Lord Byron, lucido e moderno premonitore della fine del mondo
In questi giorni ricorre l’anniversario della nascita del poeta inglese Lord Byron nato il 22 gennaio del 1788 a Londra come George Gordon.
Un soggetto impulsivo, estroverso, facile agli eccessi di vario tipo, un carattere, come si suol dire, “bipolare”. Ebbe un rapporto incestuoso con la sua sorellastra Augusta, forse padre di uno dei suoi bambini.
Un temperamento carismatico, spiritoso, arguto, atletico. Una delle sue amanti lo definì “matto, cattivo e pericoloso”. Si sposò una sola volta con Anne Isabella Milbank nel 1814 nella speranza che la vita domestica avrebbe concorso a mitigare il suo temperamente tempestoso.
Ma il matrimonio fu un errore sin dal principio. La moglie non aveva il senso dell’umorismo ed era piuttosto rigida. Insomma un fallimento.
Ebbero una figlia di nome Ada. Nel 1815 si separarono e Byron lasciò l’Inghilterra decidendo di vivere all’estero. Non fece mai ritorno in patria.
Nonostante la sua vita irrequieta, e spesso violenta, trovò il tempo di scrivere una grande produzione poetica, una delle più grandi del mondo di lingua inglese. Diventò subito una stella del suo tempo.
Basti pensare che il suo poema “Il Corsaro” (1814), nel giorno in cui venne pubblicato, vendette 10.000 copie. Tenete presente che siamo agli inizi dell’ottocento.
Una mattina di aprile del 1824 esce a cavallo, a torso nudo, a fianco del giovane attendente di cui è innamorato, dà ordini, urla, come se conducesse una battaglia.
In preda alle convulsioni, quella stessa notte, è sottoposto a salassi multipli, ma ancora non si arrende: «Non estrarrai la mia vita, dottore!» è l’ultimo epico grido.
Poche ore dopo è in coma. Il giovane di cui è innamorato gli resta accanto, atterrito, quasi fino alla fine e poi scappa con la cassa, abbandonando il poeta.
Byron incarna nella vita reale l’eroe romantico dei suoi scritti perdendo il confine tra realtà e letteratura e finendo divorato dal suo personaggio.
Eccessivo e istrionico, ha dato spettacolo durante tutta la sua esistenza. A soli 36 anni ha calato il sipario sulla sua burrascosa esistenza.
Il testo poetico che vi presento è un estratto della poesia Darkness scritta nell’anno 1816. Un anno che venne definito “senza estate” a causa dell’eruzione del monte Tambora, nelle Indie Occidentali olandesi.
Si era diffusa una grande paura in tutto il mondo, ed in particolare in Europa: la fine del mondo sembrava imminente. Ci furono episodi di violenza, disordini, suicidi di massa e manifestazioni di isterismo collettivo.
Il movimento culturale in voga al momento, il Romanticismo, affermò la connessione tra la natura e Dio. Alcuni poeti romantici come S. T. Coleridge scrissero che la natura doveva essere trattata con gentilezza, non si doveva essere crudeli con lei altrimenti lei sarebbe stata crudele.
Nella poesia di Lord Byron si possono intravedere elementi di questo evento eruttivo: foreste in fiamme, genti e animali in fuga, morti di fame, scomparsa del sole oscurato dalla cenere del vulcano trasportata per km e km. La mancanza di una comunicazione di rete come quella di oggi concorse a diffondere l’idea di tristi ed imminenti funesti presagi.
Quando Byron scrisse la poesia era in Svizzera con i suoi amici poeti e scrittori famosi come P. B. Shelley, Mary Shelley, William Polidori ed altri. Gli eventi si susseguirono per tutto quell’anno e fanno da sfondo alla composizione quanto mai pessimistica nella sua visione dell’umanità.
La poesia possiede ancora oggi un indubbio valore profetico su quanto può accadere all’umanità se gli uomini continuano a comportarsi come continuano a fare nei confronti della natura. Guerre, inquinamento, contaminazioni, riscaldamento globale sono fenomeni all’ordine del giorno.Al tempo in cui Lord Byron scrisse la sua poesia la gente davvero credette che la fine del genere umano fosse arrivata.
Oggi, dopo due anni di pandemia, nessuno sa cosa sia, perchè sia accaduta, chi/cosa l’ha provocata e quando tutto finirà, gli uomini continuano a fare nei confronti di se stessi e dell’ambiente in cui vivono, cieca violenza. Brancoliamo nella più completa “darkness”, la “oscurità” del giovane poeta, così come la descrisse in questa sua drammatica poesia. Ci aspettiamo la fine da un momento all’altro, ma continuamo ad andare imperterriti verso l’oscurità. Trascrivo e traduco soltanto l’inizio della poesia, chi vuole può trovare il testo originale qui al link:
I had a dream, which was not all a dream:
The bright sun was extinguished, and the stars
Did wander darkling in the eternal space,
Rayless and pathless, and the icy Earth
Swung blind and blackening in the moonless air!
Morn came, and went, and came — and brought no day.
And men forgot their passions in the dread
Of this their desolation; and all hearts
Were chilled into a selfish prayer for light.
And they did live by watchfires — and the thrones,
The palaces of crownéd kings, the huts,
The habitations of all things which dwell,
Were burnt for beacons. Cities were consumed,
And men were gathered round their blazing homes
To look once more into each other’s face.
Happy were those which dwelt within the eye
Of the volcanos, and their mountain-torch!
A fearful hope was all the World contained -
Forests were set on fire, but hour by hour
They fell and faded, and the crackling trunks
Extinguished with a crash, and all was black …— —
Ebbi un sogno che non era del tutto un sogno.
Il sole radioso si era spento, e le stelle
vagavano oscurandosi nello spazio eterno,
disperse e prive di raggi, e la terra coperta di ghiacci
in tenebre ruotava cieca nell’aria senza luce;
il mattino venne e svanì, ritornò senza portare il giorno,
e nel terrore di questa desolazione gli uomini obliarono
le loro passioni; e ogni cuore
gelò in un’egoistica preghiera di luce:
e vissero presso fuochi di campo e i troni,
i palazzi di re incoronati; i tuguri,
le abitazioni di tutti gli abitanti
furono arsi come segnali di fuoco; si consumarono
le città e gli uomini si radunarono attorno alle loro case ardenti
per guardarsi ancora una volta in volto;
felici coloro che dimoravano nello sguardo
dei vulcani, e nei pressi della loro torcia montana:
il mondo conteneva una sola timorosa speranza;
le foreste furono incendiate, ma in poche ore
crollarono distrutte, e i crepitanti tronchi
si spegnevano in uno scroscio — e tutto tornava oscuro…