Nella “Cattedrale degli Angeli” a Sarno per l’anno del Giubileo 2025

Antonio Gallo
8 min readDec 26, 2024

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Giovedì 26 giugno 2002 alle ore 20.00 nella Cattedrale di San Michele Arcangelo di Episcopio di Sarno ebbe luogo la presentazione del volume edito da quella che fu l’Associazione Culturale per il Terzo Millennio Episcopio 2000 (onlus). Intervennero S.E. Mons. Gioacchino Illiano, Vescovo di Nocera Sarno, don Antonio Calabrese, ancora oggi parroco della chiesa, il prof. Pietro Caiazza, docente di Storia della Chiesa, Univ. di Salerno, Il dott. Giuseppe Canfora, Sindaco di Sarno, il dott. Vito Caponigro (EPT Salerno)

La Cattedrale degli Angeli è la Chiesa di San Michele Arcangelo eretta oltre mille anni orsono ai piedi del monte Alvano, nella frazione di Episcopio. Essa si affaccia sul’imponente spettacolo naturale della Valle dei Sarrasti percorsa dal fiume Sarno, alle spalle del Vesuvio.

La Cattedrale degli Angeli è il Duomo di Episcopio, un prezioso monumento artistico e culturale contenente antiche memorie civili e di fede che attraversano la storia della Città di Sarno per oltre un millennio.

La Cattedrale degli Angeli è la Cattedrale descritta nelle “Memorie” stampate nel 1886 da F. P. Pace e pubblicate integralmente per favorire il recupero della memoria storica della nostra comunità.

La Cattedrale degli Angeli è la con-cattedrale della città di Sarno dalla quale emergono simboli e messaggi e fanno vibrare i ricordi a nuova vita: angeli, demoni, credenti e peccatori, persone e personaggi, artisti e artigiani che ritrovano la loro identità.

La Cattedrale degli Angeli è la Parrocchia di San Michele Arcangelo in Episcopio sotto la cui straordinaria quadreria pittorica dei Solimena e dei loro allievi si ritrova una comunità di fede che continua a ricordare il passato, per poter leggere il presente e costruire il futuro.

Questo libro fu pubblicato da chi scrive per quelle intenzioni che furono dell’Associazione Culturale per il Terzo Millennio “Episcopio 2000 (onlus) fondata a cura di Saverio Ingenito e del sottoscritto.

Volevamo dare valore e risalto alla realtà umana, storica, sociale, politica e religiosa della Valle del Sarno, esaltare la creatività artistica e lo spirito imprenditoriale di un territorio antico di millenni, ricco di genialità nascoste e di valori moderni. Buone intezioni, si direbbe.

Tali rimasero. Di solito si dice:“la strada che porta all’inferno è lastricata di buone intenzioni”. Ma noi siamo sempre qui, non siamo finiti all’ “inferno”. Lo spirito e la presenza di San Michele continua a proteggere la nostra Chiesa specialmente in occasione del Giubileo per l’anno 2025.

Il tempo e la distanza non possono cancellare la Memoria di chi non vuole dimenticare. Mi sono ricordato, infatti, di una poesia che ebbi modo di conoscere molti anni fa durante una Summer School in Inghilterra. Scritta da un poeta inglese, non solo autore di poesie, ma anche romanziere, critico letterario, bibliofilo e bibliotecario. Me lo fece conoscere un mio grande amico inglese, purtroppo scomparso di recente.

Frequentai molti suoi corsi estivi sulle chiese inglesi, sulle biblioteche e sulle belle arti. In una delle tante visite, Mike Hope introdusse la sua lecture leggendo una poesia di Philip Larkin, allora ancora vivente, (morì un anno dopo nel 1985). Era intitolata “Church going”, “Andare in chiesa”.

Andare in chiesa (1955)

Quando sono certo non vi siano cerimonie/entro, lasciando sbattere la porta./Un’altra chiesa: stuoie, panche, pietra,/breviari; distese di fiori tagliati/per la domenica, ora sciupati;/ottoni e utensili giù in fondo; il piccolo/organo sta al suo posto; il silenzio/è palpabile, teso, ammuffito,/fermenta da Dio sa quanto. Col cappello/in mano, sistemo i pantaloni/da pioggia con imbarazzata deferenza,/avanzo, sfiorando con la mano/il fonte battesimale.

Qui da dove guardo, il tetto sembra nuovo./Pulito o restaurato? Qualcun altro/lo potrebbe sapere, non io./Sul pulpito, leggo attentamente/parole intimidatorie, scritte a grossi caratteri,/pronunciando “Qui finisce” con più forza/del previsto. L’eco ghigna rapida./Firmo il libro delle visite, dono un penny, penso/che non valeva la pena di fermarsi.

