“Oltre” una lettera stoica quotidiana …
Sono iscritto a diversi siti stoici e ricevo nella posta ogni giorno articoli e pensieri che aiutano ad affrontare le quotidiane difficoltà del vivere. Oggi è arrivata la lettera che segue e che ho liberamente tradotto. Ciò che manca a questi pensieri ineccepibili è la visione dell’ “oltre”…
La vita può essere bella. Raramente lo sono le sue origini e la sua fine. Nasciamo tra dolore e urla (e occasionalmente urina e feci). Moriamo quando il nostro corpo ci abbandona. Non importa quanto sia bella la tua vita, quanti soldi guadagni o quanto potere accumuli. Alla fine usciamo dal mondo con un lamento.
Come osservò il filosofo stoico del XVI secolo Blaise Pascal: “L’ultimo atto è sanguinoso, per quanto bello sia il resto dell’opera. Ti gettano terra sulla testa ed è finita per sempre”.
Cosa si dovrebbe capire da tutto questo? Che ogni cosa umana è senza senso? Che la morte dovrebbe essere temuta? Evitata a tutti i costi? Impossibile. Ciò che gli stoici ci consigliano è che dobbiamo imparare a trarre da queste meditazioni sulla nostra mortalità un senso per comprendere l’umiliante fragilità della nostra esistenza e, di conseguenza, rinnovare la nostra attenzione all’adesso.
La scena finale della vita è senza dubbio dolorosa. Dobbiamo cercare di rendere questo futuro spettacolo il meno penoso possibile. Marco Aurelio, in una sua memoria ebbe a scrivere che “siamo carne che marcisce in un sacco a tempo”. La data di scadenza si avvicina. Cosa c’è che ci preoccupa della morte allora? Sappiamo come finirà. La questione è risolta. Non sarà carino. Ma non possiamo farci nulla.
Stiamo semplicemente tornando all’inizio del ciclo, quello della Natura, della nostra nascita, un momento di cui non abbiamo alcun ricordo. Nessuno ricorda quel giorno, eppure eravamo noi a venire al mondo. La stessa cosa sarà quando ce ne andremo. Saremo noi ad andarcene, ma non ce ne ricorderemo.
Il grande poeta metafisico inglese John Donne seppe andare “oltre” quel momento con questa poesia:
Death, be not proud, though some have called thee
Mighty and dreadful, for thou art not so;
For those whom thou think’st thou dost overthrow,
Die not, poor Death, nor yet canst thou kill me.
From rest and sleep, which but thy pictures be,
Much pleasure; then from thee much more must flow,
And soonest our best men with thee do go,
Rest of their bones, and soul’s delivery.
Thou art slave to fate, chance, kings, and desperate men,
And dost with poison, war, and sickness dwell;
And poppy or charms can make us sleep as well
And better than thy stroke; why swell’st thou then?
One short sleep past, we wake eternally,
And death shall be no more; Death, thou shalt die.
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Morte, non essere fiera, sebbene alcuni ti abbiano chiamata
potente e terribile, perché tu non lo sei;
poiché coloro che tu pensi di sconfiggere,
non muoiono, povera morte, ne tu mi puoi uccidere.
Dal riposo e dal sonno, che non sono altro che tue immagini,
(viene tratto) molto piacere, quindi da te un piacere molto maggiore si deve trarre,
e più in fretta i nostri miglior uomini se ne vanno con te,
riposo per le loro ossa e liberazione dell’anima.
Tu sei schiava del destino, del caso, dei re, e degli uomini disperati,
e convivi con il veleno, la guerra e la malattia,
e il papavero o gli incantesimi ci fanno dormire altrettanto
e meglio del tuo colpo; allora perché ti gonfi?
Dopo un breve sonno, ci svegliamo per l’eternità,
e la morte non esisterà più; Morte, tu morirai.