Un altro “matto” russo scrive il “giornale di un pazzo”…
1 Aprile, nasce Nikolaj Vasil’evič Gogol’, scrittore russo(1809–1852). Un conoscitore della follia: «Riderò la mia amara risata», l’epitaffio sulla sua tomba.
Per Fëdor Dostoevskij è lui il padre della letteratura russa, uno scrittore che con l’arma della satira ha denunciato i guasti della società.
I personaggi di Gogol’ sono spesso maschere senz’anima che si consumano tra meschine ambizioni di carriera e totale incapacità di esprimersi umanamente. Figure grottesche, misere, ridicole, su cui l’autore sfoga tutto il suo disprezzo.
Qualcuno li ha interpretati come «l’incarnazione di diversi stati psicologici nella loro manifestazione estrema» o «parziali riflessi del mondo inferiore del loro creatore, dei suoi dubbi e delle sue manie».Sta di fatto che con il suo famoso racconto “Le memorie di un pazzo” il lettore si può divertire.
Gli abitanti di Pietroburgo sono un impietoso bestiario umano: c’è il «mercante mollusco», il bellimbusto «topo di fogna», «l’impiegato anfibio», abitante di quella «città palude» che lo circonda.
II personaggio che Gogol’ inventa e indaga anche in altre sue opere (Il revisore, Il naso, Il cappotto) è l’impiegatuccio modello, prodotto della macchina burocratica, un uomo mite senza qualità che descrive in prima persona il proprio progressivo impazzimento.
La società è organizzata in modo talmente folle che il protagonista riconquista alcuni tratti di umanità proprio quando perde l’uso della ragione: un vero e proprio atto d’accusa nei confronti del potere e una feroce derisione delle gerarchie che lo alimentano.
Le memorie di un pazzo è stato considerato anche una sorta di «cronaca della follia». Psicologi e analisti sono arrivati a dichiarare che tutte le varie fasi della malattia sono descritte in modo così coerente e verosimile da far pensare che l’autore si fosse servito di documenti medico-clinici autentici. Gogol’, genio dall’animo irrequieto e ribelle, visse solo 43 anni.
Poco prima di morire, in preda a una crisi religiosa, bruciò la seconda parte della sua opera più famosa, “Le anime morte”. (Almamatto. Un matto al giorno)
Il racconto, che fa parte della raccolta ‘Arabeschi’ e ‘Racconti di Pietroburgo’, scritto in prima persona nella forma di un diario, narra la progressiva discesa nella follia del burocrate Aksentij Ivanovic. Attratto dalla bella figlia del suo direttore, e volendo sapere qualcosa di più sul conto di lei, Aksentij Ivanovic sottrae le lettere che sarebbero state scritte dalla cagnolina Maggie, nelle quali egli crede di leggere tutto il disinteresse della ragazza verso di lui.
Appresa la notizia che il trono di Spagna è vacante, Aksentij Ivanovic si proclama monarca di quel Paese, inizia a firmare i documenti come Ferdinando VIII e chiede la mano della figlia del direttore; quindi si mette al lavoro sulla sua divisa da consigliere titolare per farne un manto regale. Ormai divenuto completamente pazzo, Aksentij Ivanovic viene portato al manicomio, che però a lui appare come la corte spagnola.
L’effetto di ironia e comicità nasce dal divario che esiste tra la realtà del lettore e quella del protagonista, ma in realtà la follia in quest’opera di Gogol’ rappresenta una via di fuga dalla ragione obiettiva, dal raziocinio dei benpensanti e dalla burocrazia, il grado a cui tutto viene sacrificato e da cui tutto dipende: felicità, salute e ricchezza.