Resta soltanto la “povertà” di idee
La cultura della politica o la politica della cultura? Viene prima la politica, poi la cultura, per entrare, a vele spiegate, nel mercato dell’analfabetismo funzionale.
Avete notato come è aumentata la produzione di libri scritti da politici, o quanto meno da chi fa “politica social”?
Il ritaglio che vedete qui di fianco è soltanto un “assaggio culturale”, chiamiamolo così, di recentissima chiamata.
Uno degli autori, quello con gli occhiali, ha dichiarato, senza vergognarsi di dirlo: «In troppi ormai scrivono libri. In Italia basta essere transitati per qualche minuto davanti a una telecamera per sentirsi accreditati a farlo. Si vive una bulimia di scrittura commerciale senza precedenti. Questo mi scoraggia…».
Ci vuole, infatti, davvero “coraggio” a pensarlo, scrivendoci su, appunto un libro, a seguito della sua esperienza politica. Poi, però, questo scrittore, ha superato lo scoramento e ha pubblicato anche lui un libro, convinto che, (e non ha vergogna a dirlo), «avrebbe potuto aiutare tante persone, in situazioni di difficoltà simili alla mia, a non mollare».
Il trauma di cui parla sarebbe quello di non essere più Ministro delle Infrastrutture, ma solo Senatore della Repubblica Italiana a 15mila euro al mese, una difficoltà straziante nella quale si riconosceranno milioni di italiani.
Non è mia intenzione qui criticare chi pensa, scrive e pubblica libri. La nostra epoca è una delle più felici della storia della comunicazione umana. Un tempo la si poteva chiamare “grafomania”. Oggi è qualcosa di molto diverso. Tutti finalmente abbiamo la possibilità non solo di pensare, scrivere e comunicare quello che pensiamo, ma anche di pubblicarlo. Basta intendersi su questo concetto.
Quando ho imparato a leggere e scrivere nella post-gutenberghiana tipografia di famiglia, la lettura stava per diventare una abilità/capacità di patrimonio comune. Agli inizi degli anni cinquanta del secolo e millenio trascorsi, il 12,90 per cento della popolazione italiana era ancora analfabeta. Oggi, grazie al cielo, si calcola solo un due percento. Ma è l’idea di “analfabetismo” che è del tutto cambiata.
Se prima si parlava di persone che non sapevano leggere e scrivere, oggi si parla di un diverso tipo di analfabetismo. Ricordo non molti anni orsono, quando mi trovavo all’ufficio postale, mi capitava spesso di venire richiesto di apporre una firma per il riconoscimento a favore di qualcuno che non sapeva firmare. Oggi, questa deficienza è scomparsa. L’ha sostituito l’ “analfabetismo funzionale”.
Un record in Italia, il più alto in Europa, raggiungendo il 28% della popolazione tra i 16 e i 65 anni. Il 9,4% di questi ha un età compresa tra i 16 e i 24 anni, mentre il 24,2% ha tra i 25 e i 34 anni. Ma cos’è? Si chiamava “analfabetismo funzionale”. Al contrario dell’analfabeta strutturale, quello funzionale riesce a leggere e scrivere, ma è incapace di comprendere, elaborare e interpretare un testo letto.
Questo fenomeno colpisce sopratutto la fascia più giovane della popolazione, un allarme per i docenti di tutta Italia. Ogni qualvolta in classe presentavo ai miei studenti un testo, non dimenticavo mai di dire loro di affrontare la lettura e lo studio non solo in maniera orizzontale, ma anche verticale. Il modo necessario per saper comprendere, elaborare ed interpretare. Il riferimento era, ovviamente, alle fatidiche, tradizionali, canoniche inglesi “wh-questions”: chi-cosa-quando-dove-perchè.
Secondo dati riportati dallo Human Development Report, il livello di analfabetismo in Italia è il più alto in Europa, raggiungendo il 28% della popolazione tra i 16 e i 65 anni. Il 9,4% di questi ha un età compresa tra i 16 e i 24 anni, mentre il 24,2% ha tra i 25 e i 34 anni.
