“Notrifobia & Travitude”: se non viaggi, non esisti
Gli uomini, anzi gli esseri umani, sono fatti di parole. Ne creano ogni momento. Le inventano, le usano, le abbandonano, le dimenticano. Ma una parola non muore mai. È l’espressione di un momento, una situazione, un problema, un pensiero o un sentimento. Questa di cui desidero parlare è un nuovo soggetto linguistico alla cui base ritroviamo due parole chiave: viaggio e paura: NOTRIFOBIA.
La parola non è documentata. Da una prima lettura etimologica, il termine potrebbe riferirsi a una paura specifica, probabilmente legata a un concetto o oggetto non comune. In generale, le fobie sono paure irrazionali e persistenti verso oggetti o situazioni specifiche. Se "notrifobia" fosse una fobia, potrebbe rientrare in questa categoria, ma senza ulteriori informazioni, non è possibile fornire una definizione precisa o dettagli specifici. Deriva dal greco antico "phóbos" (φόβος), che significa "paura" o "timore". Il suffisso "-fobia" viene utilizzato per formare nomi composti che indicano paure, avversioni o repulsioni, spesso morbose, verso persone, cose o situazioni specifiche, paura o timore intenso e irrazionale.
Si scopre poi, che centra il tema del viaggio. Se n’è occupato il settimanale La Lettura. "No – trip" e "phobia", identificano la paura di non viaggiare o di non avere alcun viaggio in programma. La "notrifobia" allora si manifesterebbe principalmente perché molte persone percepiscono il viaggio non solo come un’attività ricreativa, ma anche e soprattutto come una necessità fondamentale, per alleviare lo stress accumulato durante l’anno. Questa paura tende ad intensificarsi con l’arrivo della stagione estiva, periodo in cui le ferie si avvicinano e si presenta l’opportunità di dedicarsi al riposo e alla scoperta di nuove destinazioni.
Il termine trova terreno fertile quando l’individuo si confronta con la realtà pratica e scopre che non ci sono viaggi prenotati all’orizzonte, spesso a causa dei costi crescenti di trasporti e alloggi. Questo comportamento può portare all’esaurimento dei posti disponibili e all’impossibilità di organizzare un viaggio, alimentando un circolo vizioso di ansia e inquietudine.
Un neologismo anglo-ellenico, quindi, che si riferisce a come la visione del mondo si sia ingrandita. Poi si scopre che il 40% degli Italiani soffre di questa patologia. Si teme di non avere ancora prenotato le vacanze. Devi viaggiare. Se non viaggi, non esisti. La situazione fa nascere un’altra parola, un possibile sinonimo. Come le ciliegie, una tira l’altra: TRAVITUDE.