Però l’ho fatto: come faccio spesso,/e sempre per una perdita di tempo/simile, chiedendomi cosa ci sia/da vedere, e chiedendomi, pure,/quando saranno cadute in disuso,/in che trasformeremo le chiese,/se terremo un po’ di cattedrali/in esibizione permanente, pergamene,/piatti e tabernacolo in una teca/e le altre sfitte, per pecore e maltempo.

Le eviteremo come luoghi maledetti?/O con il buio, donne prudenti/andranno coi bambini per toccare/una certa pietra, a cercare un rimedio/per il cancro; oppure, in certe notti/a vedere un morto che cammina?/Un qualche potere le sarà attribuito/come per caso, in giochi e indovinelli./Ma la superstizione, come la fede, si spegne,/e quando persino lo scetticismo/è tramontato, che cosa rimane?

Erba, pavimenti ammuffiti,/rovi, rovine, cielo./Una forma sempre meno distinguibile,/uno scopo sempre più oscuro. Mi chiedo/chi sarà l’ultimo, proprio l’ultimo, a cercare/questo posto per quello che era; uno di quelli/che saggiano con mano, che raccolgono/appunio, che sanno cos’era il tramezzo?/Oppure un fanatico delle rovine,eccitato dall’antichità,/o un curioso della domenica che spera in uno sbuffo/di paramenti, nell’organo, in mirra?

O uno più simile a me,/annoiato, disinformato, che sa che si è disperso/il limo spettrale e tuttavia/ha attraversato la periferia/fino a questo pezzo di terreno/che così a lungo e così tranquillamente/ha tenuto intatto quello che da allora/si trova soltanto nella separazione/(matrimonio e nascita e morte, cose così),/per cui fu costruito questo santuario?

Perché, benché io non capisca/davvero il valore di questa baracca,/provo piacere nello stare qui in silenzio;/un luogo austero su una terra austera,/nella cui aria composita si incontrano/tutte le nostre ossessioni, e vengono riconosciute/e trattate come destini./E questo non sarà mai obsoleto,/perché qualcuno ci sarà sempre/che in sé scoprirà un bisogno più serio/e con esso sarà attratto a questo luogo,/che era il luogo, come gli avranno detto,/adatto a coltivare la saggezza,/altro non fosse che per tutti i morti/che ci sono intorno.

(Trad. Marco Malvestio)

Come sempre la poesia va letta e amata, vivendola nella sua lingua originale. Chi vuole, e conosce l’inglese, la trova qui al link. Scritta nel 1955, la poesia affronta il tema della religione e del significato delle chiese nella società moderna. Philip Larkin inizia descrivendo un momento di introspezione mentre visita una chiesa vuota. La sua osservazione iniziale è di indifferenza.

Entra “per vedere se c’è qualcosa in corso”, evidenziando una certa distanza emotiva dalla religione tradizionale. Nonostante il suo scetticismo, il poeta si confronta con l’importanza storica e culturale della chiesa. Riconosce che questi luoghi hanno un significato profondo, non solo come spazi di culto, ma anche come simboli di comunità e tradizione.

Philip Larkin si chiede cosa rimarrà della religione in un futuro in cui le chiese potrebbero diventare obsolete. La poesia culmina in una riflessione sul bisogno umano di trovare un senso, anche al di fuori delle credenze religiose. Il poeta suggerisce che, sebbene la fede possa sembrare in declino, il desiderio di esplorare questioni esistenziali e spirituali rimane vivo.

Le sue domande sulla vita, la morte e il significato dell’esistenza si riflettono nel modo in cui descrive la cerimonia e la sacralità. “Church Going” rappresenta una meditazione profonda sulla condizione umana contemporanea, esplorando il conflitto tra scetticismo e la continua ricerca di significato.

La poesia invita a riflettere su come le istituzioni tradizionali possano ancora influenzare le nostre vite, anche quando sembrano perdere rilevanza. Larkin riesce a catturare questa tensione con una voce sincera e contemplativa, rendendo la sua opera ancora attuale nel dibattito sulla spiritualità moderna.

Nella poesia vengono utilizzate diverse immagini e metafore per esprimere il messaggio centrale sulla religione e il suo significato nella vita moderna. La Chiesa come spazio vuoto è descritta come un luogo desolato, simbolo di un’istituzione in declino, che riflette l’indifferenza crescente verso la religione. Il poeta utilizza la metafora della cerimonia religiosa per rappresentare la ricerca umana di significato, suggerendo che anche senza fede, ci sono momenti di sacralità nella vita quotidiana.

