Passato, Presente, Futuro

Antonio Gallo
5 min readApr 18, 2022

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Il Libro
Il Libro

“Il mistero della vita, scrisse una volta Francesco de Sanctis, è che il tutto non comparisce mai come tutto, ma come parte”. Ed è appunto come “parte” che si presenta e si manifesta la vita degli uomini. La vita di ogni uomo è una prigione. In diverse occasioni mi sono occupato del tempo. Quando poi ti conti gli anni che indossi, scopri cos’è se ti ritrovi con due libri tra le mani.

Il primo è quello che vedete qui sopra con la copertina gialla, il secondo rivestito di un blu editoriale. Il primo è un libro inglese sulla cui terza pagina c’è una data scritta da me a matita: “London 09/10/62”. Conservo all’interno anche un ritaglio con una recensione del quotidiano The Telegraph a firma di di un Anthony Smith. I contenuti riguardavano le intenzioni, il futuro della razza umana. Un gruppo selezionato di eminenti scienziati, uomini politici ed economisti si impegnavano a tracciare l’avvenire come idea di futuro. Ed io avevo voglia di seguirli.

Il secondo parla anch’esso del futuro, non il solito che dovrà arrivare, ma quello che è già presente. Infatti l’edizione del libro non è cartacea, come quello in giallo, ma è in formato digitale, un ebook. Pagato a poco prezzo, parla di futuri possibili, ma che sono già qui e non ce ne rendiamo conto. Oggi mi ritrovo con la testa piena di passato in un presente crudele e fuggevole.Entrambi mi svelano il “mistero del tempo”, facendomi leggere il “destino del futuro”. Un modo come un altro per sfidare la continuità alla quale l’uomo non è abilitato a prendere parte.

Lo sapeva bene Sant’Agostino che ebbe a dire: “Non esiste il passato, il presente ed il futuro. Esiste bensì la presenza del passato, la presenza del presente, la presenza del futuro”. Eppure gli uomini hanno bisogno di dare forma e contenuto al tempo della propria esistenza in termini cronologici di passato, presente e futuro altrimenti non avrebbero la possibilità di dare un senso al loro essere. Il tutto in tre paradossi.

Il primo è inerente alla consapevolezza che ognuno ha di vivere in un tempo che precedeva la sua nascita e che continuerà dopo la sua morte. Questa consapevolezza individuale del finito e dell’infinito vale simultaneamente per il singolo e per la società. Infatti l’individuo che si trasforma, cresce e poi invecchia, prima di scomparire un giorno o l’altro, assiste in quel mentre alla nascita e alla crescita degli uni e all’invecchiamento e alla morte degli altri. Invecchia in un mondo che cambia, se non altro perché gli individui che ne fanno parte invecchiano anche loro e vedono generazioni più giovani prendere progressivamente il loro posto.

Ci sono spiegazioni di tipo intellettuale per questo primo paradosso: sono tutte le teorie che, in un modo o nell’altro, inscenano il ritorno del medesimo. Nella maggioranza delle società studiate dall’etnologia tradizionale esistono rappresentazioni dell’eredità molto elaborate che tendono a ritenere la morte degli individui non una fine in sé quanto l’occasione per ridistribuire e riciclare gli elementi che li compongono. Le teorie della metempsicosi sono solo un tipo particolare di tali rappresentazioni.

In Africa, per esempio, l’idea del ritorno degli elementi liberati dalla morte non è associata a quella del ritorno degli individui in quanto tali, anche se, nelle grandi chefferies o nei regni, la logica dinastica spinge in quella direzione. Altre istituzioni, come le classi di età, o taluni fenomeni religiosi ritualizzati, come la possessione, rientrano in quella visione immanente del mondo che tende a relativizzare l’opposizione tra vita e morte in virtù di un’intuizione non lontana dal principio scientifico secondo il quale nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma.

Il secondo paradosso del tempo è quasi l’inverso del primo e riguarda la difficoltà per uomini mortali, e quindi tributari del tempo e delle idee di inizio e fine, di pensare il mondo senza immaginarsene una nascita e senza assegnargli un termine. Le cosmogonie e le apocalissi, in varie modalità, sono una soluzione immaginaria per rispondere a questa difficoltà.

Il terzo paradosso del tempo rimanda al suo contenuto o, se vogliamo, alla storia. È il paradosso dell’evento, del fatto sempre atteso e sempre temuto. Per un verso sono gli eventi che rendono sensibile il passaggio del tempo e che servono anche a datarlo, a ordinarlo secondo una prospettiva diversa dal semplice ripresentarsi delle stagioni. Ma per un altro verso l’evento comporta il rischio di una rottura, di una lacerazione irreversibile con il passato, di un’intrusione irrimediabile del nuovo nelle sue forme più pericolose.

L’ha studiato bene Marc Augè quando in un suo libro si è chiesto “che fine ha fatto il futuro? Dai nonluoghi al nontempo”. Per un lungo periodo della storia umana le catastrofi ecologiche, meteorologiche, epidemiologiche, politiche o militari avevano il potere di minacciare l’esistenza stessa del gruppo, e lo sviluppo delle società non ha fatto svanire la consapevolezza di rischi del genere: li ha solo collocati su una scala diversa.

Il controllo intellettuale e simbolico dell’evento è sempre stato al centro delle attenzioni dei gruppi umani. Lo è ancora oggi; cambiano solo le parole e le soluzioni. È anzi possibile che il paradosso dell’evento sia al suo culmine: mentre la storia accelera sotto la spinta di eventi di ogni genere, noi pretendiamo di negarne l’esistenza, come nelle epoche più arcaiche, per esempio celebrandone la fine.

Ogni uomo nasce inchiodato alla sua realtà che è specificamente legata al suo luogo ed al suo tempo. Tra finito ed infinito tutti navighiamo nel “mistero” che resta anche un“paradosso”, checchè se ne possa dire e pensare. “Se l’umanità fosse eroica, accetterebbe l’idea che la conoscenza è il suo fine ultimo. Se l’umanità fosse generosa, capirebbe che la condivisione dei beni è per lei la soluzione più economica. Se l’umanità avesse coscienza di se stessa, non permetterebbe ai giochi di potere di oscurare l’ideale della conoscenza. Ma l’umanità in quanto tale non esiste, ci sono solo gli esseri umani, le società, i gruppi, le potenze… e gli individui.”

Questa è una poco confortante conclusione in quanto non si manifesta un benchè minimo tentativo di dare un segno di spiritualità a questo essere umano che continua ad essere considerato sin dalla nascita come un “contenitore” della storia umana, la “sua”storia come quella dei suoi compagni di viaggio. Nulla lo porta a pensare che sia la storia personale che quella universale appartengono contemporaneamente e paradossalmente a entrambe.

L’una fa parte del tutto, così come il tutto è fatto di tante parti. Aveva ragione Francesco De Sanctis. E per quanto riguarda quei due libri dai quali è partita la scrittura di questo post che è non soltanto un ricordo/amarcord, ma anche un progetto/una ipotesi di futuro. Entrambi i libri fanno parte del tutto. Per il momento si ritrovano nel mio presente, sia come passato che come futuro. Quando scomparirò, rientrerò nel tutto dal quale arrivai in maniera inconsapevole.

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Antonio Gallo
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Written by Antonio Gallo

Nessuno è stato mai me. Può darsi che io sia il primo. Nobody has been me before. Maybe I’m the first one. Nulla dies sine linea.

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