“Sterminator Vesevo …”

Antonio Gallo
3 min read5 days ago

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Foto@angallo

L’ho fatta oggi pomeriggio durante il solito footing pomeridiano. Una immagine ha sempre un senso. La fotografia come esorcismo: tra mito e psicologia. Fotografare il Vesuvio avvolto dalle nuvole non può ovviamente influenzare un’eruzione, ma nel regno del simbolo e della cultura popolare, questo gesto ha radici profonde. E’ come una antropologia del controllo.

Nella tradizione napoletana, il Vesuvio è visto come un gigante capriccioso, da placare con riti, come ad esempio il culto di San Gennaro. Scattare foto al vulcano “addormentato” dalle nubi ricorda antichi rituali di addomesticamento visivo. E’ come fissare l’ignoto per renderlo meno minaccioso.

I pescatori di Torre del Greco ancora oggi tracciano segni apotropaici sulle barche per “ingannare” il vulcano. E’ come una psicologia della catastrofe, anche in considerazione dei continui segnali sismici che in questi giorni il territorio circostante continua a segnalare. Vivere all’ombra di un vulcano attivo genera una forma di ansia esistenziale.

Fotografarlo coperto da quella nuvolaglia come si vede nelle mia immagine diventa un atto di illusione di controllo, simile a chi fischia nel buio per scacciare la paura. Le nuvole, in questo caso, sono la metafora di una temporanea tregua. Perché la scienza dice “no”, ma l’arte ride mentre la geologia è spietata.

Le eruzioni sono determinate dalla inevitabile pressione sia magmatica che tettonica, non da nuvole o rituali. Il Vesuvio è uno dei vulcani più monitorati al mondo, ma la sua prossima eruzione rimane imprevedibile, nonostante i satelliti e i sismografi. Tuttavia, l’immagine ha un potere alternativo.

“Vesuvius in Eruption” — Joseph Wright (1777–1780)

Guardate il dipinto Vesuvius in Eruption di Joseph Wright of Derby (1774). Il vulcano è avvolto da nubi luminose, quasi a sublimarne la furia. L’arte trasforma la catastrofe in bellezza, “esorcizzandola” attraverso l’estetica.
Oggi, i social media pullulano di foto del Vesuvio innevato o circondato da nebbia: un modo per narrarlo come guardiano, non come assassino.

Chi ci ha davvero provato? Storie di esorcismi falliti. I Borbone e la Cappella sul cratere. Nel 1858, Ferdinando II fece costruire un eremo sulla sommità del Vesuvio, con una cappella dedicata al Sacro Cuore. L’idea era “domare” il vulcano con la fede. Nel 1944, l’eruzione seppellì la cappella sotto 10 metri di lava. Il “munaciello” e gli scongiuri.

Nella tradizione napoletana, il munaciello (spirito folletto) era invocato per proteggere le case dal Vesuvio. Si credeva che disegnare il suo volto sulle pareti scongiurasse la lava. Risultato? Decine di case di Pompei avevano quegli affreschi, ma non servirono a nulla. Allora, a cosa serve fotografarlo?

Risposta provocatoria: serve a esorcizzare la paura, non il vulcano. Per i napoletani, condividere un Vesuvio fumante con l’hashtag è un atto di sfida ironica, tipica della mentalità partenopea: ridere del pericolo per negarne il potere. Per i turisti, è un modo per trasformare la minaccia in souvenir: il vulcano diventa un selfie, ridotto a icona innocua.

Esorcizzare il Vesuvio è impossibile, ma fotografarlo velato di nuvole rivela una verità profonda: l’uomo ha bisogno di credere di poter addomesticare l’incontrollabile, fosse solo per un attimo.

Roberto Saviano ha scritto: «Il Vesuvio è l’unico dio che Napoli riconosca. E gli dei, si sa, si possono solo pregare o ignorare. Mai controllare».

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Written by Antonio Gallo

Nessuno è stato mai me. Può darsi che io sia il primo. Nobody has been me before. Maybe I’m the first one. Nulla dies sine linea.

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