Quando il libro è “libresco” …
Libresco. In senso spregiativo, attinto dai libri e non dall’esperienza diretta, letterario, teorico, dal francese “livresque”.
Una parola che si fa notare, si sente spesso, detta da chi, anche se legge i libri, non ne capisce il senso. Una parola sottile. Chi ama i libri rischia di arrabbiarsi quando la sente, ed io lo faccio. Il termine ‘libresco’ proietta sul libro un’ombra di difetto, addirittura spregiativa.
Ho pensato a questa parola quando ho letto l’uscita di questo libro, io che sono nato e cresciuto in una piccola tipografia postgutenberghiana, mettendo le lettere di piombo sul compositore una dopo l’altra. La parola ‘libresco’ ci mette criticamente davanti a una caratteristica del libro quale strumento di sapere.
Ma andiamo con ordine: a leggere la definizione che echeggia sui dizionari, il “libresco” è ciò che deriva dai libri, una nozione che va contrapposta a ciò che viene dall’esperienza diretta.
Una simile contrapposizione non la posso condividere specialmente perchè ho sempre pensato, sin da quando ero piccolo e vedevo tutti quei libri allineati sugli scaffali, che ogni uomo è un libro e tutti gli uomini formano la biblioteca del mondo.
I libri sono la riproposizione simbolica del sapere e delle esperienze umane. Scelgono, tagliano, cuciono, cristallizzano e rendono discreto il magma della realtà che ognuno di noi vive in maniera diversa, ma tutti allo stesso modo. Un tempo, questo magma, aveva il colore dell’inchiostro sulla carta, oggi in bits & bytes.
Il libro, come strumento che trasmette sapere ed esperienza, sostituisce con qualcosa di “fattizio”, cioè di un’esperienza costruita, diretta, che consiste di un vissuto in prima persona, e cioè anche di ricerca, riflessione personale, di frequentazione, di pratica. Il “libresco” racconta una dimensione non autentica, priva di originalità, goffa, che manca di contatto con la realtà della vita e del sapere, quasi che quello dei libri fosse un mondo parallelo. In effetti spesso lo può diventare, per autoreferenzialità. Il “libresco” scaturisce dai libri non come strumento di appoggio e interpretazione del reale, ma come unico orizzonte.
Volete qualcosa di “libresco”? Il pronome personale ‘egli’ che si contrappone a “lui”. È libresca una formazione professionale che non preveda alcun confronto col suo effettivo svolgimento. È “libresco” un commento che si avvita su altri commenti senza un riferimento all’opera originale. È “libresca” la narrazione di un amore da romanzo, che eclissa la spontanea varietà del sentimento.
Non è una parola facile da usare, perché il suo concetto è anche intelligente: la sua matrice spregiativa investe non il libro in quanto tale, ma una particolare sua perversione: la sua chiusura monologante e trita rispetto alla vita, all’esperienza e al contributo di chi legge. Mi viene da pensare alla biblioteca di Adolf Hitler di cui mi sono occupato in un post qui al link. Lui, sì che era un fanatico “libresco”.
L’umanista tedesco Sebastian Brant ne colse il carattere secoli in anticipo nella a sua satira “La Nave dei Folli” (1494) in cui ritrasse 112 diversi tipi di “pazzi libreschi”. E il primo a salire a bordo della nave fu il “Pazzo libresco”, che collezionava libri e leggeva per effetto. Brant non avrebbe mai potutto prevedere in pieno quello che questo “pazzo” sarebbe stato:
Se su questa nave sono il numero uno
Per ragioni speciali che è stato fatto,
Sì, sono il primo qui che vedi
Perché mi piace la mia libreria.
Di splendidi libri non ho fine,
Ma pochi che posso comprendere;
Amo i libri di varie età
E tieni le mosche lontane dalle pagine.
Dove si professano arte e scienza
Dico: a casa sono più felice,
Non sono mai più soddisfatto
Di quando i miei libri sono al mio fianco.
A chi non vuole considerare “libreschi” i libri che legge, ecco qualche rapico consiglio: Trova il tempo per leggere come trovi il tempo per mangiare. Porta sempre un libro con te. Leggi tutto ciò che ti capita a tiro: romanzi, poesie, saggi, racconti, memorie, giornali, riviste, insegne stradali, annunci pubblicitari, libri d’istruzione, lettere antiche, bugiardini.
Leggi tutto quello che ti pare e non te ne pentire. Leggi senza farti troppe aspettative da ciò che leggi. Prima di metterti a leggere stacca il telefono. Stai attento a ciò che leggi e non pensare di perdere tempo. Non finire la lettura del libro che non ti piace.
