“Reddito di cittadinanza” e “reddito di lavoro”. Un mio ricordo …

Antonio Gallo
3 min readSep 9, 2021

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Ho letto che stanno per ri-finanziare il reddito di cittadinanza per chi è senza lavoro. Mi sono ricordato che nella nostra Costituzione c’è scritto che è il lavoro che ci rende pienamente cittadini. Una frase tanto bella quanto utopica. Badate bene, ho detto “utopica”, non “utopistica”. Nel marxismo storico, tuttora vivo in molti politici a diverse “stelle”, la parola ha una valenza diversa rispetto a utopistico, perché connota l’idea della realizzabilità concreta e positiva dell’utopia. Quando il partito delle “cinque stelle” ne ha fatto il suo cavallo di battaglia, facendo votare anche ai leghisti una “cosa” del genere, sono riusciti a trasformare in realtà una utopia: percepire un reddito senza lavorare. Adesso che i nodi stanno venendo inesorabilmente al pettine, si accorgono che sarebbe necessario trasformare il reddito di cittadinanza in lavoro di cittadinanza. Ho sintetizzato la situazione al massimo e mi sono ricordato di quando anche io andavo alla ricerca di un “reddito”. Sono stato anche io un “lavoratore”, come si evince dal documento che correda questo post e che ha il valore di un “amarcord”. Poco più di mezzo secolo fa, quanto basta per fare le differenze. Perché nella vita di oggi, terzo millennio, e quella di cui intendo parlare, fa una differenza epocale.

Tutto è cambiato di recente in questo mondo alla velocità della luce. Verso la fine degli anni cinquanta, nel secolo e nel millenio trascorsi, una crisi familiare aveva portato alla chiusura della gloriosa azienda grafica fondata da mio nonno nella Valle dei Sarrasti. Aveva dato lustro alla città che prende il nome del fiume con il medesimo nome. Chi scrive, giovane studente, da poco iscritto all’università in una facoltà che solo con il tempo mi resi conto era fatta per chi aveva ampie disponibilità economiche per frequentarla con profitto.

Confesso che è la prima volta che scrivo di questo tempo di particolare difficoltà che la mia famiglia attraversò in quegli anni. Ci fu qualcuno che consigliò a mio Padre di iscrivermi all’ “Ufficio di Collocamento” invece che all’Università I.U.O. Quella, a parere di molti, sarebbe stata per lui, ed anche per me, l’unica possibilità di trovare un lavoro. Ci scoprimmo entrambi disoccupati. Lui, stampatore e tipografo, seppe riciclarsi diventando rilegatore e restauratore di libri anche per la Biblioteca Nazionale di Napoli. Io, che avevo fallito negli studi delle lingue classiche, mi vendicai studiando quelle moderne, diventando un emigrante “lavoratore”, prima in Germania e poi in Inghilterra.

Non ricordo se ci fosse un “sussidio di disoccupazione” a quei tempi, so che stava per nascere quello che poi è passato alla storia del nostro Paese con il nome di “ miracolo economico italiano”. Il reddito di lavoro, alla base della nostra Costituzione, stava per fare del nostro Paese una delle prime potenze industriali del mondo. Sia in Germania che in Inghilterra ebbi modo di conoscere ed apprezzare il valore del “reddito di lavoro”, mentre mio Padre fece del lavoro la conclusione del suo viaggio terreno conquistandosi il suo “reddito di cittadinanza” sul campo di battaglia della vita. Una lezione che non potrò mai dimenticare. E’ il lavoro che rende non solo cittadini ma anche liberi.

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Nessuno è stato mai me. Può darsi che io sia il primo. Nobody has been me before. Maybe I’m the first one. Nulla dies sine linea.

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