Pier Paolo Pasolini e “le domeniche dell’anima perduta”
Questo è un post difficile e delicato. Spero di saper trasformare in parole alcuni miei pensieri che da diverso tempo mi girano nella mente. Si parla molto in questi ultimi tempi di crisi della fede, di chiese sempre più deserte, di mancanza di vocazione religiosa, di fedeli in conflitto, della sempre più crescente secolarizzazione del nostro modo di vivere, di inadeguatezza degli uomini di chiesa e non, sommersi da scandali, della necessità di un ritorno alle origini. Insomma la parola è quella: crisi.
Io la ritengo una parola quanto mai ipocrita. La parola “crisi”, infatti, implica una questione di “scelta”, a monte. Scelta di vita, di fede, non solo religiosa e politica, ma anche scelte esistenziali che siano basate su un progetto, un percorso. Un’idea di vita che poggi su basi semplici, forti ed eterne. Esempi, memorie, comportamenti di giovani e adulti, laici e religiosi, che non offrano il fianco a errori, travisamenti e falsi obiettivi culturali, ideologici e politici, e sopratutto a violenze morali e sociali.
Qualche esempio? Eccone uno in una breve poesia scritta da un uomo, considerato da molti un “grande” della letteratura moderna italiana, un poeta che ha suscitato molte discussioni: Pier Paolo Pasolini (1922–1975). La stesura di questa poesia è legata all’irripetibile esperienza dell’adolescenza e della prima giovinezza friulana del poeta. Il testo è intriso di una sensualità che può sembrare mistica, ma in effetti è pagana, profana, stranamente anticipatrice di certi comportamenti fuorvianti e devianti. Leggiamo la poesia:
Una domenica dell’anima
La messa
Domenica dei vivi!
L’alba della festa
fa tremare nel seno
del fresco giovinetto
un filo d’erba fresca.Domeniche dell’anima!
Che febbre, che dolore
esser vivi e mostrarsi
al sole che risplende
sopra i freschi capelli.Domeniche d’amore!
Egli è tutto vergogna
per l’amore scoperto
nella bianca camicia
e le pupille ardenti.Domeniche di Dio!
Pier Paolo Pasolini: “L’usignolo della Chiesa Cattolica”
Einaudi, Torino, 1982
Sarebbe facile condannare il senso di questi versi impugnando la gruna dell’ago di cui parla il Vangelo. A quella adolescenza e prima giovinezza di cui parla la poesia appartengono le composizioni più significative di Pasolini. Ed è questo l’aspetto più triste e tragico insieme che si avverte leggendo tra le righe di questi versi.
Atti traviati e perversi perpetrati e subiti, anticipatori di dissoluzione di un qualsiasi valore morale e spirituale, metafore esistenziali che in nome di un falso misticismo ed una perversa sensualità rendono attuali comportamenti anomali che nulla hanno a che fare con l’anima e tanto meno con una celebrazione liturgica.
Il pensiero si oscura e va non solo al poeta che ha scritto questa poesia. Si localizza nei luoghi dove questi sentimenti e manifestazioni perversi si realizzano ed alle persone che in quegli stessi luoghi esercitano quelle funzioni che sono tipiche delle anime che intendono nutrirsi di spiritualità ed elevazione. Giovani vite perdute nelle mani di adulti violenti venduti contro la natura e contro quello stesso Dio che vogliono rappresentare.
Il tutto cantato da un giovane poeta, il Nostro, che crede di scrivere sull’onda di un ideale di poesia e non si rende conto di uccidere non solo la sua anima, ma anche quella di tanti altri in una domenica che segna la sconfitta di Dio. Destino volle che la sua fosse una fine crudele proprio una domenica, il 2 novembre 1975. Poesia fatalmente anticipatrice della crisi di cui parlavo all’inizio.