L’intelligenza Artificiale in medicina

Antonio Gallo
12 min readJan 28, 2025

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Ad Alessandro Gallo, general manager e sales director di Springer Healthcare Italia ed esperto di intelligenza artificiale in medicina, mi lega un’amicizia nata qualche anno fa quando entrambi studiavamo per il nostro Master — io in Salute Pubblica, lui in Studi Clinici — alla London School of Hygiene and Tropical Medicine (LSHTM).

Da un po’ di tempo, visto gli interessi professionali in comune, continuiamo a scriverci su Whatsapp dicendoci che prima o poi dovremmo buttare giù qualche riga a proposito di alcuni temi caldi su cui si sta concentrando ultimamente l’universo sanitario e nei quali, sia io che lui, siamo quotidianamente coinvolti.

Finalmente, ci siamo riusciti…

Alessandro, prima di tutto penso sia importante spiegare ai nostri lettori che cos’è Springer e di cosa tu ti occupi all’interno di questa grande multinazionale che opera nel settore sociosanitario. Perché, se son certo che l’abbiano già sentita nominare in tanti, non sono affatto sicuro che tutti sappiano cosa Springer faccia nello specifico.

Innanzitutto, grazie per questo invito. Seguo da tempo le attività non scontate né mai banali di Letteratura e Medical Humanities di cui ti occupi per la Fondazione Sasso Corbaro, a margine della tua expertise in medical informatics, e son molto felice da questo momento di potervi dare anche il mio contributo e la mia visione su argomenti di sicuro interesse e attualità.

Cosa fa Springer Nature… allora, è uno dei più grandi gruppi editoriali al mondo nel settore scientifico, tecnico e medico, noto per pubblicare riviste di prestigio come Nature e Scientific American. Il gruppo, al di là di queste pubblicazioni note non solo agli addetti ai lavori, gestisce anche divisioni quali Springer Healthcare, che supporta l’industria farmaceutica con programmi di medical education, contenuti digitali innovativi e progetti di engagement per operatori sanitari, nonché attività di medical writing a supporto di autori e ricercatori.

Dopo aver acquisito uno dei primi editori pionieri dell’Open Access nel 2008, Biomed Central, l’azienda ha ulteriormente privilegiato una maggiore democratizzazione della conoscenza attraverso la scienza aperta. Un’altra importante area è rappresentata da Macmillan Education, che si concentra sull’English Language Teaching in ambito scolastico e universitario. Vale la pena menzionare anche il marchio Palgrave Macmillan, specializzato in scienze sociali ed economia, che rappresenta una componente forse meno nota ma di grande prestigio. Springer Nature è un player globale capace di coniugare eccellenza scientifica, innovazione tecnologica e sostenibilità, posizionandosi come leader nella diffusione e nell’accessibilità del sapere.

In Italia l’azienda rappresenta un unicum nel panorama editoriale, essendo il solo grande editore scientifico internazionale ad avere un ufficio in centro Milano, in continua crescita, con circa 70 dipendenti. Questa presenza fisica non solo rafforza il legame diretto con il mercato italiano, ma consente anche di rispondere in modo puntuale alle esigenze locali di medici, ricercatori e aziende farmaceutiche.

Negli ultimi anni credo che tu sia, almeno all’interno della “mia cerchia”, la persona che ho visto maggiormente accrescere la propria conoscenza — fino a diventare un esperto del settore e dedicarti a formare il personale sanitario in questo ambito — nel campo dell’intelligenza artificiale (AI) applicata alla medicina. Non ti nego, tra l’altro, che parlare di questo tema è la ragione principale per la quale ho voluto ospitarti qui sui “Sentieri”. Dimmi un po’ come nasce e perché questo tuo interesse nei confronti dell’AI?

Tra le attività di cui si occupa Springer Healthcare, oltre al supporto agli autori per la scrittura, c’è anche la revisione e submission di manoscritti su riviste indicizzate (di qualsiasi editore, non solo di quelle del nostro gruppo). Questo ci ha permesso di accumulare nel corso del tempo un’esperienza in campo di gestione di problematiche complesse con tantissime riviste.