Le sue domande, tanto sul futuro della religione quanto sulla fede e sul significato della vita, servono da metafore per l’incertezza e la ricerca di risposte in un mondo sempre più secolarizzato. Immagini e metafore che contribuiscono a una riflessione profonda sulla spiritualità e l’esperienza umana.

La Chiesa

Ogni qualvolta entro nella Chiesa di San Michele Arcangelo ricordo che quel libro mi costò non poca fatica, ma mi fece comprendere quanto sia importante conoscere la storia delle radici dei luoghi dove uno si trova a vivere, amare e lavorare. Sentimenti che ebbi la fortuna di condividere con altre persone che compresero, apprezzarono ed aiutarono il lavoro di ricerca, l’allestimento, stampa e la pubblicazione del libro.

La ragione per la quale riscopro questo mio lavoro, fatto nell’esclusivo interesse culturale di quella Istituzione che è la Chiesa, va ritrovata nella considerazione che la Storia ritorna e spesso si ripete per costruire un futuro migliore. Possono essere vari i segnali di lettura di questo fatto, mi piace qui metterli in evidenza.

Il primo va ritrovato in don Antonio Calabrese, ancora oggi parroco della Cattedrale, persona colta e volitiva, pastore dedicato e riservato, uomo di grande sensibilità umana e cristiana. Don Antonio continua a condurre il suo “gregge” qui a Episcopio accompagnato dal suo grande senso di missione e umanità. Il secondo auspicio va letto nella lista di coloro i quali favorirono la realizzazione e la stampa del mio libro. C’era anche il dott. Giuseppe Canfora, allora al suo primo sindacato, oggi felicemente libero dalla politica politicante. Il suo impegno umano per la comunità sarnese è passato alla storia.

A distanza di tanti anni, questi “fatti” si incrociano e danno il segnale di una positiva “coincidenza significativa” per il nostro futuro. Il 2025 è l’anno del Giubileo. Qualcuno mi ha chiesto perché non si ristampa il libro. Purtroppo ho scoperto che nell’archivio dell’emerito Editore Buonaiuto non sono reperibili i file del libro, insieme alla ricca documentazione fotografica. Mi viene naturale, a questo punto, fare alcune considerazioni, diciamo così tecniche, di una certa rilevanza anche culturale e sociale.

Sono figlio di una famiglia di stampatori post-gutenberghiani. La mia passione è stata sempre la comunicazione in tutte le sue forme. Di questa abilità ho fatto una ragione sia di vita che di professione. Ho trascorso gran parte della mia attività professionale in maniera cartacea. Ma, arrivata l’età della pensione, non ho avuto timore di riciclare tutto quello che credevo di sapere e passare al pensiero ed alla scrittura digitale.

Non è stata cosa facile, un’avventura ancora in atto, che a mio parere coinvolge, travolge e trasforma. In una manciata di pochi anni tutta la comunicazione su questo pianeta Terra è cambiata non solo nei contenuti, ma soprattutto nella forma e nei sistemi per comunicare, interagire e condividere.

Se avessimo conservato la “memoria digitale” di quel libro, avremmo potuto non solo ristamparlo in cartaceo, ma anche farne una edizione digitale in versione dinamica. Se avessimo conservato il tutto nella “nuvola”, avremmo potuto rilanciare il libro, condividendo, ricostruendo, ricreando i fatti e le memorie nel loro divenire. Peccato, davvero una grande perdita. Gli “angeli” della cattedrale di Episcopio continuano a vivere in versione cartacea e nelle mirabili tele dei Solimena.

La loro pittura non fu un artifizio. Creatività, intenzionalità, originalità caratterizzarono la loro narrazione che fu e resta un esempio di umanità trascendente. Per questa ragione, varcare la soglia della Cattedrale degli Angeli di Episcopio, come di qualunque altra chiesa, piccola o grande, moderna o antica, in questo anno di Giubileo 2025, significa essere pellegrini del mondo e camminare verso la speranza.

Non dovremmo mai dimenticare che la convivenza più autentica con la realtà della vita è determinata dalla speranza. L’intonazione della nostra vita è da sempre risonanza del suo fermento presente in ogni essere umano.

Credente o non credente, tu che sei un Pellegrino, varca la soglia di una chiesa e troverai la speranza. Meglio se sarà la Cattedrale degli Angeli di San Michele Arcangelo di Episcopio, nella Valle dei Sarrasti.

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Antonio Gallo
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Written by Antonio Gallo

Nessuno è stato mai me. Può darsi che io sia il primo. Nobody has been me before. Maybe I’m the first one. Nulla dies sine linea.

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