“Trasumanar” non è “naufragar”

Antonio Gallo
5 min readJan 29, 2024

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Il Libro

“Naufragar m’è dolce” è un ossimoro che Giacomo Leopardi usa per capire come lo sprofondare nell’infinito possa suscitare una certa serenità. Il naufragare nel mare dell’infinito è una metafora dello smarrimento.

Come un uomo può ritrovarsi alla deriva del mare, lo stesso può avvenire se si perde nei meandri della sua mente. Il tempo è uno dei temi più importanti. Il passato è un tempo che non si può recuperare, ed il presente, in alcuni casi, sembra irraggiungibile se l’uomo si crea barriere mentali.

Non resta che il futuro. Tutto da creare. “Naufragar” può indicare l’abbandonarsi alla consapevolezza che il presente ed il passato possano avere un unico significato, se si uniscono ed arricchiscono la mente.

Questo “naufragare” nella mente, è come immergersi in uno spazio infinito, dove poter raggiungere anche uno stadio di beatitudine, pari a quello che può suscitare la contemplazione della natura.

“Trasumanar”, invece, è una parola che, anche se fa rima con “naufragar”, non conduce ad alcun naufragio. Anzi, ci conduce oltre ogni possibile umano naufragio, attraverso la poesia, verso la salvezza.

Questa è la parola chiave utile per comprendere l’idea che ci trasmette con questo suo ultimo libro Vincenzo Salerno, Professore di Letterature Comparate all’Università di Salerno, nonché Segretario generale della Società Italiana di traduttologia SIT.

Uno studio approfondito, sul viaggio fatto in poesia, in forma di “bella rima che fiorisce tra i versi”. Racconta quello fatto in versi e nella vita dello scrittore nord americano H. W. Longfellow, traducendo la “Divina Comedia” di Dante in lingua inglese.

Mia moglie ed io abbiamo assistito alla presentazione del libro in un’atmosfera densamente scolastica, guidati da una spettacolare presentazione di Dante e del suo poema tenuta da un vero genio della drammatizzazione letteraria.

E’ stata tenuta dal prof. Trifone Gargano in maniera davvero teatrale. Drammatizzata, per così dire, dall’intervento di alcuni studenti del Liceo T. L. Caro di Sarno, hanno recitato i versi danteschi, sia in versione italiana che in quella in lingua inglese fatta da W. H. Longfellow.

Devo confessare che, nella disputa involontaria tra le due versioni, ha avuto senza dubbio la meglio la versione in lingua italiana. Era ovvio. Non poteva essere altrimenti, come non poteva non emergere, ancora una volta, la grandezza del pensiero dantesco.

La traduzione della Divina Commedia di Dante Alighieri da parte di Henry Wadsworth Longfellow ha avuto un impatto significativo sulla letteratura americana. Longfellow è stato il primo americano a tradurre l’intera Divina Commedia in inglese, contribuendo in modo significativo a diffondere la fama di Dante negli Stati Uniti.

La sua traduzione ha reso accessibile l’opera di Dante a un pubblico più ampio e ha contribuito a consolidare il ruolo di Dante nella letteratura mondiale. Inoltre, Longfellow ha fondato il Dante Club nel 1862 per promuovere la diffusione dell’opera di Dante negli Stati Uniti, il che ha portato alla creazione della Dante Society, una delle più famose associazioni dantesche al di fuori dell’Italia.

La traduzione della Divina Commedia da parte di Henry Wadsworth Longfellow vive ancora un’accoglienza positiva in America. La sua traduzione è stata definita un’impresa straordinaria e ha resistito al passare di 150 anni dalla sua pubblicazione. Molti sostengono che è la migliore tra le numerose traduzioni successive.

La sua fedeltà alla visione di Dante per il suo ruolo nel rendere accessibile l’opera a un pubblico più ampio non poteva non essere avvertito da Vincenzo Salerno. Ha voluto, con grande intelligenza e, va detto, anche con grande passione e fatica, completare il suo lavoro che ebbe inizio con la sua laurea proprio sullo stesso W. H. Longfellow.

Questa nuova fatica Enzo, già ex-alunno della prof. Amelia De Stefano al liceo T.L. Caro, l’ha voluta completare e risolvere con un libro che è un vero e proprio documento di cultura linguistica trasversale, non solo nelle vesti di docente di lingua inglese e Professore associato di Letterature comparate, ma anche come Segretario generale della SIT (Società Italiana dei Traduttori).

Parlare di traduzioni e traduttori oggi nel ventunesimo secolo, mi riporta alla mente il famoso detto “traduttore-traditore”. In un tempo in cui si parla e si vive di Intelligenza Artificiale, leggere un libro scritto su uno scrittore che, dall’altra parte del mondo, oltre 150 anni fa, traduce un’opera come la Divina Commedia scritta, a sua volta, non solo in un’altra lingua oltre sette secoli prima, un poema scritto anch’esso in un idioma poi trasformato, se non vogliamo considerarlo addirittura scomparso, bene, tutto ciò ha del miracoloso.

Scusate questo lungo periodo ma è una considerazione che andava fatta. Come ha avuto modo di dire il prof. Trifone Gargano nella sua relazione, nella fatica di questo libro di Salerno, c’è una vena di “follia” se viene visto il tutto alla luce della liquida modernità in cui ci troviamo a vivere oggi. A pagina 112 del suo lavoro Vincenzo Salerno spiega le ragioni del titolo che ha voluto dare al suo libro. Egli scrive:

“Traducendo Dante bisogna perdere qualcosa. Potrebbe essere la bella rima che fiorisce tra i versi come il caprifoglio in mezzo alla siepe? Qualcosa di più prezioso della rima va conservato, precisamente, la fedeltà, la verità — la vita stessa della siepe.”

Sono parole del traduttore H. W. Longfellow che spiega la sua incapacità ed impossibilità a riproporre in inglese la poetica dantesca. Quella era una vera follia che l’americano seppe come evitare. Questo libro lo prova.

Quando Vincenzo Salerno, in esergo al suo lavoro, propone tre versi del Paradiso nei quali appare la parola “trasumanar”, tradotti in inglese, ai quali fa seguito poi la dedica “a mio padre”, il lettore può cogliere il vero significato, oltre che il valore, di questo libro.

Il “trasumanar” di Dante e il “naufragar” di Leopardi sono due concetti opposti, che rappresentano due visioni diverse della vita e dell’uomo. Il “trasumanar” dantesco è un processo di elevazione spirituale, che porta l’uomo a raggiungere una condizione superiore, quasi divina.

È un processo che avviene attraverso la contemplazione di Dio, che permette all’uomo di comprendere la sua natura divina e di trascendere i limiti dell’umana condizione.

Il “naufragar” leopardiano, invece, è un’esperienza di smarrimento e di alienazione, che porta l’uomo a perdere la sua identità e a sentirsi un estraneo nel mondo. È un’esperienza che avviene a causa della consapevolezza della finitezza dell’uomo e della sua incapacità di comprendere il senso della vita.

Il “trasumanar” dantesco è un processo positivo, porta l’uomo a raggiungere la felicità e la beatitudine, mentre il “naufragar” leopardiano è un processo negativo, porta l’uomo alla sofferenza e alla disperazione. Un messaggio positivo che dà il giusto valore a questo libro. Potrà forse essere considerato un libro di “nicchia”, per specialisti, ma non è così. Complimenti Enzo!

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Antonio Gallo
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Written by Antonio Gallo

Nessuno è stato mai me. Può darsi che io sia il primo. Nobody has been me before. Maybe I’m the first one. Nulla dies sine linea.

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