Tutto in nome di …Agosto!
Agosto, l’ottavo mese, prende il nome dall’imperatore romano Augusto. Un mese per me importante e decisivo. Prima perchè ci sono nato e poi perchè mi sono unito all’altra metà del cielo.
Si dice che l’imperatore abbia scelto il suo nome per questo mese per conto suo perché aveva ottenuto numerose vittorie militari. Sia come sia, per quelli di noi nell’emisfero settentrionale, agosto è l’ultimo mese d’estate, con solo un pizzico di autunno nell’aria.
Tuttavia, le cose sono diverse a sud dell’equatore, dove questo mese è molto simile al nostro febbraio. Ecco alcuni ricordi letterari in lingua inglese riguardanti Agosto.
In The Shepheardes Calender, Spenser’s August assume la forma di una competizione poetica tra due pastori, Willye e Perigot, che a turno improvvisano versi alternativi di una canzone, un roundelay sul tema dell’amore non corrisposto, con un pastorello, Cuddie, a giudicare chi è il vincitore tra di loro. Questo tipo di competizione era abbastanza comune nella poesia orale e vive ancora oggi nella tradizione basca. Cuddie lo chiama un pareggio e poi completa le cose cantando una canzone sullo stesso tema dell’alter ego di Spenser, Colin Clout.
Matthew Arnold colloca l’inizio della sua poesia The Scholar-Gipsy in un ambiente bucolico distintamente spenseriano di pastori e mietitori, con il narratore che si ripara dal “sole d’agosto” sotto un albero accanto al quale può vedere le pecore al pascolo nei campi recentemente raccolti. Tuttavia, la poesia è una meditazione molto ottocentesca sulle differenze tra l’uomo civile e quello naturale e sulla paura che ci impedisce di adottare un approccio più naturale alla vita. L’oratore della poesia invidia chiaramente allo studioso errante la sua libertà, ma si rende conto che non potrebbe mai seguire l’esempio dell’abbandono della vita morbida del mondo accademico.
La canzone di Robert Burns composta ad agosto è ugualmente piena del fascino della campagna, ma in questo caso non c’è alcuna sfumatura di tristezza o rimpianto. Il paesaggio estivo scozzese pullula di vita e costituisce lo sfondo perfetto per la dichiarazione d’amore del poeta per la sua cara Peggy.
Le cose sono, come ci si potrebbe aspettare, un tocco meno solare in Amor Mundi di Christina Rossetti. Gli innamorati possono iniziare a camminare “con il caldo clima di agosto”, ma il facile percorso in discesa che prendono è pregno di presagi di fuoco infernale e dannazione. In qualche modo non posso fare a meno di pensare che Rossetti non avrebbe approvato l’atteggiamento più accomodante di Burns nei confronti dell’amore fisico.
Anne Sexton si ritrovò a scrivere una lettera su un traghetto mentre attraversava il Long Island Sound “alle 2 di un martedì / nell’agosto del 1960”. Anche lei stava meditando sull’amore e sulla tristezza, e ha trovato la sua fuga in una visione surreale di un gruppo di suore, i suoi compagni di viaggio, che diffondevano le loro abitudini e si alzavano con un grido di “buone notizie, buone notizie”. Il contrasto tra la precisa descrizione di Sexton del mare e del paesaggio visti dal traghetto e il volo assurdo delle reverende sorelle è il fulcro su cui poggia il poema.
Un’attenzione simile per il più piccolo dettaglio della visione informa la sequenza Flowers of August di William Carlos Williams, una celebrazione delle erbacce e dei fiori di campo più ordinari e facilmente trascurabili che è in linea con l’affetto del poeta per la quotidianità.
Certo, agosto non è tutto sole, fiori e monache volanti; cose serie succedono anche a fine estate. Durante la scalata della Milestone Mountain, il 22 agosto 1937, Kenneth Rexroth si ritrovò a ricordare le ancora controverse esecuzioni, esattamente 10 anni prima, degli anarchici italo-americani Sacco e Vanzetti. Non ci possono essere dubbi su dove risiedono le simpatie del poeta, e la poesia taglia tra le Sierras di oggi e la Boston di allora in un modo che costruisce inesorabilmente l’affermazione finale che, come le montagne, l’eredità dei due uomini sarebbe durata.