Da circa dieci anni abbiamo lanciato l’Academy Rising Medical Stars, inizialmente dedicata a giovani specializzandi, poi allargata anche a ricercatori e operatori sanitari senior, con il coinvolgimento di editor e docenti esperti in diversi ambiti, dal critical appraisal, all’utilizzo delle banche dati, alla biostatistica e alla comunicazione medico-paziente. Chi ha partecipato negli anni ai nostri corsi si ricorderà che abbiamo parlato di strumenti digitali a supporto del medical writing anche prima del lancio di ChatGPT, ad esempio Quillbot e Hemingway.

L’aggiornamento e la formazione continua sono davvero essenziali nel quadro del mio lavoro. Nel corso degli anni ho utilizzato una serie di canali per accedere a materiali di qualità. Attenzione: non parlo di libri o riviste, bensì quelli che io chiamo “content bytes”, cioè porzioni di contenuti rilevanti per la risoluzione di specifici quesiti o criticità, attraverso l’utilizzo integrato di podcast, audiolibri, canali YouTube, Social Media (in particolare Twitter-X, TikTok e Linkedin) e App. L’utilizzo di diverse applicazioni AI-powered è stato forse il naturale sviluppo di un percorso cominciato molti anni fa.

L’evoluzione successiva di questo percorso di auto-apprendimento è stata la volontà di confrontarsi costantemente con giovani specializzandi ma anche ricercatori e operatori sanitari più senior nonché docenti universitari, per capire meglio quali fossero i loro bisogni per le attività di ricerca e di medical writing. Il formatore che parla di attività che non svolge in prima persona (almeno in parte) e che non si confronta costantemente con gli altri è destinato a restare fortemente autoreferenziale.

Detto ciò, cosa devono aspettarsi dall’evoluzione di questa tecnologia nel prossimo futuro gli operatori sanitari più impegnati nella pratica clinica?

Confesso che la prima volta che ho visto un breve video di Elvis Tusha, noto influencer su TikTok (andatevi a vedere chi è in realtà — ne ho parlato in un mio breve articolo su Substack) sono rimasto veramente sconvolto. In 30 secondi Elvis spiegava come utilizzare ChatGPT, ma facendolo vedere sullo schermo, a prova di tonto.

Per molti che sono della generazione X, l’apprendimento attraverso (brevi) video non è un concetto di facile comprensione. Io forse sono abbastanza anomalo, avendo avuto in regalo il magico Commodore 64 quando avevo 4–5 anni e quando a fine anni ’70 praticamente nessuno aveva in casa quello che qualche nonno chiamava il “calcolatore”. Eppure, si impara molto più rapidamente ed efficacemente attraverso degli esercizi pratici (non solo grazie alla teoria) e osservando quanto fanno gli altri — specie se più esperti — in particolare in medicina.

Le modalità attraverso le quali apprendiamo sono state completamente sconvolte e polverizzate. Per “polverizzate” non intendo distrutte, bensì “atomizzate”. Possiamo accedere a un quantitativo spropositato di informazioni, ma come dice Harari nel suo ultimo libro Nexus «In un mondo inondato di informazioni irrilevanti, la chiarezza è potere. Non il possesso di dati, ma la capacità di distinguere ciò che è significativo da ciò che non lo è, rappresenta la vera sfida dell’era digitale».

Non parlerei di “futuro” bensì di presente, perché questa rivoluzione è già in corso e molti sono rimasti indietro o addirittura tagliati completamente fuori.

E chi fa ricerca?

La conoscenza e l’apprendimento saranno sempre più basati sull’acquisizione di tante piccole skills, tanti “content bytes”, tanti “atomi” che dovremmo avere la capacità di ricordare, collegare e riutilizzare, combinandoli volta per volta in maniera diversa. Non si tratta di pezzettini di un puzzle, in cui ogni pezzo può essere collocato solo in uno specifico punto, ma sostanzialmente di mattoncini Lego che possono essere riutilizzati all’infinito. L’apprendimento attraverso sovrastrutture pre-definite è morto. Il concetto di laurea “chiuso”, con discipline formalizzate e sedimentate per decenni o secoli, è obsoleto. Molte delle Università più avanzate oramai non definiscono più una lista di libri di testo, bensì unicamente porzioni di contenuti rilevanti, per le quali pagano delle licenze ai copyright holders. Altre Università hanno avviato programmi di formazione attraverso MOOC (Massive Open Online Courses) offerti da aziende come Coursera, EdX, Udacity, Futurelearn che offrono la possibilità di conseguire certificazioni specifiche.

