L’intemporaneo
“Il mio sogno non sorge mai dal grembo
delle stagioni, ma nell’intemporaneo
che vive dove muoiono le ragioni
e Dio sa s’era tempo; o s’era inutile”
[Le stagioni — Eugenio Montale]
I versi finali della poesia offrono una riflessione profonda e complessa sul concetto di tempo e sull’esperienza umana. Montale inizia affermando che il suo sogno non ha origine nelle “quattro stagioni,” simbolo di ciclicità e cambiamento naturale.
Questo rifiuto implica una critica alla superficialità con cui spesso si interpretano le esperienze umane attraverso i cicli naturali. Le stagioni, con le loro associazioni emotive e culturali, non sono sufficienti a contenere la complessità del sogno umano, che si colloca al di fuori di queste categorie.
L’idea di “intemporaneo” suggerisce un’esperienza che trascende il tempo lineare e ciclico. Montale sembra indicare uno spazio esistenziale in cui si vive l’assoluto, lontano dalle convenzioni temporali. La frase “dove muoiono le ragioni” può essere interpretata come una riflessione sulla perdita di significato e razionalità nel mondo moderno.
Le “ragioni” possono riferirsi a quelle motivazioni logiche e razionali che guidano le scelte umane, ma che in questo contesto sembrano svanire, lasciando spazio a un’esperienza più profonda e ineffabile.
La domanda retorica finale, “Dio sa s’era tempo, o s’era inutile,” introduce un elemento di ambiguità. Il Poeta sembra interrogarsi sul valore del tempo stesso: è stato speso in modo significativo o è stato semplicemente “inutile”?
Questa riflessione evoca una certa disperazione esistenziale, suggerendo che la ricerca di significato può apparire vana in un mondo dove le certezze sono sfuggenti. Questi versi rappresentano una meditazione profonda sulla condizione umana.
Lontano dalle rassicurazioni delle stagioni e delle loro simboliche rinascite, il poeta esplora l’intemporaneo, un luogo esistenziale dove il sogno si confronta con l’assurdo e l’incertezza del vivere. La sua poesia diventa così un invito a riflettere sulla complessità dell’esperienza umana in un mondo in cui le certezze sembrano dissolversi.
L’intemporaneo è un concetto filosofico che si riferisce a uno stato o una dimensione esistenziale che trascende il tempo lineare e ciclico. In questo contesto, l’intemporaneo rappresenta un’esperienza che non è soggetta alle limitazioni temporali e alle convenzioni delle stagioni o dei cicli naturali.
Transcendenza. L’intemporaneo è visto come una realtà che va oltre le esperienze temporali ordinarie, permettendo una connessione con l’assoluto o con una dimensione più profonda dell’esistenza.
Perdita di razionalità. In questo spazio, le “ragioni” e le spiegazioni razionali possono svanire, suggerendo che l’esperienza intemporanea non può essere completamente compresa attraverso la logica o la razionalità tradizionale.
Ambiguità del tempo. L’intemporaneo solleva interrogativi sul valore e sul significato del tempo stesso, portando a riflessioni sull’utilità delle esperienze vissute e sulla loro connessione con l’essere.
Il concetto di intemporaneo è spesso esplorato in relazione a pensatori come Nikolai Berdjajew, il quale discute l’essere come qualcosa che eccede le esperienze quotidiane e temporali, suggerendo una dimensione in cui l’uomo può confrontarsi con la propria esistenza in modo più autentico.
Montale utilizza questa idea per esprimere la complessità dei sogni e delle aspirazioni umane, che non possono essere ridotte a semplici cicli di vita o esperienze stagionali.
L’intemporaneo rappresenta un aspetto della filosofia esistenziale che invita a riflettere su come le esperienze umane possano andare oltre il tempo e le sue limitazioni, cercando significati più profondi e universali.
Il mio sogno non è nelle quattro stagioni.
Non nell’inverno
che spinge accanto a stanchi termosifoni
e spruzza di ghiaccioli i capelli già grigi.
e non nei falò accesi, nelle periferie
dalle pandemie erranti, non nel fumo
d’averno che lambisce i cornicioni
e neppure nell’albero di Natale
che sopravvive, forse, solo nelle prigioni.Il mio sogno non è nella primavera
L’età di cui ci parlano antichi tabulari,
e non nelle ramaglie che stentano a mettere piume,
e non nel tinnulo strido della marmotta
quando s’affaccia dal suo buco,
e neanche nello schiudersi delle osterie e dei crotti
nell’illusione che ormai più non piova
o pioverà forse altrove, chissà dove.Il mio sogno non è nell’estate
nevrotica di falsi miraggi e lunazioni
di malaugurio, non nel reticolato
del tramaglio squarciato dai delfini,
non nei barbagli afosi dei suoi mattini,
e non nelle subacquee peregrinazioni
di chi affonda con sé e col suo passato.Il mio sogno non è nell’autunno
fumicoso, avvinato, rinvenibile
solo nei calendari o nelle fiere
dei barbanera, non nelle sue nere
fulminee sere, nelle processioni
vendemmiali o liturgiche, non nel grido dei pavoni
nel giro dei frantoi, nell’intasarsi
della larva e del ghiro.Il mio sogno non sorge mai dal grembo
delle stagioni, ma nell’intemporaneo
che vive dove muoiono le ragioni
e Dio sa s’era tempo; o s’era inutile.