Un libro impossibile da leggere

Antonio Gallo
4 min readOct 31, 2022

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Il 1 Novembre 1972 muore a Venezia il poeta che ha scritto forse il libro più impossibile da leggere. Non è un libro come tutti gli altri, legati alla quotidianità, di quelli che si comprano perché di moda, perché ne parlano i giornali, si è visto e sentito l’autore in TV o se n’è discusso in Rete.

Libri e autori che appaiono e scompaiono, che vivono lo spazio di una stagione, magari anche vendendo migliaia di copie. Libri che hanno il fiato corto, finiscono nel dimenticatoio della storia della letteratura, appartengono a mezza generazione. Finiscono nella indifferenziata della cultura consumistica che divora tutto, sia i testi che i loro autori.

Non a questi appartiene questo libro che è un poema, un “Canto”, anzi una serie di “Canti” che, pur diventati classici, difficilmente sono letti nella loro interezza. Libro impossibile da leggere perchè troppo impegnativo, quasi inavvicinabile dall’uomo comune, perché difficile nella forma e nei contenuti.

Appartiene alla serie di libri troppo concettuali, intellettuali, di cui però tutti ne parlano, li citano e menano vanto di conoscere, ma nessuno li conosce veramente. Eppure osano, addirittura, offendere la memoria e l’arte di chi l’ha scritto in nome di una ideologia che offusca le idee. Questo è stato anche il destino di Pound “fascista non per caso”.

“I Canti Pisani” di Ezra Pound è uno di questi libri sui quali intendo soffermarmi in ricordo della sua morte il 1 Novembre 1972 a Venezia.

Un libro di fronte al quale chi legge si sente smarrito e sperduto per la dimensione sia spaziale e temporale che lo comprende, per il viaggio orizzontale e verticale che l’autore percorre attraverso la foresta dei simboli che caratterizza l’esperienza umana.

La sola storia di Ezra Pound è di per sé un “classico”. Per poter comprendere l’universalità che questo grande libro esprime, credo non ci sia migliore descrizione di quella che ne fece anni fa Eugenio Montale. Ecco quanto scrisse:

“I Canti Pisani” sono una sinfonia non di parole, ma di frasi in libertà. Non siamo tuttavia nel caos perché queste frasi sono legate da un “montaggio” che supera di gran lunga, per apparente incoerenza, quello di qualche parte dell’ “Ulysses” e dell’eliotiana “Waste Land”. Si tratta però di un montaggio di cui sfugge totalmente il connettivo, il nesso conduttore. Immaginate che si possa radiografare il pensiero di un condannato a morte dieci minuti prima dell’esecuzione capitale, e supponete che il condannato sia un uomo della statura di Pound e avrete i “Canti Pisani”: un poema che è la fulminea ricapitolazione della storia del mondo (di un mondo), senza alcun legame o rapporto di tempo e di spazio (…) Migliaia di personaggi, fitto intarsio di citazioni in ogni lingua, ideogrammi cinesi, brani di musica, allusioni a tutto ciò che per cinquant’anni ha alimentato, nella storia, nella filosofia, nella medicina, nell’economia e nell’arte il pensiero moderno, non senza salti vertiginosi nel mondo del mito e della preistoria (….). L’interesse è però ravvivato dal fatto che qua è la’, in questi canti di prigioniero, intravediamo un Pound nuovo, provato dal dolore, una voce che piange, che geme, che soffre; e sentiamo allora che il gioco diventa serio e lo spettacolo del clown si fa tragedia”.

Non credo si possa aggiungere altro. Un libro universale che comprende spazio e tempo, che va oltre il soggetto e diventa oggetto, significato e significante nella dimensione dell’essere e del divenire. Un libro davvero per tutti e per nessuno. Tutti sono sfidati ad entrare nella mente del poeta che scrive, prigioniero di se stesso e del mondo. Pochi sapranno leggere il suo messaggio arrivando fino in fondo. Lo dice chiaramente “il grande fabbro” Pound nel canto 81, parlando della vanità dell’essere e del mondo.

Quello che veramente ami rimane,
il resto è scorie
Quello che veramente ami non ti sarà strappato
Quello che veramente ami è la tua vera eredità
Il mondo a chi appartiene, a me, a loro
o a nessuno?
Prima venne il visibile, quindi il palpabile
Elisio, sebbene fosse nelle dimore d’inferno,
Quello che veramente ami è la tua vera eredità
La formica è un centauro nel suo mondo di draghi.
Strappa da te la vanità, non fu l’uomo
A creare il coraggio, o l’ordine, o la grazia,
Strappa da te la vanità, ti dico strappala
Impara dal mondo verde quale sia il tuo luogo
Nella misura dell’invenzione, o nella vera abilità dell’artefice,
Strappa da te la vanità,
Paquin strappala!
Il casco verde ha vinto la tua eleganza.
“Dominati, e gli altri ti sopporteranno”
Strappa da te la vanità
Sei un cane bastonato sotto la grandine,
Una pica rigonfia in uno spasimo di sole,
Metà nero metà bianco
Né distingui un’ala da una coda
Strappa da te la vanita’
Come son meschini i tuoi rancori
Nutriti di falsità.
Strappa da te la vanità,
Avido di distruggere, avaro di carità,
Strappa da te la vanità,
Ti dico strappala.
Ma avere fatto in luogo di non avere fatto
questa non è vanità. Avere, con discrezione, bussato
Perché un Blunt aprisse
Aver raccolto dal vento una tradizione viva
o da un bell’occhio antico la fiamma inviolata
Questa non è vanità.
Qui l’errore è in ciò che non si è fatto, nella diffidenza che fece esitare.

Ezra Pound,
“Pisan Cantos”
(Canto 81)

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Written by Antonio Gallo

Nessuno è stato mai me. Può darsi che io sia il primo. Nobody has been me before. Maybe I’m the first one. Nulla dies sine linea.

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