Un “gran rifiuto” costato caro
13 dicembre 1294: Per non “voler offendere la propria coscienza, di desiderare una vita migliore e di non aver sufficiente sapere” dopo 107 giorni di pontificato Papa Celestino V, al secolo Pietro Angelerio da Morrone, offre al mondo il “gran rifiuto”. Sarà ucciso dai sicari del suo successore Bonifacio VIII, dopo una penosa prigionia nel castello di Fumone presso Anagni.
Il gran rifiuto di Papa Celestino V, avvenuto il 13 dicembre 1294, rappresenta uno dei momenti più significativi e controversi della storia della Chiesa cattolica. Celestino, al secolo Pietro Angelerio da Morrone, era un eremita che accettò il papato con riluttanza, spinto dalla pressione dei cardinali e dal re Carlo II d’Angiò, ma si rivelò subito inadatto a gestire le complesse dinamiche del potere ecclesiastico.
La rinuncia di Celestino V fu motivata da una serie di fattori personali e spirituali. In una lettera di abdicazione, egli espresse il desiderio di non “offendere la propria coscienza”, di cercare una vita migliore e di sentirsi inadeguato per il compito che gli era stato affidato. Dopo soli 107 giorni di pontificato, durante i quali si sentì sopraffatto dalle responsabilità e dalle richieste incessanti, decise di tornare alla sua vita contemplativa da eremita.
Dopo la sua abdicazione, Celestino V non trovò la pace che cercava. Il suo successore, Bonifacio VIII, temendo che l’ex papa potesse diventare un simbolo di opposizione o un rivale politico, lo fece imprigionare nel castello di Fumone, dove visse in condizioni difficili fino alla sua morte nel 1296. La sua prigionia e la successiva morte hanno alimentato leggende e speculazioni riguardo alla vendetta del nuovo papa e al destino di Celestino.
La sua figura è stata oggetto di dibattito tra storici e teologi. Dante Alighieri lo colloca nel girone degli ignavi nella Divina Commedia, evidenziando la percezione negativa della sua rinuncia come un atto di codardia. Recenti interpretazioni hanno rivalutato la sua scelta come un gesto di umiltà e autenticità spirituale. Papa Francesco ha descritto Celestino come “un testimone coraggioso del Vangelo”, sottolineando il suo desiderio di una Chiesa libera dalle logiche mondane.
Lunedì 11 febbraio 2013 Benedetto XVI annuncia, del tutto inaspettatamente, l’intenzione di dimettersi. Per tutti è uno choc: in Vaticano i cardinali sono sgomenti; giornali, telegiornali e network si rimbalzano la notizia fra commenti e edizioni straordinarie. Inevitabilmente si richiama il precedente più famoso, che risale a settecento anni prima, quando Celestino V fece quello che dante chiamò “Gran Rifiuto”. Non è chiaro a chi si riferisse Dante nella sua invettiva nel terzo canto dell’Inferno. La tradizione, però, ha sempre riconosciuto nel misterioso personaggio l’eremita Pietro del Morrone, diventato papa con il nome di Celestino V e colpevole di avere causato con le proprie dimissioni l’elezione di Bonifacio VIII, suo discusso e per molti indegno successore. La tradizione e i fatti storici però non coincidono: i documenti ci consegnano un’altra storia. Barbara Frale la ricostruisce in questo libro, illustrando eventi poco noti, non di rado delittuosi, risvolti, retroscena, infamie e amare verità che hanno il colore del romanzo gotico. Protagonisti, insieme a Celestino V e Bonifacio VIII, sono il re di Francia Filippo il Bello, il re di Napoli Carlo II d’Angiò, le grandi famiglie nobiliari romane, i teologi della Sorbona, e un secolo, il Trecento, di scandali, processi, dispute dottrinali e lotte di potere che la “voce pubblica”, accesa dalla propaganda di tutte le parti in gioco, ha reso più infuocate. Fino a impedire di vedere nel “gran Rifiuto” l’inganno che in realtà è stato.