Ma il ricordo del 9 agosto non segna soltanto la data della mia venuta al mondo. Nella realtà umana e letteraria della cultura italiana svetta un altro scovolgente ricordo. Erano trascorsi 29 anni dalla morte di Ruggero Pascoli, ma, alla vigilia della commemorazione, il 9 agosto 1896, il figlio Giovanni ne rivive il trauma, affidando il ricordo alle pagine della rivista “Marzocco”.
Il tempo non lenisce il dolore, la malvagità inonda il mondo e si estende dalle specie animali agli uomini, ai martiri. La croce di san Lorenzo, stigma di ogni vivente, è presente già nel titolo, con quella data in numeri romani che si pone come un crocifisso, come una rondine uccisa, come un uomo ammazzato.
Ci sono tre momenti diversi nella poesia (la rievocazione del martirio, con l’allocuzione a San Lorenzo, l’apologo della rondine, animale caro alla tradizione cristiana perché confortò Cristo nell’agonia sulla croce, la morte di Ruggero Pascoli, insieme divina e bestiale), che però si rincorrono, si scambiano sintagmi, si fondono per offrire un’idea di dolore senza tempo e senza remissione. Rileggiamo la poesia:
San Lorenzo, io lo so perché tanto
di stelle per l’aria tranquilla
arde e cade, perché sì gran pianto
nel concavo cielo sfavilla.Ritornava una rondine al tetto:
l’uccisero: cadde tra spini
ella aveva nel becco un insetto:
la cena de’ suoi rondinini.Ora è là, come in croce, che tende
quel verme a quel cielo lontano;
e il suo nido è nell’ombra, che attende,
che pigola sempre più piano.Anche un uomo tornava al suo nido
l’uccisero: disse: “Perdono”;
e restò negli aperti occhi un grido:
portava due bambole in dono…Ora là, nella casa romita,
lo aspettano, aspettano invano:
egli immobile, attonito, addita
le bambole al cielo lontano.E tu, Cielo, dall’alto dei mondi
sereni, infinito, immortale,
oh! D’un pianto di stelle lo inondi
quest’atomo opaco del Male!
Già la metrica, nell’alternarsi di decasillabi e novenari, trasmette l’idea dell’incompiutezza (decasillabo), della privazione (novenario). La struttura del componimento, poi, è ad anello, poichè si apre e chiude con uno sguardo al cielo inondato di stelle cadenti, foriere non, come da tradizione, di sogni e speranze, quando del dolore che, solo, accomuna i viventi. La rondine al “tetto”, l’uomo al suo “nido”: sono invertiti i termini della questione appunto a simboleggiare che tutto è male, che le bambole, l’affetto paterno, è per i bimbi cibo vitale, come l’insetto per i rondinini.
Nella nobilitazione del padre, Pascoli lo immagina nell’atto del perdono, con una certa incoerenza con il messaggio che egli stesso allegò al componimento sulla rivista: “Questo ricordo del X agosto 1867 io dedico ad alcuni ignoti uomini atroci; siano essi ora spettri che vagolano perpetuamente dal luogo ove uccisero al luogo ove furono uccisi, o siano teste rugose e bianche che sempre più si chinano all’ombra estrema, che cova la vendetta, o siano fronti pallide che provano a rialzarsi lentamente, sperando che essa Ate non venga più, non ci sia più…un po’ di pazienza ancora, un po’ di pazienza! Pazienza! Pazienza!”, rinviando nei fatti al giudizio divino la giusta vendetta per la loro colpa.
Nello stagliarsi “immobile, attonito” del padre, Pascoli allude al Manzoni, che ne “Il cinque maggio” (ancora una data come titolo!) definisce così la terra sconvolta da un evento incontrollabile e incoercibile, come appunto è l’esistenza del dolore e dell’ingiustizia nel mondo.
Tutto in nome di …Agosto!