Pensieri sciolti sull’Anno Nuovo
Il tempo che passa segna sempre il destino degli uomini, che essi lo vogliano o no. Ancora un anno sta per passare e da dove abito mi preparo ad assistere un ennesimo spettacolo davvero allucinante che si crea ad ogni fine anno. Dieci minuti prima dello scoccare della mezzanotte e per altri dieci dopo, è tutta una fantasmagorica esplosione di colori e rumori che, dalle falde del Monte Saro, si distende fino ai piedi del Vesuvio, lambendo il golfo di Castellammare e la sagoma dell’isola di Capri. La notte, spero, sarà chiara con qualche pezzo di luna, che comunque c’è sempre. Mille colori si leveranno al cielo per esorcizzare una fine e propiziare un principio. Tremendi, secchi boati faranno vibrare le mura come quando si abbatte un terremoto. Tutti i gatti del parco scompariranno e si terranno compagnia con i cani. Mi ricorderò della famosa canzone di Gloria Gaynor “I’ll survive -Sopravviverò”. Sopravviveremo, illudendoci di cancellare il passato, a furor di fuochi e botti verso un cielo carico di stelle e di ricordi da cancellare. Questo è il senso di quegli spari insensati che si ripetono ogni anno e non solo in questa valle alle spalle di Vesevo, a poca distanza da Pompei. “Fessaggine” degli uomini o continuità di antichi riti propiziatori alla luce di tanti guai contemporanei? Forse tutte e tre le occorrenze, come se non bastassero i fuochi delle cannonate delle guerre in atto. Mi ricordo di Cesare Pavese, il suo “La luna e i falò” e quello che scrisse Marcello Veneziani su questa notte di fine anno qualche anno fa:
“Ma quanto sono fessi gli uomini che sceneggiano il trapasso d’anno, diceva l’altra sera la luna affacciata sulla terra. Li guardava dall’alto, paffuta e solitaria, al lume di se stessa, mentre davano fuoco all’euforia rituale di capodanno. Urla, spari, auguri, tutto per niente, solo per santificare un nonnulla, una festa non per uomini né dei, non per nascite né morti; agitati a celebrare solo il tempo che passa. A illudersi di un transito tra il Non più e il Non ancora.
Ma quanto sono scemi gli abitanti della terra, diceva tra sé la luna, cosa hanno da brindare per un giorno come gli altri, una manciata d’attimi tra la luce di un anno che va e il buio di un altro che viene, e poi viceversa. Insensata giostra del tempo, che solo dementi atavici possono osannare, fingendo cerimonie d’addio e di benvenuto a grumi seriali di giorni. Botti, bombe, spari di una festosa guerra contro ignoti, in nome d’una patria di passaggio che dura lo spazio di un momento, nel varcare il confine tra due paesi immaginari denominati Annovecchio e Annonuovo.
Pirla dal volto umano festeggiano il nuovo che li invecchia e la tragedia del divenire; brindano al Capodanno che, lo dice la parola, è a capo del danno chiamato tempo-che-passa. Ma che vuoi farci, luna, siamo bambini d’annata, siamo imbecilli giocosi, ci entusiasmiamo solo per le cose vane e insensate. Il nostro lusso è l’Assurdo; ci strega la sua magia. Siamo animali simbolici, siamo bestie sacrali, affamate di riti catartici, gesti scaramantici e atti propiziatori. Altro che tecnici e contabili.”