“The Spectator”: il settimanale più antico del mondo

Antonio Gallo
4 min readSep 25, 2021

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“Non fumum ex fulgore, sed ex fumo dare lucem
Cogitat, ut speciosa dehinc miracula promat.”
(Horace, Ars Poetica, V. 143)

Non c’è giornale con una storia più vivace e ricca di “The Spectator”. Oltre ad essere la rivista di attualità più antica del mondo, negli ultimi due secoli nessuna è stata più vicina a sfere di potere e di influenza in Gran Bretagna. Pubblicato per la prima volta nel 1828, durante gli ultimi giorni dell’era georgiana, The Spectator uscì pronto a combattere con i conservatori e il loro primo ministro, il duca di Wellington, con un sistema politico corrotto e con il mondo letterario poco brillante dell’epoca. Nei successivi 52 primi ministri, The Spectator non solo ha visto il mondo cambiare, ma si è buttato nella mischia: ha condotto una campagna coerentemente liberale, lottando per i diritti degli elettori, il libero scambio, la stampa libera e la depenalizzazione dell’omosessualità, offrendo allo stesso tempo critica di ogni tabù e ortodossia moderna.

10.000 Not Out celebra il numero 10.000 e racconta la storia turbolenta e tortuosa di 192 anni pieni zeppi di crisi e campagne, di talento letterario e arguzia pungente. Otto capitoli tracciano in technicolor l’evoluzione del titolo da settimanale radicale, a moralizzatore guardiano vittoriano, a cane da guardia in tempo di guerra, a rivista satirica, a consigliere High-Tory, all’irriverente ma influente The Spectator del ventunesimo secolo. Il libro intreccia copiose citazioni dall’archivio impareggiabile della rivista, la stampa contemporanea, lettere private e aneddoti del personale. (The Spectator)

Contrariamente a quanto scrive la presentazione di questo volume celebrativo sulla storia del settimanale, la prima edizione della rivista cartacea chiamata “The Spectator” è stata pubblicata oltre tre secoli fa, il settimanale più antico del mondo. Il giornale attuale, che leggo in edizione digitale, risale alla edizione cartacea del luglio 1828. L’originale è ancora più antico e discende dall’edizione del 1711 creata da Joseph Addison, un Whig politico e il suo compagno Dick Steele.

Conobbi questi due signori quando, oltre sessanta anni fa, io, figlio di un tipografo post-gutenberghiano di provincia meridionale italiana, decisi di iscrivermi all’università per imparare la lingua inglese, pur avendo studiato francese a scuola. Il libro del prof. Mario Chinol, docente all’IUO di Napoli, era il testo chiave del corso che mi introdusse alla passione per la lettura e la scrittura.

Questa antologia scolastica è testimone parlante nella mia biblioteca su GoodReads. I caratteri mobili costituiscono il DNA che conducono ai “bits & bytes” digitali di oggi e che portano il settimanale ai lettori nel mondo. Tutto nacque dalla voglia di comunicare scrivendo messaggi in un ambiente che ancora oggi ha il suo richiamo in un ambiente che si chiama “coffee house”. A Addison e Steele, scrittori e comunicatori nati, si affiancò un tizio di nome Sam Buckley, tipografo e la voglia di bere quella bevanda che ancora oggi ci rende tutti dipendenti: il caffè.

Nacque l’ambiente, i luoghi nei quali si poteva non solo incontrarsi bevendo una nuova e strepitosa bevanda, fumando il mitico tabacco ed incontrarsi ma anche scrivere e discutere: le cosidette “Coffee Houses”. Si erano gettate le basi del giornalismo moderno. Senza questi elementi essenziali, insieme alla voglia di scrivere e comunicare, non sarebbe potuto nascere lo “Spettatore”, una figura umana, culturale e commerciale che non esisteva prima.

Addison faceva parte di quel “big bang” letterario e comunicativo. Fece fare alla lingua inglese cose che non aveva mai fatto prima, incluso quello di diventare uno strumento per il pensiero sociale. Ma nemmeno lui pensava che si potesse scrivere qualcosa di decente in inglese perché i materiali di base, le parole, la sintassi, i modelli verbali, erano un po’ zoppicanti. Milton era fantastico, disse, ma confrontare qualsiasi cosa scritta in inglese con i classici significava paragonare un palazzo fatto di mattoni a uno fatto di marmo.

Ma sotto Addison, quei mattoni venivano trasformati in marmo da una nuova generazione di artigiani. E cercavano sostegno non da una corte reale o da un benefattore, come tutti gli scrittori dovevano fare prima: ora avevano scommettitori disposti a comprare, e a spendere molto. È un punto cruciale. Il mercato si stava dimostrando mecenate delle arti più efficace di qualsiasi nobile avesse fatto fino a quel momento.

Addison credeva moltissimo in un mercato popolare per i classici: un’idea che gli snob, allora e ancora oggi, fanno ridere: perché la plebe avrebbe voluto leggere Omero? E invece lo fece. Idealmente in inglese. L’amico di Addison, Alexander Pope, doveva dimostrare qualche anno dopo che il mercato poteca essere utile, quando usò la sua fama poetica per chiedere la sponsorizzazione per trascrivere l’Iliade in inglese. Fu un successo editoriale.

Quasi tutti i saggi, i moderni articoli, dello Spectator, non solo quelli di Addison e Steele, erano divertenti. Alcuni erano maleducati o addirittura oltraggiosi, ma il tono contava: era un veicolo per esplorare argomenti incendiari senza perdere gli occhi. L’umorismo era il mezzo per un corretto scambio di idee, l’antidoto al tribalismo (o ‘entusiasmo’, come lo chiamava Addison). Addison “presentava la conoscenza nella forma più allettante”, scrisse Johnson, “non eccelsa e austera, ma accessibile e familiare”. L’umorismo è l’antidoto alla rabbia tribale.

Oggi, “The Spectator” vende più copie cartacee che in qualsiasi altro momento della sua storia. Ci sono newsletter, e-mail, podcast, blog, eventi, sistemi mediatici che cercano di continuare il tono, lo stile, l’umorismo e la varietà del progetto Addison. Gli slogan, ‘non pensare allo stesso modo’, ‘fermi ma corretti’, ‘aperti al dibattito’, potrebbero essere stati usati tutti per vendere l’edizione settecentesca di Addison.

Originally published at https://www.spectator.co.uk.

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Written by Antonio Gallo

Nessuno è stato mai me. Può darsi che io sia il primo. Nobody has been me before. Maybe I’m the first one. Nulla dies sine linea.

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