“Prima di Mussolini gli Italiani non si capivano tra di loro”
Un bibliomane che si rispetti, sia cartaceo che digitale, è sempre a caccia di nuovi libri. Ho letto la fantastica notizia che nel mondo si pubblicano circa 400 mila libri al giorno. Quanti libri al minuto allora? Il conto fatelo voi. A me basta saper scegliere, a seconda dei propri interessi e bisogni. L’immagine che correda questo post vi propone un libro che non è stato ancora pubblicato in cartaceo, ma di imminente uscita in versione digitale Kindle. L’ho prenotato dopo di aver letto la notizia sulla rivista inglese The Spectator. Leggete la presentazione editoriale e la traduzione della recensione in anteprima. Quando mi arriva la copia digitale, a lettura del libro completata, ne discuteremo.
Dove, o cos’è casa? Che cosa ha significato, storicamente e personalmente, essere ‘italiano’ o ‘inglese’, o entrambi in una cultura che preferisce che siamo noi a scegliere? Cosa significa avere radici? O aver lasciato un pezzo di sé in un posto abbandonato da tempo? In Dandelions, il suo straordinario debutto, Thea Lenarduzzi ricostruisce la storia della sua famiglia attraverso quattro generazioni di migrazioni tra Italia e Inghilterra, e le storie sparse come semi lungo il percorso. Al centro di questo libro traboccante della vita di persone straordinarie e apparentemente insignificanti c’è la nonna di Thea, Dirce, un’ex sarta, che, ora vicina ai 100 anni, è una depositaria di racconti che sono a loro volta imprevedibili, inaffidabili, significativi. E questo ci porta più in profondità. C’è quello sul moderno Icaro di Mussolini che si schiantò nell’oscurità di un lago; sull’operaio di Manchester che voleva solo essere visto; sul demone oscuro che ti visita nel sonno; e il monumento a un politico assassinato che, quando piove, si colora del sangue. Attraverso i viaggi di Dirce e dei suoi parenti, dal Friuli a Sheffield e Manchester e ritorno, emerge una storia diversa, in cui sé e luogo sono ordito e trama, intessuti, con fili lasciati pericolosamente indietro. Un libro di memorie di famiglia ricco di leggende popolari, cibo, arte, politica e letteratura, Dandelions annuncia l’arrivo di una scritttice eccezionale: audace, gioiosa e saggia.
Verso la fine di “Dandelions”, il libro di memorie ispirato e profondamente toccante di Thea Lenarduzzi, l’autrice cita l’osservazione della nonna secondo cui ci sono tante Italie, tante Italie. “La mia è diversa dalla sua, che è diversa da quella di mia madre, che è diversa da quella di mio padre, e così via”, scrive. Queste Italia, del fascismo, di Garibaldi, di emigranti che vivono a Sheffield e Manchester, di 31 dialetti, non sono stranezze storiche lontane confinate a documentari o libri di testo ma sono, nel racconto di Lenarduzzi, la storia patchwork di una famiglia.
Seduta al tavolo di sua nonna con “le persiane abbassate contro il sole mattutino e il resto della famiglia scacciato via”, diventa una “archivista della tradizione familiare”. Attraverso conversazioni su cose semplici come passioni infantili (“Chi era il tuo scrittore preferito quando eri giovane?”) o dolorose come la dittatura di Mussolini (il nonno di Lenarduzzi non si opponeva al regime fascista; sua nonna afferma che “non aveva scelta ‘), si dipana una storia complicata di amore, immigrazione e guerra e le tante Italia in cui si è svolta.
