“Ribellarsi”, ovvero: come “ritornare al bello”

Antonio Gallo
4 min readMar 9, 2021

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Il libro

Non lasciatevi ingannare dal titolo. Questo libro non ha nulla a che fare con il comune senso di ribellione o con la tradizionale ecologia che tutti ormai conosciamo.

Ecologia umana è una formula coniata da Papa Benedetto XVI. Qui la parola giusta che intende l’autore del libro, un sacerdote, è “egologia”, vale a dire “cura dell’io”, la sua pulizia, la sua estetica, l’io dei singoli, di ognuno di noi esseri umani.

In un tempo come quello che stiamo vivendo, nel quale l’umanità si vanta della sua potenza di conoscenza, gli individui, anzi le persone, contano men che zero.

Soltanto foglie al vento che non bada al singolo e colpisce la massa nel suo insieme. Ognuno di noi sembra essere considerato men che niente.

A questi esseri impauriti e sperduti, il prete Giulio Dellavite propone di “ri-bellarsi”, cioè di “ritornare al bello” per far fronte alla frantumazione della coscienza, quella coscienza che, nonostante tutto, ognuno di noi sa di avere. Una sfida individuale a rovesciare questa condizione. L’autore scrive:

“Questa sfida prende nel libro le sembianze di una donna in viaggio. Ma verso dove? Verso cosa? O forse verso chi? Lo scopriremo insieme. Intanto vi anticipo una cosa: fidarsi è bene, ribellarsi è meglio!”.

Non si tratta quindi, secondo l’etimologia classica, “fare guerra”, bensì “tornare alla bellezza”, “tornare ad essere belli, rendendo bello ciò che ci circonda, sopratutto il nostro “io”, egologia, appunto. In copertina appare l’immagine di un treno trainato da una locomotiva a vapore il cui fumo sembra diventare polvere di stelle che si spande in un cielo verde-azzurro.

Un libro questo davvero strano, sembra capirsi soltanto da queste poche impressioni che ho detto. Nella sua introduzione l’autore dice che “la lettura richiede un pò più di calma, attenzione, pazienza, fatica”. Arriva, addirittura, a dire che per il lettore sarà come prendere parte ad un tipo di lettura, anzi un viaggio, visto che tutta la vicenda si svolge su di un treno, alla maniera di come un tempo la Chiesa chiamava “esercizi spirituali, quel tipo di incontri che portavano a guardare al lato più profondo di sè, quello meno conosciuto.

Quindi più che un romanzo saggio, questo nuovo libro è un saggio romanzato, in un modo surreale. Una donna, un’insegnante, è la protagonista. Messaggio importante lanciato da un prete al suo personaggio che solo alla fine il lettore conoscerà con il suo nome: “Veintiuna”. Piuttosto misterioso davvero! Lei stessa ammette di avere un significato non solo misterico ma anche femminile. Dice di essere stata variamente chiamata:

“Anima, Via, Vitalità, Interiorità, Coscienza, Personalità, Vocazione, Spiritualità, Vocazione, Energia, Ispirazione, Essenza, addirittura Chakra, alla maniera orientale, oppure Psyche, all’antica maniera greca.”

Una sorta di Gulliver alla scoperta del mondo, cioè di se stessa, di sè e degli altri. Su quel treno salgono di volta in volta personaggi che sono membra del corpo umano e insieme membri dell’umanità.

La famiglia Testa con la madre Bocca e i tre figli Vista, Udito, Naso. Sale poi la PANCIA che è un acronimo di Progetto Atletico New-Educational Calcio Incontro & Agonismo. Con la loro complessità energetica si presentano come una squadra di calcio con i suoi undici giocatori: Cuore, il capitano, i due Polmoni, i due Reni, lo Stomaco, Milza, Fegato, Intestino, Ombelico e Pudenda.

In ogni momento di lettura sono rimasto stupefatto dalla originalità delle situazioni che l’autore riesce a trasmettere al lettore. Vi assicuro che raramente ho letto un libro in cui l’autore sia riuscito a dimostrare la sua erudizione legandola a immagini tanto fantasmagoriche quanto evanescenti, ma con una precisione scientifica e letteraria tanto significativa quanto armonica.

I vari organi coinvolti in un ragionamento ecologicamente ed anatomicamente umano in viaggio, è il caso di dire, con una direzione giusta verso la massima coesione sociale e l’armonia interiore. Il tutto non funziona soltanto in maniera psicoanalitica, ma in una formula che il sacerdote don Giulio dimostra, ovviamente, di conoscere bene attraverso il suo libro mastro che è il Vangelo.

Qualcuno ce l’ha in tasca su quel treno. Quando gli si chiede che libro è, la persona risponde: “E’ un Vangelo. Un libro che ha due primati: è il più venduto e il meno letto”. Dopo l’introduzione, il viaggio inizia con l’ecologia della Testa, poi quella della Pancia, delle Mani e del Piede per concludersi nella Ecologia della “rete”. Mi piace questa immagine con la quale chiudo questo post, invitandovi a leggere questo straordinario libro. Il testo mi serve perchè è una metafora molto significativa:

“Oggi va tanto di moda “fare rete”, se ne sente l’esigenza ovunque e talvolta diventa un’espressione inflazionata, ma per scomprenderne fino in fondo il senso andrebbe ricordata una novella di Johannes Jørgensen. Un piccolo ragno salì su un albero e da lì si calò e raggiunse una siepe dove iniziò a tessere una tela il cui lembo superiore era retto da un filo lucente.. Realizzò un’opera bella e grande, un lavoro raffinato, a tal punto da perdersi nell’azzurro del cielo. Nel tempo il ragnetto cresceva e la ragnatela si faceva sempre più articolata e invidiata. Una mattina il piccolo ragno si svegliò di cattivo umore e inziò a controllare il suo capolavoro, tutto sembrava perfetto, finchè non si accorse che dalla parte superiore della rete partiva un filo teso veso l’ignoto, di cui non ricordava la funzione e nemmeno l’esistenza. Conosceva gli angoli di snodo di tutta la tessitura, il livello di tenuta, il punto di forza al quale si ancoravano i fili; ma quel filo? “Dove andrà a finire? Sembra inutile!”. Lo tranciò e tutto gli rovinò addosso. Aveva dimenticato che, giorni prima, in un mattino soleggiato, proprio da quel fili aveva inziato a tessere la sua tela. Adesso si trovava sulla foglie della siete, avvolto nella sua stessa tela divenuta ormai un umido cencio. In un solo istante quel magnifico lavoro era andato distrutto e soltanto perchè lui non aveva capito l’importanza di quel filo dall’alto.”

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Written by Antonio Gallo

Nessuno è stato mai me. Può darsi che io sia il primo. Nobody has been me before. Maybe I’m the first one. Nulla dies sine linea.

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