“Si nasce tutti pazzi, alcuni lo restano”
Un giocatore dell’assurdo. Scrive: «Si nasce tutti pazzi. Alcuni lo restano». E’ considerato uno tra gli intellettuali più influenti e complessi del XX secolo. Bello, elegante e decisamente affascinante, specie in vecchiaia, è infelice, grandemente scomodo, inevitabilmente strano. È lui che nel 1969 riceve il premio Nobel per la letteratura e che non andrà mai a ritirarlo. Ha quella che oggi si chiamerebbe «depressione».
Nasce a Dublino da genitori borghesi protestanti, che limitano molto la sua infanzia, favorendo la sua naturale introversione. Vive in modo ossessivo i rapporti interpersonali: dipenderne o liberarsene? Significativo anche il rapporto con la pubblicazione delle sue opere: raramente prendono una forma compiuta. Si trasferisce a Parigi, dove frequenta lo scrittore James Joyce, che avrà una profonda influenza sul suo pensiero. Si allontana brevemente da lui quando rifiuta di sposarne la figlia Lucia, schizofrenica.
Tornato in Irlanda nel 1934, alla morte del padre, soffre di una violenta fase di depressione. A Londra inizia una terapia psicanalitica che si rivela utilissima.Nel 1938 è di nuovo a Parigi: dopo un periodo di abusi, alcol e prostitute, incontra Suzanne Dechevaux-Dumesnil, che ha dieci anni più di lui e che sposa, preferendola a Peggy Guggenheim. È a questo punto che Beckett scopre dentro di sé la vera creatività.
Tra il 1945 e il 1955 diventa uno dei massimi esponenti del Teatro dell’Assurdo, mettendo in scena l’alienazione dell’uomo contemporaneo, e scrive la sua opera più importante, Aspettando Godot, tragicommedia dell’attesa. Una situazione surreale in cui il silenzio diventa comunicazione. Due uomini aspettano per un motivo sconosciuto l’arrivo di un terzo, Godot, che non arriverà mai. Muore a Parigi nel 1989, sei mesi dopo la moglie. Nel cimitero di Montparnasse, condivideranno una semplice lapide di granito,secondo i suoi desideri, «senza colori, lunga e grigia». 13 aprile 1906 nasce Samuel Beckett drammaturgo, scrittore e poeta (+1989)
La poesia che segue esprime in quattro lingue la sorprendente leggerezza con la quale uno dei miei scrittori preferiti, Samuel Beckett, esprime il suo pessimismo. Lo fa senza mai nominarlo, apertamente inconsapevole, ma chi legge ne riceve il messaggio in maniera sia personale che universale. Una poesia che scorre senza pause o esitazioni, non ci sono virgole, maiuscole o altri segni che possano indicare la strada che il poeta ha scelto di percorrere. Il poeta non ha messo nemmeno il punto di chiusura finale. Solo le parole scivolano tra la malinconia e la tristezza di chi scrive, trasmettendole a chi legge, in un mondo che sembra non avere un inizio e nemmeno una fine. Senza senso.
Punto di osservazione del poeta è quell’oblò di navicella nella quale viaggia, non solo intorno alla terra ma anche intorno a se stesso, chiuso come si trova nel suo corpo scafandro. Ha lasciato dietro di sé non solo le domande, i ricordi, i silenzi e i rumori del mondo. Ma anche l’amore che il perduto cielo gli donava. Gli resta solo la polvere delle sue inutilità terrene, un peso dentro che l’opprime, come il vuoto della segatura di una marionetta che ruota nello spazio muto, soffocato soltanto da quelle voci del mondo che ha perduto e che gli son rimaste dentro.
Pessimismo cosmico sì, ma inteso soltanto come perdita, assenza, rimpianto di un mondo che può avere una dimensione diversa da quella sentita e descritta da lui stesso. “Cosa farei” si chiede se perdessi questo tipo di mondo. Non è possibile che io possa vivere in un mondo del genere, e’ necessario fare di questo mondo qualcosa di diverso, qualcosa che vada oltre quelle domande alle quali sembra non ci siano risposte e che invece abbiano e diano un senso al tutto.
Quell’universo che sembra perduto e che vedo fuori attraverso l ‘oblò, lo ritrovo in me stesso. L’onda che potrà ricongiungermi con l’infinito dal quale sono venuto. Sembra quasi che da un momento all’altro compaia Godot a dare un senso al tutto. Si sa che non arriverà. Ma l’attesa basta a dirci che è l’unica strada da intraprendere se non vogliamo finire nel silenzio più assoluto, in un mondo senza domande e quindi senza senso.
cosa farei senza questo mondo né domande
ove essere non dura che un istante in cui ciascun istante
si rovescia nel vuoto nell’oblio d’essere stato
senza quest’onda dove infine
sprofonderanno insieme corpo e ombra
cosa farei mai senza questo silenzio abisso di bisbigli
furiosamente anelante il soccorso l’amore
senza questo cielo che s’innalza
sulla polvere delle sue zavorre
cosa fare mai farei come ieri come oggi
guardando dal mio oblò se non sono solo
a vagare e girare lontano da ogni vita
in uno spazio marionetta
senza voce fra le voci
conchiuse in meQuesta poesia è tratta dal volume “Samuel Beckett, Le poesie”,
a cura di Gabriele Frasca, Einaudi 1999— — -
que ferais-je sans ce monde sans visage sans questions
où être ne dure qu’un instant où chaque instant
verse dans le vide dans l’oubli d’avoir été
sans cette onde où à la fin
corps et ombre ensemble s’engloutissent
que ferais-je sans ce silence gouffre des murmures
haletant furieux vers le secours vers l’amour
sans ce ciel qui s’élève
sur la poussieère de ses lests
que ferais-je je ferais comme hier comme aujourd’hui
regardant par mon hublot si je ne suis pas seul
à errer et à virer loin de toute vie
dans un espace pantin
sans voix parmi les voix
enfermées avec moiSamuel Beckett, Collected poems in English and French,
London, 1977, John Calder (Publishers)— -
what would I do without this world faceless incurious
where to be lasts but an instant where every instant
spills in the void the ignorance of having been
without this wave where in the end
body and shadow together are engulfed
what would I do without this silence where the murmurs die
the pantings the frenzies towards succour towards love
without this sky that soars
above its ballast dust
what would I do what I did yesterday and the day before
peering out of my deadlight looking for another
wandering like me eddying far from all the living
in a convulsive space
among the voices voiceless
that throng my hiddennessTraduzione dello stesso Samuel Beckett
nell’edizione citata sopra.— —
was würde ich tun ohne diese Welt ohne Gesicht ohne Fragen
wo Sein nur einen Augenblick dauert wo jeder Augenblick
ins Leere fließt und ins Vergessen gewesen zu sein
ohne diese Welle wo am Ende
Körper und Schatten zusammen verschlungen werden
was würde ich tun ohne diese Stille Schlund der Seufzer
die wütend nach Hilfe nach Liebe lechzen
ohne diesen Himmel der sich erhebt
über dem Staub seines Ballasts
was würde ich tun ich würde wie gestern wie heute tun
durch mein Bullauge schauend ob ich nicht allein bin
beim Irren und Schweifen fern von allem Leben
in einem Puppenraum
ohne Stimme inmitten der Stimmen
die mit mir eingesperrtBeckett
Versione in tedesco