L’uomo che divenne Gesù Cristo
Ogni qualvolta esce un libro la cui tematica è di mio interesse e decido di leggerlo, cerco sempre di confrontarmi con quegli interrogativi che ogni buon libro pone ed ai quali sia chi l’ha scritto che chi l’ha comprato cercano di trovare non solo risposte, ma porre anche altre eventuali, ulteriori domande.
E’ il caso di questo libro appena annunziato in uscita da Mondadori. Ho avuto la possibilità di leggere uno stralcio scritto dall’autore e la presentazione editoriale. Tra i tanti interrogativi che un libro come questo pone, (ne sono stati scritti a milioni in tutte le lingue su questo argomento nel corso di duemila anni), un interrogativo me lo sono posto ed è tutto espresso nel titolo di questo post: Come fece l’uomo chiamato Gesù Cristo a diventare un uomo?
Non so se Busi affronta questo problema. Lo saprò solo dopo aver letto il libro. Per ora mi limito a cercare una risposta a questa domanda che, da sempre, mi pongo nella mia impropria e limitata fede di credente. L’editore nella presentazione del libro di Giulio Busi scrive:
Chi è, veramente, Gesù? Sappiamo cosa è diventato dopo la sua morte, in duemila anni di fede cristiana. Ma come lo considerano i contemporanei? Cosa pensano quando lo ascoltano parlare e mentre lo vedono agire? Poco prima della fine, egli pronuncia su di sé parole «Io so da dove vengo, e dove vado. Voi, invece, non sapete da dove vengo e dove vado» ( Gv 8,14). Può questo messaggio di un «re» ebreo illuminare anche l’origine e la meta della nostra vita? Attraverso un fitto e appassionato dialogo con i Vangeli, Giulio Busi traccia il profilo di un Gesù ribelle, assai diverso dall’immagine del buon pastore, mite e mansueto, trasmessa da gran parte della tradizione cristiana. È il Gesù della polemica e dell’invettiva. E, insieme, il Gesù visionario che sovverte e trascende ogni limite di spazio e di tempo, in continuo movimento tra il «qui» della sofferenza e della sopraffazione e il «là» della pace e della vita spirituale. A delinearsi con chiarezza in queste pagine è, in particolare, una «storia ebraica» del maestro di Nazaret. Per lui, infatti, gli ebrei non sono mai «loro» ma «noi». E se la sua ribellione s’indirizza anche contro l’élite religiosa giudaica, è pur sempre la ribellione di un ebreo, orgoglioso della propria appartenenza, che sa interpretare la Torah in modo straordinariamente raffinato, eppure libero, nuovo, creativo. Alla fine, Gesù è un re proscritto, su cui pende un ordine di arresto. Un rabbi itinerante braccato e costretto a nascondersi. Quando sale a Gerusalemme per l’ultima Pasqua, sa che verrà tradito, catturato, percosso, ucciso. I suoi si sbandano, rinnegano. Solo un gruppo di donne non lo lascia nell’ora più oscura. E soltanto una donna cerca il proprio maestro e per prima lo trova, all’alba, in un giardino, al di là della morte. Il giudaismo ha rifiutato il regno senza potere impersonato da Gesù. Il cristianesimo ha trasformato la missione errante dei primi discepoli ebrei, senza famiglia e senza averi, senza bagaglio e senza armi, in una realtà solida, ben costruita, capace di durare per millenni. Ma la ribellione di Gesù ancora continua.
Partiamo dal principio. Non è possibile affrontare questo argomento senza costruire le premesse, il contesto. L’uomo di cui mi accingo a scrivere non è un bambino, un ragazzo, un uomo qualunque. È niente di meno che il figlio di Dio.
Bisogna anche intenderci su questa entità che porta questo nome: Dio. Un ente superiore, una realtà ultra umana, spaziale, celeste, universale, chiamatela come volete. Certamente colui/colei che ha creato dal nulla ogni cosa. Da dove inizio, dalla parola universo?
Impropria parola se sappiamo che esistono i multiversi. Insomma questa entità creatrice del tutto, forza misteriosa e potente, fuori dal tempo e dallo spazio, ma che entrambi comprende, conosce e comanda, decide di inviare su uno dei milioni di miliardi di infiniti corpi celesti di cui sono fatti non solo i suoi spazi ma anche se stesso, decide di inviare su una palla-pianeta chiamata Terra, suo “figlio”.
Aveva bisogno di inviare un messaggio a quegli esseri umani che molto tempo prima aveva creato e messo a vivere da quelle parti. Non starò a dire e spiegare il come e il perché. Mi basta dire che decide di inseminare una donna, in una certa parte di quel pianeta, per generare un figlio, portatore di un messaggio per quella gente.
La narrazione a questo punto avrebbe bisogno di diverse spiegazioni e risposte a vari interrogativi ai quali non intendo rispondere perché mi porterebbero fuori strada nel racconto. Ciò che interessa a questo punto è cercare di capire il travaglio che dovette affrontare questo povero cristo, è il caso di dire.
Se “il mezzo è il messaggio”, questo neonato era il “mezzo” che doveva poi diventare il “messaggio”. Lui, figlio di questo ente superiore creatore del tutto, aveva un compito, una missione, un “messaggio” da comunicare, spiegare, far comprendere e alla fine far accettare non solo a quella particolare gente, quel particolare popolo, in quei determinati luoghi del pianeta, ma anche a tutti gli altri esseri allora viventi, ma anche per quelli futuri.
Ebbe scarsa fortuna, il messaggio non venne capito, continua a non essere compreso nè tantomeno accettato. Il povero cristo, è il caso di ripeterlo, venne preso per pazzo, rivoluzionario, ribelle e quant’altro. La storia la conosciamo tutti. Il punto che mi interessa in questo mio esercizio di scrittura, che spero non verrà considerata blasfema, è l’avventura che dovette affrontare nel diventare uomo in terra, lui che aveva una identità diversa, non bene definita.