Non mi farò prendere dalla noia mentre leggo. Lancerò il libro in aria se non mi piace. Leggerò con una matita in mano per sentire le parole quando farò le orecchie alle pagine e quando sottolineerò e scriverò ai margini. Se è il caso violenterò il libro. Copierò i brani che mi piacciono a mano per sentire le parole.
Rileggerò i libri che mi sono piaciuti come faccio con i film o con la musica che mi piace. Farò una lista continua di libri da leggere dicendo che è impossibile leggere tutto. Non seguirò nessun canone di lettura steso da altri. Farò una lista di libri che ho letto e dirò a tutti l’ultimo libro che ho letto. Quando mi capita un libro che mi è piaciuto molto lo dirò a tutti. Quando trovo uno scrittore che mi è piaciuto, troverò altri libri scritti da lui e li leggerò.
Se un libro non mi piace non ne parlerò male e penserò che non era un libro per me. Chiederò a tutti che libro stanno leggendo e ne terrò conto. Avrò cura di accumulare libri che intendo leggere. Appena finisco un libro ne comincerò un altro. Andrò spesso in biblioteca e in libreria per camminare tra gli scaffali. Leggerò le bibliografie di modo che un libro appena letto mi porti ad un altro libro. Farò ricerche e leggerò recensioni dei libri che leggo. Leggerò ad alta voce brani dei libri che leggo a chi mi vuole bene.
Non darò in prestito libri che amo ben sapendo che i libri prestati non sono mai restituiti. Se un amico mi chiede un libro glielo compro. Non penserò mai di essere superiore per il fatto che leggo libri. Non penserò mai che leggere libri migliora gli uomini. Se non mi sento di leggere farò altro. Se mi capita di rubare un libro che mi piace lo farò senza vergogna. Leggerò per esplorare la realtà della vita e degli uomini. Leggerò per capire la trama, i personaggi, le situazioni, i punti di vista, i temi. Leggerò per credere e non credere.
Leggerò per fare esperienze. Leggerò perchè mi diverto. Leggerò per conoscere il mondo e per dimenticare le preoccupazioni. Leggerò perchè posso farlo quando mi pare. Le lettura mi tiene lontano dai guai. Per leggere un libro non ci vuole la batteria che si scarica. La lettura mi mette al centro del mondo e spesso mi fa anche ridere. Ti porta in posti dove non potrai mai andare e ti ispira a fare tante cose diverse. Un libro ti insegna come fare le cose.
Un libro ti fa sognare il futuro dopo di avere visitato il passato. Una volta che hai cominciato a legger un libro che ti piace non vuoi mai smettere di leggerlo. Non devi giudicare mai un libro dalla sua copertina. Un libro ti può cambiare la vita senza che tu te ne accorgi. La lettura di un libro non costa fatica se sai leggere. Un libro ti collega al mondo della realtà e a quello della fantasia. Un libro sfida sempre la tua intelligenza. Un libro ti dà sempre qualcosa a cui pensare. Lo puoi leggere da solo o in compagnia.
Un libro può anche farti paura. Lo puoi leggere ovunque. Oggi posso leggere anche libri digitali. Non penserò che i libri cartacei sono migliori di quelli digitali. La lettura digitale mi permette di leggere in maniera diversa. Posso portare sul mio iPad centinaia di libri e non pesano niente. Li leggo ovunque e costano poco o niente. Non penserò che il libro digitale è migliore di quello cartaceo. Cartacea o digitale la lettura ti fa diventare uno, nessuno e centomila.
— — — — — — — — — — —
Arriva anche in Italia “Papyrus. L’infinito in un giunco”. La grande avventura del libro nel mondo antico, traduzione dallo spagnolo del libro di Irene Vallejo che ha venduto oltre 250.000 copie con traduzioni in 30 lingue, facendo vincere alla giovane autrice numerosi premi. Irene Vallejo, nata a Saragozza nel 1979, filologa classica e scrittrice spagnola che ha conseguito un dottorato europeo con una tesi sul canone letterario greco-latino nell’antichità, ci conduce, in un saggio che sembra un romanzo, attraverso la storia infinita del libro. Certo, la tecnologia lo incalza ma l’eclatante paradosso «che ancora oggi si riesca a leggere un manoscritto ricopiato con pazienza oltre dieci secoli fa, ma non si possano più vedere i contenuti di una videocassetta o di un dischetto vecchi di pochi anni» basta a rendergli giustizia e rincuorare quanti lo amano visceralmente.
