Oltre l’orizzonte del “buco nero”

Antonio Gallo
5 min readDec 15, 2021

--

Foto @angallo

Google mi segnala questa immagine che feci qualche anno fa. “Pensieri incendiari e fughe marine verso l’insopportabile leggerezza degli orizzonti umani”.

Così ho scritto su FB non appena ho rivisto questa foto fatta, lo ricordo bene, in un’altra era. Alla maniera canonica, prima e dopo la pandemia, come quando diciamo avanti Cristo e dopo Cristo. Perchè di questo si tratta.

Sta per concludersi un secondo anno e siamo ancora prigionieri di un nemico invisibile. Poco fa, qualcuno, scienziato, economista o giornalista, ha detto alla Tv, che, forse, dovranno passare diversi anni prima che tutto abbia fine.

Ci stiamo avviando verso un altro Natale, se non proprio come quello dello scorso anno, certamente impregnato ancora di tante e diverse paure.

Il nostro modo di vivere dovrà necessariamente cambiare il nostro modo di pensare, amare, soffrire. Dovremo imparare ad affrontare la paura di un nemico invisibile, capace di rinnovarsi e cambiare nome: omega, delta, omicron e tutte le altre lettere di un alfabeto esiziale che non ha niente di greco.

Paura della malattia, paura della morte, paura del futuro, paura dell’altro, paura degli altri, paura del mondo, paura di vivere. La paura dei fuochi per niente “fatui”.

La spiaggia è quella, la conosciamo tutti. I tronchi e i rami sono quelli che si accumulano sulla riva dopo ogni mareggiata, raccolti con cura dagli operatori ambientali, pronti ad essere consumati, bruciati al fuoco alimentato dai venti marini.

Accendono grandi falò di notte, creando indimenticabili spettacoli al chiaro di luna, so tto un cielo di stelle. I fuochi danno vita a mille e mille faville che si diffondono come pensieri trasportati da una leggera brezza notturna.

Quella barca arenata lì di fianco è sparita portando i pescatori al largo per le loro usuali avventure notturne fatte di pesca e di scoperte. L’orizzonte è sempre quello. E’ la terza parola chiave che comunica questa foto: i fuochi, la barca, l’orizzonte, una propria identità.

Ma tutto è cambiato, anche l’orizzonte. Google mi ha restituito questa immagine, ma i pensieri e le sensazioni di quando la feci sono oggi diversi, molto diversi. L’orizzonte non è più quello di prima.

Ma, in fondo, cos’è l’orizzonte? Una linea immaginaria che separa il cielo dalla terra e dal mare. Dal latino: “horizon”, a sua volta dal greco: “horizon” “che limita”, sottinteso “kyklos” “cerchio”: “Il cerchio di confine”.

Non si tratta che di una linea immaginaria, che sta solo negli occhi di chi guarda, limite ultimo verso cui si può spingere la vista, il senso umano che giunge più lontano, segnato con forza dalle vette dei monti o dai dorsi delle colline, o sfumato nella pianura o nel mare dalla rotondità della sfera terrestre.

Nel suo cerchio, più o meno spezzato, suggerisce al senso dell’osservatore di esserne il centro, tracciandogli intorno un ambiente circolare, riecheggiando la centralità nella sua vita, il suo proprio punto di vista che si sposta e agisce nel mondo.

Forse per questo, nella frenesia del vivere, si cammina ad occhi bassi sul marciapiede, ma si cercano le terrazze, le torri, i belvedere fuori dai canyon delle strade, perché in città l’orizzonte non si vede quasi mai, se non a volte in un ritaglio fra le case.

E’ proprio l’orizzonte a calmare l’anima quando si sta in riva al mare o in cima a un monte, il cerchio-limite che ti ripete continuamente che puoi essere il tuo baricentro e che puoi andare, lontano o vicino, dove vuoi.

E perciò, nella lingua e nella tua mente, resta il simbolo dello spazio, con nuovi orizzonti, quelli delle idee, delle aspirazioni, dei sogni e delle illusioni, uno spazio umano, definito, magari in movimento, ma sempre in equilibrio.

Tutto ormai è stato ridimensionato dal tuo nemico, un nemico condiviso con chi ti è vicino e chi ti è lontano. Non puoi più immaginare quell’orizzonte al quale ti eri affezionato, fatto di tanti e diversi altrettanti possibili altri orizzonti, quanti gli uomini da sempre ne hanno sempre immaginato.

Una varietà, in lunghezza ed ampiezza, con la percezione personale del soggetto che ne cerca o ne ha uno, secondo la sua cultura, le sue intenzioni. Si, lo so, è vero quello che ha scritto Henry Miller che “In expanding the field of knowledge we but increase the horizon of ignorance” , “Man mano che cresce la nostra conoscenza, si allarga anche l’orizzonte della nostra ignoranza”.

Quanta conoscenza possiamo realmente dire di avere di questo oscuro, minaccioso ed implacabile virus che ha attaccato il pianeta Terra? Sembra davvero che più ne sappiamo, più grande diventa la nostra ignoranza. Il nostro orizzonte interno si è ormai rinchiuso in se stesso. Non ha più nessuna dimensione spaziale, geografica o mentale.

Sapevamo prima che l’orizzonte della foto del post era illimitata, libera e indefinita. Dentro di noi ci rendevamo conto che la nostra visione poteva andare anche oltre quella ristretta insenatura. Oggi non più. L’infinito si è ristretto in un finito obbligato, imposto.

Siamo collocati fermi ed immobili come sul bordo come sul bordo di un “buco nero” nel quale gli orizzonti sono “eventi-orizzonti”, dei confini che marcano un punto di non ritorno se cerchiamo di andare “oltre”. Una volta attraversato quel punto, quell’orizzonte, non si torna indietro, si è ridotti in frantumi, atomi su atomi senza orizzonti.

La percezione di un orizzonte è legata alla percezione che abbiamo con la terra. Infatti, nello spazio non ci sono orizzonti. Un astronauta una volta ha detto che quando si è nello spazio si ha la sensazione di non avere radici. Sono queste, le “radici”, infatti, che danno la dimensione di un orizzonte. Esse segnano un inizio ed una fine. Nello spazio, senza orizzonti, ci si rende conto che non abbiamo storia nè indietro nè tanto meno davanti.

Se le cose stanno così, ci si rende conto che in assenza di un “orizzonte” in questa nostra epoca quanto mai tecnologica l’uomo di oggi finisce di vivere contro natura, ma, allo stesso tempo, è come essere rincorso dalla natura. Un virus che sopravvive soltanto se incontra qualcuno sul suo cammino, orizzonte dopo orizzonte.

Mentre lo rincorriamo per annientarlo con i vaccini, ci rincorre con le sue varianti, ben sapendo che oltre il suo orizzonte non può esserci vita. Il nostro orizzonte non coincide con il suo.

Il nostro è quello della vita. Lui sopravvive soltanto se si confronta con noi. Non basteranno i fuochi e le barche ad assicurarci la sopravvivenza. Fuochi fatui e barche senza mare, verso un orizzonte fatto di tanti buchi neri per ognuno di noi.

--

--

Antonio Gallo
Antonio Gallo

Written by Antonio Gallo

Nessuno è stato mai me. Può darsi che io sia il primo. Nobody has been me before. Maybe I’m the first one. Nulla dies sine linea.

No responses yet