L’autrice, sulla trentina, è lei stessa ‘50–50 italo-inglese’, anche se lotta con questo modo ‘biometrico, certificabile’ di guardare alla sua eredità. Il movimento tra l’Italia e l’Inghilterra muove il libro. Sua nonna (il cui nome, Dirce, significa giustamente “spaccatura” o “doppio”) ha “vissuto due vite”, con due diverse migrazioni dall’Italia all’Inghilterra. Lasciò per la prima volta Maniago, una cittadina nel nord-est del Friuli, per trasferirsi a Sheffield nel 1935, quando “la Grande Depressione stava montando” e Mussolini stava per consolidare il suo potere. Questa migrazione fallì quando suo padre, Angelo, morì due mesi dopo (è sepolto nel cimitero di Sheffield’s City Road). Ma Dirce lasciò di nuovo l’Italia nel 1950, questa volta per Manchester, con marito e figlio.
Questi viaggi, affrettati, difficili e pieni del dolore della nostalgia di casa, qualcosa a cui secondo Lenarduzzi gli italiani sono ‘particolarmente sensibili’ spiegano il titolo del libro. I denti di leone, le loro “teste cariche di semi in attesa di prendere una brezza, stabilirsi e mettere radici”, sono un “regalo di un motivo” quando si pensa all’immigrazione. La loro fragilità completa la metafora: ‘Per gli immigrati, la precarietà fa sempre parte della disposizione.’
Lenarduzzi è molto brava quando scrive di migrazioni internazionali, ritorno a casa e appartenenza (‘Lo vedo come un processo di prosciugamento, come se l’italianità mi stesse esaurendo ogni anno trascorso all’estero’); ma le sue storie sui movimenti e le tensioni all’interno della stessa Italia sono ancora più potenti.
Il libro è costellato di frammenti dei dialetti parlati dalla sua famiglia. Suo nonno era trilingue e parlava “friulano con la moglie, veneto con i figli e italiano con i nipoti, che lo parlavano da soli”. Negli anni ’20, tale varietà costituiva una “minaccia diretta” all’omogenea italianità in cui credevano i fascisti. Per 20 anni, le molte lingue “reciprocamente incomprensibili” d’Italia furono soppresse a favore dell’italiano, una lingua che, all’epoca dell’unificazione , parlava solo il 2% della popolazione.
Ma il Duce non lasciò in pace nemmeno la lingua. Nel 1938, mise fuori legge l’uso del “lei” come versione educata di “tu” (simile a vous in francese) e lo sostituì con “voi”. Sessant’anni dopo, tornato in Italia dall’Inghilterra, il padre di Lenarduzzi in una riunione vine rimproverato per aver ancora usato questo tipo di indirizzo imposto dal fascismo. Nelle pagine di chiusura del libro, l’autrice cita sua nonna dicendo: ‘Sono solo parole’, solo parole. Ma in Italia sembra che nulla possa essere più lontano dalla verità.
Natalia Ginzburg, la saggista e scrittrice ebrea-italiana che ha scritto sull’Italia in tempo di guerra, aleggia in tutto “Dandelions”. Lenarduzzi cita il suo romanzo-memoir “Lessico di Famiglia” quando parla di storie di famiglia. ‘Se io e i miei fratelli dovessimo trovarci in una grotta buia… solo una di quelle frasi o parole ci permetterebbe immediatamente di riconoscerci’. C’è qualcosa di narrativa consapevole in molti passaggi del libro. Nel descrivere i suoi nonni che si innamorano, scrive: “Mentre la storia di Leo e Dirce si svolgeva, gli Alleati invasero la Sicilia”. Non è una scelta gratuita o un cliché. Lenarduzzi si interroga continuamente su cosa significa scrivere un libro di memorie, impacchettare vite in parole e creare una narrazione coerente al di là di ogni forma di “deviazione e digressione”: “Mi chiedo quali siano le motivazioni della nonna e le mie”.
Ci sono momenti in cui la narrazione sfocia nell’auto-indulgenza, Lenarduzzi elabora persino una meditazione filosofica sull’amore di sua nonna per il paracetamolo, ma, nonostante questo, “Dandelions” è ancora libro che coinvolge. Così come descrive di molte Italia, parla anche molti libri, e questa insolita combinazione di memorie di famiglia, indagine letteraria e storia politica è un trionfo.
Originally published at https://www.spectator.co.uk.