L’Autrice si pone «raffiche di domande: quando sono comparsi i libri? Qual è la storia segreta delle fatiche fatte per moltiplicarli o annientarli? Che cosa è andato perduto, strada facendo, e cosa invece si è salvato? Perché alcuni di questi libri si sono trasformati in classici? Quante perdite hanno causato i morsi del tempo, le unghiate del fuoco, il veleno dell’acqua? Quali volumi sono stati bruciati con furia? E quali sono stati ricopiati nella maniera più appassionata?». L’acribia filologica traspare nelle note, poste a fondo libro per non appesantire la lettura, che riportano fedelmente le fonti antiche che ispirano la narrazione.
Il racconto parte da Alessandria d’Egitto, dove il «sogno di riunire tutti i libri del mondo, senza eccezioni, in una biblioteca universale, poté forse divenire realtà nel III secolo a.C., per la prima e unica volta». La Biblioteca, sogno divenuto realtà dei discendenti di quel Tolomeo «compagno di spedizione e amico intimo di Alessandro»: «nato in Macedonia da una famiglia nobile ma di poco lustro, mai immaginò che un giorno sarebbe diventato faraone del ricco paese del Nilo, dove mise piede per la prima volta a quarant’anni, senza parlare la lingua, senza conoscere usi e costumi e nemmeno la complessa burocrazia locale», anche se è lecito «pensare che l’idea di una biblioteca universale si debba alla mente di Alessandro».
Ed è proprio in Egitto che nasce il rotolo di papiro, antesignano del libro moderno, esportato in tutto il mondo antico e così intimamente connesso alla civiltà sorta sulle rive del Nilo che «gli studiosi della lingua egizia sono convinti che le parole “papiro” e “faraone” abbiano la stessa radice.»
«Il rotolo di papiro rappresentava un progresso incredibile. Dopo secoli in cui gli esseri umani avevano cercato supporti diversi per la scrittura — pietra, fango, legno, metallo — ora il linguaggio trovava casa dentro la materia viva. Il primo libro della storia nacque quando le parole — ancora poco più di un soffio vergato — trovarono rifugio nel midollo di una pianta acquatica. E in quel modo, contrapposto ai suoi antenati inerti e rigidi, il libro divenne subito un oggetto flessibile, leggero, pronto a viaggiare e vivere avventure.»
«I rotoli di papiro venivano fabbricati soltanto in Egitto. Erano prodotti d’importazione sostenuti da una fiorente struttura commerciale […]. I faraoni e i re egizi, signori assoluti del monopolio, decidevano il prezzo delle otto varietà di papiro che circolavano sul mercato. […] facevano il bello e il cattivo tempo; anche quando si trattava di imporsi su qualcuno o, direttamente, di sabotarlo. E fu proprio quel che accadde, con sorprendenti conseguenze per la storia del libro, agli inizi del II secolo a.C. Il re Tolomeo V, roso dall’invidia, cercava il modo di danneggiare una biblioteca rivale, fondata nella città di Pergamo […] da un re formatosi nella cultura ellenistica, Eumene II». Tolomeo «sospese le forniture di papiro al regno di Eumene, per mettere in ginocchio la biblioteca del nemico privandola del miglior materiale di scrittura al mondo. Questo embargo avrebbe potuto avere effetti deleteri, invece — con somma frustrazione del vendicativo re — fu il motore di un grande progresso e, come se non bastasse, rese immortale il nome del sovrano nemico. A Pergamo risposero alla sanzione perfezionando l’antica tecnica orientale della scrittura su cuoio, che fino a quel momento era stata praticata solo collateralmente e a livello locale. In omaggio alla città che la rese famosa in tutto il mondo, il prodotto scaturito dalla versione perfezionata di quel metodo fu chiamato “pergamena”. […] La pergamena si fabbricava con la pelle di vitello, pecora, montone o capra. Gli artigiani la immergevano in un bagno di calce viva per varie settimane, prima di farla seccare ben tesa su un telaio di legno. Sottoporla a questo stiramento aiutava ad allineare le fibre della pelle e ne rendeva liscia la superficie, che poi si raschiava fino a ottenere la bianchezza, la bellezza e lo spessore desiderati. Il risultato di un così lungo procedimento erano fogli morbidi, sottili, che permettevano la scrittura su entrambi i lati e, soprattutto — e questo era il nocciolo — duraturi.»
