Prima e dopo Internet. Prima e dopo la Pandemia

Antonio Gallo
8 min readOct 29, 2021

--

Il Libro

Internet ci ha portato così tante informazioni: accesso al mondo, connessione, intrattenimento, scoperta, gioia, coinvolgimento, arricchimento. Per pochi eletti, anche vere ricchezze. Ma poiché tutto quello che porta il così detto progresso non è mai gratis, come ci ha portato queste cose, ce ne ha tolte molte altre.

E’ stato appena pubblicato un libro con il quale si elencano tali “cose”, festeggiando i venti anni dell’avvento del World Wide Web (WWW), della Rete (Web), o se preferite di Internet.

Chiamatela come volete, ci rendiamo conto tutti che ormai non è più possibile vivere senza. Se non ci fosse la Rete ci mancherebbero i collegamenti, la condivisione, la socializzazione, in una parola i “link”. Il Web sta nel Link .

L’ho detto già altre volte: i “fili” di un bibliomane quale mi ritengo di essere, sono i libri. Come lo sono i link, i “fili” del webomane. In fondo i libri e i link sono fratelli gemelli, nati in età diverse, ma contemporanei di fatto. I primi, allineati sugli scaffali del mondo. I secondi, legati in maniera indissolubile dal tempo telematico. Sono gli stessi di quella ragnatela globale che è il Web.

I collegamenti sono una parte essenziale nella costruzione delle pagine. Il concetto di ipertesto, a cui la Rete è intrinsecamente legata, non può prescindere dai link. Sono alla base della rivoluzione digitale. Grazie ad essi la lettura diventa reticolare, orizzontale e multidimensionale, abbandonando la tipologia classica di documento lineare.

La nuova usabilità digitale significa pagine brevi, tanti link. Per catturare l’attenzione dell’utente Internet, è necessario essere concisi e andare diritti al cuore della questione. Il navigatore non ha un approccio passivo al mezzo, come avviene per la televisione e, in un certo modo, anche per la lettura tradizionale. L’utente sul Web è attivo: può/vuole interagire, può/vuole scegliere percorsi e contenuti, ha una straordinaria ricchezza d’offerta che lo invita a cambiare velocemente destinazione.

Per questo motivo il Web è fatto di testi brevi e diretti. La lunghezza è nemica dell’attenzione: dopo le prime 5 righe di una colonna di giornale, il lettore abbandona l’articolo, se non è stato “catturato” nel frattempo. Si può facilmente immaginare cosa questo significhi essere online. La possibilità di “fuga” è molto più facile dopo poche parole. Quindi testi brevi e diretti.

Gli scettici hanno definito Internet uno strumento che spinge alla semplificazione e alla superficialità. A parte il fatto che la profondità di un certo contenuto non sta mai nella sua lunghezza, questi scettici dimostrano semplicemente di non aver capito nulla dellla idea digitale. L’approfondimento, infatti, è doveroso per i siti che vogliano avere una qualche dignità. Ma lo si raggiunge sempre attraverso i link.

I collegamenti sono l’arma che l’ipertesto ha a disposizione per creare diversi percorsi di lettura, a differenti livelli, anche molto approfonditi, senza perdere il lettore per strada. Quest’ultimo si trova così a seguire un percorso flessibile, ordinato ed efficace. Insomma, se WWW sta per “World Wide Web”, per me sta a significare anche “Where there is a Will there is a Way”, vale a dire: “Dove c’è una Volontà c’è un Modo”, che resta sopratutto quel desiderio di voler scoprire il mondo con occhi diversi da come sinora l’abbiamo conosciuto e condiviso.

Il Libro

Non si tratta di una semplice trasformazione messa al centro del cambiamento, che non lascia traccia. E’, invece, una reale, necessaria ed inevitabile evoluzione, il più tipico processo naturale.

Il libro di cui vedete la copertina qui di fianco l’ho scritto soltanto tre anni fa, eppure sembra sia passato un secolo. Rappresenta il progresso, il potenziamento, il miglioramento di un essere vivente, (che sono io), nel suo crescere verso uno stadio successivo. Continuo a scrivere, giorno dopo giorno, perchè forse è l’unica cosa che so fare. Scrivere per capire chi sono, quello che penso e faccio. L’ho scritto prima dell’arrivo della Pandemia, quasi dopo trenta anni dopo l’arrivo di Internet. Lo faccio ogni giorno per gratificare sopratutto me stesso.

