel “matto” di Tito Lucrezio Caro che avrà ben ragione di ridere. Ma non me la sento di ridere con lui. Penso a quella triste realtà dei “matti” che aumenta le sofferenze del vivere.
Verrà mai il tempo di far pagare a chi ha sbagliato pur non essendo “matto” ed essere “legato” per non più nuocere? Quando potrà T. L. Caro smettere di “vergognarsi” della sua “insanità”?