Questi dati non ci dovrebbero sorprendere, considerando il fatto che più di un sesto degli studenti italiani abbandona gli studi prima di conseguire il diploma. La causa di ciò è da attribuire al fatto che la lettura è sempre più trascurata dai giovani. Il 75% delle famiglie di ragazzi analfabeti funzionali ha, infatti, dichiarato di possedere meno di 25 libri.
Da una esperienza più che quarantennale nell’insegnamento linguistico mi sento di poter dire che i social media giocano un ruolo indubbiamente fondamentale come responsabili della carenza dell’uso di un linguaggio corretto da parte dei giovani.
Mentre scriviamo messaggi sui nostri dispositivi siamo in costante ricerca di un modo rapido e semplificato di esprimerci. Vedi ad esempio il fiorire di “emoticon”, segni sostitutivi della parole. È innegabile che il linguaggio da noi usato sui social media è entrato a far parte della vita di tutti i giorni, limitando fortemente le nostre capacità lessicali e l’uso corretto della grammatica.
È proprio questo che ha portato molti esperti a pensare che questo fenomeno sia strettamente legato alla rivoluzione digitale e alla conseguente sovrabbondanza di dati a cui siamo sottoposti. A distanza di qualche decennio, tempo relativamente breve, se si pensa a quello che è il ritmo dello sviluppo umano, ci siamo ritrovati sommersi di ogni tipo di informazione e, secondo alcuni studiosi, è come se questo ci avesse mandato in tilt il cervello.
Si tratta di una vera e propria emergenza: se si considerano tutti i paesi industrializzati siamo secondi solo al Messico per livello di analfabetizzazione. Bisogna consapevolizzarsi al più presto, per riuscire a prendere provvedimenti contro questo attuale e urgente problema e il cambiamento deve partire proprio dai giovani.
Avete dato uno sguardo alla facce, ai titoli e agli argomenti nei quali si sono sentiti di tuffare le loro menti i sei giovani, brillanti e fortunati politici, autori/scrittori dei libri qui celebrati? Che la politica possa essere un “amore”, alla mia età, mi sento di replicare a chi l’ha detto, ricordando quello che disse, in maniera forse brutale, un politico della mia generazione: “sangue e merda”.
A voi giovani, brillanti, politici scrittori, tutti nati tra il 1972 e il 1982, il più giovane 35 anni, il più anziano 48, auguro ogni fortuna, ma vi assicuro che non comprerò i vostri libri, non li leggerò perchè li ho già letti sui social, nelle vostre chiacchiere nei talk show, nei vostri messaggi video e audio. Vi considero tutti miei cari studenti mancati, quelli ai quali piacevano sentire cantare la famosa canzone “Imagine”. Ma non me la sapevano commentare, non ne comprendevano il senso e l’utopia, non erano in grado di elaborare soluzioni e proposte alternative. Tutto quello che è rimasto è soltanto “povertà” di idee.
Come sottotitolo al suo libro, il giovin signore Luigi ha scritto: “La mia storia e ancora tutto quello che ancora non sapete”. A 38 anni avrà ancora tutto il tempo necessario per farcelo sapere. Che la vita “insegni”, nessuno lo ha mai messo in dubbio, ma non credo ci siano molti che possono sostenere, e dire che debbano tutto alla scuola. Lo ha scritto Lucia che è stata anche Ministro della “sua” scuola. Circa Danilo che si è qualificato “ministro più attaccato di sempre”, mi sento di dirgli che non ha ancora percorso quella strada di cui ho detto innanzi, quella della politica, segnata da “merda e sangue”. Per quanto riguarda poi le “riserve” di Vincenzo, posso dire che, in politica, come nella vita, è sempre bene scioglierle, così ognuno conosce bene la propria identità. A Rocco, che è stato soltanto un “portavoce” non mi resta che consigliargli di inventarsi un sua propria voce, magari facendosi sentire da Alessandro che, pur rifiutando ogni sorta di assembramento, si ostina a non sentire e resta sempre “contro”.