Mi sento di poter dire, senza timore di essere presuntuoso, che nel percorso di questi quattro ventenni di vita che mi è toccato di vivere (finora!), in termini delle varie esperienze che ho fatto, ho subìto non soltanto una trasformazione, ma una inevitabile evoluzione. Grazie al “digitale”. Una medesima, ma non identica, evoluzione mi aspetta dopo due anni di Pandemia.

Questa continua evoluzione mette sempre al centro l’essere umano, con i suoi comportamenti, i suoi pensieri, le sue azioni. Aiuta a non incorrere nell’errore di considerare la trasformazione digitale come “qualcosa” connessa soltanto ai processi, ai prodotti, ai servizi che la tecnica ci offre.

Non so ancora dire quali saranno i mutamenti di un dinosauro come me dopo la Pandemia. Non riesco nemmeno ad immaginare quelli degli altri. Ad esempio, quelli di mia nipote Chiara, appartenente alla cosidetta generazione Zeta

Le radici del “digitale” vengono da lontano, dal latino “digitus”, a sua volta da “dicere”, e ancora dal proto indo europeo “deik-” “indicare, mostrare”. Per quanto mi riguarda nascono dalle mie dita sporche di inchiostro mentre nella sua tipografia mio padre mi insegnava a leggere e scrivere, prendendo le lettere di piombo dalle casse nella sala di composizione. Le radici “pandemiche” restano ancora misteriose, a-scientifiche, quasi fuori dal mondo, almeno quello finora conosciuto.

Ho subìto ed affrontato innumerevoli trasformazioni nel corso di questi decenni. Ne ho le prove in maniera diretta e personale, non solo come protagonista, ma anche come testimone, personaggio ed interprete di me stesso. Io, come del resto tutti gli altri esseri umani, consapevoli o no, di essere nella corrente. Quella così detta digitale. Ma non ho ancora coscienza di dove mi porterà il flusso della corrente post-pandemica che contrasta con quella digitale.

Improvvisamente scopriamo che la necessità di connessione non solo con me stesso, ma anche con gli altri e con tutto ciò che ci circonda nella visione digitale della realtà, scompare e entra in forte conflitto non solo con se stessi, con me stesso, ma con l’intero mondo. Ci viene improvvisamente richiesto, addirittura, un inevitabile distanziamento, oltre una difesa fisica, mascherandoci e vaccinandoci.

Scompare quella gradevole sensazione di sentirsi sempre vivi ed attivi nel mondo digitale, navigando in un mondo che ci eravamo illusi di fare nostro. Il dopo pandemia ci spinge inevitabilmente verso un diverso modo di essere, in solitudine ed isolamento. L’esperienza della Rete entra in contatto e con essa si scontra nella sua tragicità: la Pandemia.

Son passati, ormai, oltre trenta anni da quando scoprii quella realtà che venne chiamata “ipertesto”, sulla quale il mitico Commodore 64 costruì il suo successo e fece diventare l’informatica quasi uno sport popolare di massa, cambiando in breve tempo il nostro modo di vivere.

Il mio, in particolare, ho avuto modo di viverlo disseminando in Rete innumerevoli tracce del mio vagare. Forse questo termine può sembrare riduttivo, se penso a quanto mi sia stata utile l’esperienza culturale che ho maturato in questi ultimi decenni. Tutte tracce digitali, tante da dimenticarle perchè troppe e tutte sperimentali.

Non è d’altronde un mistero, per chi è diventato un navigatore di questa realtà, che nessuno aveva previsto un mondo tanto “nuovo” come questo, con una terminologia quanto mai vaga, ma tanto interessante quanto inquietante: “un mondo nuovo”. Una realtà sempre diversa, evanescente, cangiante, “liquida”. Ma che non ti “bagna”, però ti cambia, senza che tu neppure te ne accorgi.

Credi che non sia successo nulla ma poi, improvvisamente, senti che qualcosa in te è cambiato e avverti la necessità di andare oltre. Le 100 cose perdute, si perdono nel mare, anzi nell’oceano delle mille e mille “cose” nuove trovate e scoperte. Ecco alcune che mi hanno colpito, così come le leggo dall’indice del libro:

la noia, la virgola, il perdersi per strada, perdere il biglietto, la brutte foto, la telefonata, le ricette del medico, il mercato delle pulci, le vetrine dei negozi, la solitudine, le lettere al giornale, il ragazzo del giornale, le cartoline, una buona dormita, ricordare i numeri, la carta, le opinioni personali, viaggiare da soli, le telefonate, il vocabolario, la pazienza, le guide turistiche, la civiltà, lasciare un messaggio, le mappe, l’empatia, le lettere scritte a mano, la punteggiatura, gli album dei ricordi, le previsioni del tempo, i numeri di emergenza, il tempo di attenzione, il libro di testo, lo sguardo, il lavoro indipendente, i giornali e i settimanali di carta, il libretto degli assegni, gli amici di penna, i biglietti di auguri, i segreti, i cataloghi, la memoria, i ricordi, i manuali di istruzione, l’enciclopedia, l’umiltà, l’ignoranza, l’attenzione, la socialità.