«Non esistono reperti archeologici dei libri più antichi d’Europa. Il papiro è un materiale deperibile e fragile, che non sopravvive più di duecento anni nelle zone a clima umido.» Quando la pergamena si impose come supporto scrittorio, il costo in termini di animali sacrificati fu però enorme: «In base ai calcoli dello storico Peter Watson, se partiamo dal presupposto che ogni pelle avesse una superficie di mezzo metro quadrato, un libro di cento pagine richiedeva il sacrificio di dieci o dodici animali. Altri esperti dicono che un unico esemplare della Bibbia di Gutenberg equivaleva a centinaia di pelli.»
L’Autrice enumera poi i grandi autori del passato; ecco scorrere Omero, misterioso autore dei due poemi epici a lui attribuiti: «In una società che non ha mai avuto libri sacri, l’Iliade e l’Odissea erano i testi più simili a una Bibbia.» Non solo, «i papiri riesumati in Egitto confermano che l’Iliade fu di gran lunga il libro greco più letto nell’antichità»! I poemi omerici segnano anche il passaggio tra l’oralità e la scrittura, sono «un territorio di frontiera» rispetto a «quando l’espressione letteraria era soltanto orale».
La storia della scrittura ebbe inizio seimila anni fa, in Mesopotamia, quando «comparvero i primi segni scritti, ma le origini di questa invenzione sono avvolte nel silenzio e nel mistero. Tempo dopo, e senza alcuna connessione tra i vari luoghi, la scrittura nacque anche in Egitto, in India e in Cina. L’arte di scrivere si originò per motivi pratici, stando alle teorie più recenti: per la necessità di stilare liste dei beni posseduti. Queste ipotesi evidenziano che i nostri antenati impararono prima a far di conto che a scrivere parole. La scrittura fu pensata per risolvere un problema ai ricchi proprietari e agli amministratori dei palazzi, che avevano bisogno di prendere nota, perché era difficile tenere la contabilità in modo orale. Il momento di trascrivere leggende e racconti sarebbe arrivato dopo. Siamo esseri legati all’economia e ai simboli. Abbiamo iniziato scrivendo inventari, e solo in seguito sono arrivate le invenzioni (prima i conti e poi i racconti, insomma).»
E poi Esiodo, «il primo individuo d’Europa», e Socrate: «All’epoca di Socrate i testi scritti non erano ancora uno strumento abituale, e venivano guardati con sospetto. Li si considerava un succedaneo della parola orale […] Per Socrate i libri erano un sostegno alla memoria e alla conoscenza, ma il filosofo pensava anche che i veri saggi avrebbero fatto bene a diffidarne. La questione ispirò un dialogo platonico intitolato Fedro. […] Socrate temeva che per colpa della scrittura gli uomini abbandonassero lo sforzo della riflessione personale. Aveva il sospetto che, grazie al supporto delle lettere, il sapere sarebbe stato affidato del tutto ai testi e che sarebbe bastato tenerli a portata di mano, senza mettere impegno nel comprenderli fino in fondo. […] La questione è spinosa, ancora oggi molto dibattuta. In questo periodo storico siamo immersi in una transizione radicale quanto lo fu l’alfabetizzazione greca. Internet sta cambiando l’uso della memoria e il meccanismo stesso del sapere. Un esperimento svolto nel 2011 da Daniel M. Wegner, […] misurò la capacità di ricordare di alcuni volontari. Solo la metà di loro sapeva che i dati da memorizzare sarebbero stati archiviati in un computer. Chi pensò al fatto che l’informazione finiva in un archivio, allentò lo sforzo di trattenerla nella memoria. Gli scienziati chiamano questo rilassamento mnemonico “effetto Google”. Tendiamo a ricordare meglio dov’è salvato un dato che il dato stesso.»
Ecco descritte la grande stagione della lirica e Archiloco, la nascita della filosofia con Eraclito, permessa proprio dai libri: «Agli antipodi rispetto alla comunicazione orale, basata su racconti tradizionali, noti e facili da ricordare, la scrittura permise di creare un linguaggio complesso, che i lettori potevano assimilare e meditare in tutta tranquillità. Sviluppare uno spirito critico risulta certo più facile a chi ha tra le mani un libro — e quindi può interrompere la lettura, rileggere e fermarsi a pensare — che per chi, abbacinato, ascolta un rapsodo.»
Nel passaggio dal V al IV secolo a.C. si sviluppa il commercio dei libri: la nuova parola bibliopòla (“venditore di libri”) «inizia a far capolino dai testi dei poeti comici ateniesi.» È plausibile che esistesse una struttura organizzativa per rifornire il mercato dei libri e laboratori che producevano copie dei libri, anche senza consultare chi li aveva creati: «nell’antichità non esisteva il diritto d’autore.»