Siamo quello che leggiamo …
Così come siamo quello che mangiamo, possiamo dire che siamo anche quello che leggiamo. Non per tutti, ovviamente, vale questa considerazione.
La cosa può andare bene se ci riferiamo al cibo, non lo possiamo dire se pensiamo alla lettura. Il cibo per la mente non è quello per il corpo.
C’è gente che vive solo per mangiare, altri mangiano solo per vivere. C’è poi chi vive senza mai leggere nemmeno un libro, eppure sopravvive. Mentre ci sono alcuni, come chi scrive, che non può fare a meno di leggere. Soltanto se leggo, riesco a capire quello che penso e sono. Del resto qualcuno, di ben altro e più pensante pensiero, ebbe a dire “Cogito ergo sum”.
Potrei, allora, facilmente dire “leggo, dunque sono”. Se lo sono, non è per caso. Tutto ha un senso se mi ritrovo figlio di un tipografo, di una famiglia di stampatori ed editori post-gutenberghiani.
Quando si dice l’evoluzione della specie e guardo i libri ereditati da mio padre, cartacei e segnati dai colori del tempo, affiancati dai miei diventati digitali, mi chiedo “chi/cosa” sono e scopro che mi è difficile dare una risposta.
Lo è anche per l’autore di questo libro, un professore della New York University. Non è il primo e non sarà l’ultimo libro sui libri, su chi li legge e chi li scrive. Il suo è un invito a leggere in maniera attiva e per scelta, leggere per prevedere e in maniera retrospettiva, per interpretare e valutare, leggere per una ragione e in maniera abituale e per il piacere di farlo. Una sorta di “credo” scritto non solo su carta ma anche in “bits & bytes”.
Il libro si muove tra approcci, applicazioni ed usi, con due appendici ed una “coda”. Molto interessante quello che l’autore scrive a proposito della lettura su carta e quella digitale.
Trovo la sua sintesi molto intelligente e semplice: leggere in digitale significa leggere per informarsi e per convenienza, mentre leggere in cartaceo significa leggere per sapere e conoscere se stessi e il mondo. Entrambi i modi sono utili per capire chi/cosa siamo.