Su ogni argomento, Pamela Paul, giornalista e scrittrice americana, ci propone un saggio, in forma di brevi aforismi quanto mai originali e personali che ovviamente riflettono la realtà sociale e culturale americana nella quale la stessa vive e lavora. Non poche rispondono anche alla nostra realtà. Quasi tutte le situazioni hanno subìto una trasformazione ed una evoluzione.

Conosciamo fin troppo bene gli effetti a cascata di Internet sulla nostra esistenza quotidiana, sia dallo schermo che tocchiamo, come dal pulsante che premiamo quando ci svegliamo al mattino. Da ciò che facciamo quando ci alziamo dal letto a ciò di cui ci preoccupiamo mentre ci addormentiamo la notte.

Dai dettagli del nostro tragitto giornaliero e da cosa succede una volta che arriviamo al lavoro e da come ci riuniamo come famiglia quando torniamo a casa. I modi in cui negoziamo la giornata scolastica e le vacanze estive. Come ci vediamo e come ci trattiamo l’un l’altro. Come si cresce e come si invecchia. Tutto questo lo sappiamo. Meno rimarcato è quello che invece facevamo prima. L’abbiamo subito dimenticato o stiamo per farlo.

Ma Internet ci ha anche fatto sentire le perdite di ciò che avevamo lasciato nel mondo fisico “là fuori”. Anche senza quella spinta virale, uno per uno, oggetti, concetti, abitudini e ideali che un tempo contavano per noi sono caduti, a volte con poco più di un sussurro, sono scomparsi in Internet. Può essere difficile recuperare com’era la vita prima. Gran parte della nostra vita viene filtrata attraverso una lente pixelata.

Uno dei paradossi di Internet è che mentre ci ha aperto il mondo, ci ha anche fatto sembrare infinito e inefferrabile quel mondo che prima non conoscevamo nelle sue infinite pieghe, ora lo scopriamo piccolo. Trascorri qualche ora navigando online e quello stesso mondo ti può sembrare meschino, ripetitivo e piatto.

Questo è un libro sulle nostre perdite, ma anche su molte cose che ci mancano e che a malapena sapevamo esistessero. Cose alle quali abbiamo detto addio senza volerlo. Non sappiamo ancora dire esattamente cosa significa la loro perdita nè cosa potrà significare la loro mancanza per la nostra esistenza. E’ il prezzo che dobbiamo pagare al cambiamento.

Ma a quale libro e a quale perdita mi riferisco arrivati a questo punto di questo mio post? Mi accorgo che è diventato abbastanza lungo, più di quanto avevo in mente. Anche molto diverso da quello che mi ero proposto di scrivere mentre leggo sul Kindle il libro appena uscito di Pamela Paul sulle cose perdute prima di Internet. Ci sarà bisogno di scrivere molto su quello che abbiamo perduto con l’esperienza della Pandemia, prima e dopo.

C’è stato un prima e ci sarà un dopo che dobbiamo ancora conoscere. Sarà possibile farlo solo quando ne saremo usciti. Internet e Pandemia sono destinati a diventare dei veri e propri spartiacque, elementi segnatempo che dividono in maniera drastica e netta questi due momenti della storia dell’umanità, alla stessa maniera in cui usiamo dire “avanti Cristo” (a. C.) e “dopo Cristo” (d. C.).

Nulla sarà come prima di Internet, nulla sarà come prima e dopo la Pandemia. A distanza di venti e più anni possiamo iniziare a scrivere la storia prima e dopo Internet. Prima di scrivere quella sulla Pandemia dobbiamo riuscire ad annientare il Covid 19. Nessuno vuole che sia “lui” a scrivere la sua …

--

--

Antonio Gallo
Antonio Gallo

Written by Antonio Gallo

Nessuno è stato mai me. Può darsi che io sia il primo. Nobody has been me before. Maybe I’m the first one. Nulla dies sine linea.

No responses yet