Si chiamava Alfredo, il postino di Via Fabricatore, a Sarno…
Tra le tante “arti” che sembrano essere destinate a scomparire con l’evoluzione dei tempi e della tecnologia, quella di scrivere lettere è la più diffusa, se non la più amata.
Eppure le lettere scritte a mano, di proprio pugno continuano a suscitare tanto fascino nell’epoca del trionfo di Internet, della posta elettronica e della messaggistica digitale.
Leggere le lettere scritte a mano, per ricostruire i retroscena della vita di ogni essere umano, può essere considerata una forma di voyeurismo intellettuale, oppure anche il modo migliore per coglierne la vita personale e interiore, pur senza violarne l’intimità.
Per millenni le lettere hanno plasmato la storia e l’esistenza degli individui: la digitalizzazione della comunicazione e l’avvento delle e-mail hanno cancellato la vitalità e l’autenticità di un semplice foglio scritto a mano, con una penna/pennino bagnati in un calamaio pieno di nero inchiostro, oppure vergato da una più moderna penna biro, e poi infilato in una busta affrancata.
Non intendo qui di certo lanciare una crociata contro il progresso tecnologico-informatico. Non rispetterei le mie origini, erede e figlio di una famiglia di tipografi stampatori post gutenberghiani, ed anche genitore di un figlio erede, quotidianamente collegato ad una realtà di lavoro che della connectografia ha fatto il suo ambiente di lavoro.
Desidero, piuttosto, in questo mio “amarcord” postale, riaffermare “il romanticismo della posta”, in epoche in cui gli scambi epistolari fornivano “il tramite silenzioso di ciò che era importante e accessorio, descrivevano le gioie e le sofferenze più intense dell’amore”. Così Simon Garfield, in un suo libro su questo argomento. Egli prefigura un mondo senza lettere e francobolli, e al tempo stesso celebra un aspetto centrale del nostro passato, una modalità di scambio basata sulla riflessione e il rispetto.
Storia, aneddotica e curiosità si intrecciano in un racconto venato di erudizione e ironia, dalle tavolette anonime della Britannia romana fino ai nostri giorni: i capolavori di Cicerone e Seneca, le passioni che infuocavano Anna Bolena e Napoleone, l’anonima vita quotidiana di Jane Austen, l’incontenibile esuberanza epistolare di Madame de Sévigné.
Una celebrazione piuttosto grande, sia nel tempo che nello spazio. Per quanto mi riguarda anche io posso dire di averne occupato parecchio sia dell’uno che dell’altro. I ricordi possono avere inizio, guarda caso, dalle “lettere”, non quelle di cui stiamo parlando in termini di corrispondenza, ma in senso di lettere dell’alfabeto, quei caratteri mobili che caratterizzavano la stampa fino a qualche anno fa.
Non dimentico mai di avere imparato a leggere e scrivere mettendo in fila quei caratteri sul compositore aiutato da mio padre. Caratteri di piombo e di legno che davano vita alla “forma” che poi facevano poi nascere la “pagina” stampata.
Ma qui si parla delle “lettere” sul foglio scritto a mano, estensioni fisiche e mentali, sostituite oggi dalle lettere/caratteri sulla tastiera del pc o del cellulare, diventati estensioni del nostro corpo. Sono ancora ripieni di una sterminata corrispondenza cartacea i cassetti delle mie diverse librerie che raccolgono le tracce di un tempo che ritrovo su questi fogli. Non mi piace aprirli questi cassetti, sfilare quelle buste, aprire e leggere quei fogli, interpretare quelle scritture, mettere in moto la macchina dei ricordi, ritrovare un tempo irrimediabilmente perduto.
Ricordo ancora oggi la voce del postino, quando arrivava alle prime ore del mattino, in quel grande cortile al numero 14 di Via Fabricatore, nella città di Sarno. Si chiamava Alfredo, la sua voce risuonava sul vasto piazzale con il nome del destinatario e sapevi che c’era posta per te: Gallo, Abenante, Squitieri, Sirica, Cristiano … Sapevi chi aveva ricevuto una lettera quel giorno.
C’è stato un tempo della mia fanciullezza, quel periodo così evanescente della vita umana, compreso più o meno fra il 6° e l’11° anno, e quindi intermedio tra l’infanzia e l’adolescenza, caratterizzato sul piano dell’evoluzione psicologica, durante il quale si formano ricordi che presto svaniscono ma che poi, stranamente, ricompaiono quando invecchi.
Fu in quegli anni che, dopo di avere imparato a leggere e scrivere le “lettere” della tipografia, cominciai a scrivere vere e proprie lettere di mio pugno. In quello stesso portone, allo stesso numero di quella strada c’era anche un’edicola in embrione, quella dei mitici Ciro e Angelina (‘Ngiulina & Giritiello). Era iniziata l’era dei fumetti, dei giornali confidenziali e proibiti.
Era cominciata l’epoca della corrispondenza. Potevi trovare su quella stampa indirizzi di tutti i tipi ai quali scrivere per iniziare qualsiasi forma di corrispondenza. Era il tempo dei “Grand Hotel”, delle “Confidenze”, “Le Ore”, “Crimen”, “Sogno”, “Bolero”, “Domenica del Corriere”, “Tribuna Illustrata” …
Abbondavano le lettere con le richieste di corrispondenza. C’erano organizzazioni “Pen Friend” che fornivano indirizzi per ogni tipo di esigenza comunicativa. Le occasioni per scrivere lettere di certo non mancavano. Anche io ne scrivevo molte invece di studiare. Un modo ed una ragione per cercare di evadere da una realtà che poteva essere davvero soffocante.
Tempo fa, ho incontrato il figlio di Alfredo, il portalettere di cui ho detto innanzi. Anche lui postino, che prese il posto del padre. Ci incontrammo, guarda caso, davanti al microscopico ufficio postale della frazione di Episcopio di Poste Italiane a Sarno. Sotto il sole infuocato di luglio, in piena pandemia, facemmo la fila per oltre un’ora per ritirare una raccomandata. Non vi dico quello che ci siamo detti a proposito di Poste Italiane, del tempo perduto, di come funzionava una volta il servizio postale.
Abbiamo constatato che si stava meglio quando si stava peggio. Per protestare volevo scrivere una lettera alla direzione di Poste Italiane. L’ho scritta a mano e messa in una busta. Ho vagato per tutto il paese in cerca di un tabaccaio per un francobollo. Non l’ho trovato. Non esistono più i francobolli. Devi fare la fila di oltre un’ora e ritornare all’ufficio postale. Ho rinunciato e ho deciso di inviare un bel “vaffa” a Poste Italiane e a chi so io …