Ai puristi che si preoccupano dello svilimento della conoscenza dovuto alla “distruzione” delle opere o al valore legale dei titoli di studio (“oddio: non si leggono più i libri!; oddio, altri diplomifici per sfornare ignoranti!”) ricordo che la gran parte dei geni di successo della Silicon Valley non ha conseguito un titolo di studio e ha scientemente abbandonato prestigiose università che non corrispondevano alle loro aspettative formative e che sostanzialmente non erano in grado di insegnare loro assolutamente nulla. Avere una Laurea, un Master o un dottorato può sicuramente essere utile per trovare un buon lavoro o negoziare un aumento di stipendio, ma non è più sufficiente nel mondo contemporaneo. Anche molte Università italiane stanno introducendo un sistema di “microcredenziali”, nell’ottica dell’apprendimento continuo di specifiche skills e competenze in continuo cambiamento.

Diverso è, invece, il discorso sui libri di narrativa, che preferisco tuttora in cartaceo, senza “interferenze” digital o social, nella loro necessaria compattezza organica immutabile.

A chi si preoccupa del tracollo dei livelli di attenzione e della capacità di approfondire, oramai così diffusi nella società contemporanea (non solo tra i giovani), ricordo che il libero arbitrio ci permette ancora — per fortuna — di decidere a quali “atomi” di conoscenza dare la nostra preferenza.

Quali sono invece a tuo avviso i rischi più concreti ai quali consigli di prestare maggiore attenzione?

Innanzitutto, dobbiamo ricordare che anche questi strumenti di intelligenza artificiale sono stati sviluppati con potenziali bias e che non sempre potranno risolvere in maniera ottimale tutti i quesiti e le criticità cui far fronte. Assolutamente necessario approfondirne i limiti, leggere in dettaglio i termini e le condizioni di utilizzo e il copyright sugli output. Poi provare a capire fino in fondo quali e quanti strumenti usare e quali non usare — e perché — sempre attraverso esperienze dirette e non per sentito dire.

Certo, il life long learning è assolutamente molto più faticoso e sfidante. Più si invecchia, o più si raggiunge una “posizione”, più ci si impigrisce, ci si autoassolve e ci si giustifica per il fatto di aver smesso di essere curiosi, di migliorarsi, diventando di fatto assolutamente autoreferenziali.

Dopo aver “cavalcato” l’ondata iniziale dell’intelligenza artificiale e aver strutturato ed erogato — tra i primi in Italia — corsi e workshop interattivi per medici e ricercatori, mi sono ritrovato in una fase di parziale rigetto. Anzi, più che semplice disgusto a livello fisico e mentale, ho avuto una sensazione simile al mal di mare, o al jet leg. Più leggevo, più mi informavo e acquisivo nuovi materiali sull’Intelligenza Artificiale, più apprendevo come utilizzare nuovi strumenti, più la “marea” saliva e mi travolgeva. “Come potrò mai sopravvivere se le 200 slides che ho preparato un mese fa sono già quasi da buttare” e “Che valore ha la conoscenza se è già obsoleta nel momento in cui ne ho preso visione?”.

Ecco, quello che posso consigliare a chi dovrà affrontare questa crescente e sempre più veloce e inarrestabile “marea” è di non scoraggiarsi, di non andare dietro alle mode del momento ma seguire alcune specifiche fonti di informazione, in maniera integrata, facendo però un decluttering continuo. Non posso seguire 300 key opinion leaders, ascoltare 25 podcast, ricevere notifiche su tutto quanto mi potrebbe interessare. Devo selezionare. Devo però allo stesso tempo restare attivo e adattarmi senza chiudermi al mondo esterno.

Sempre Harari, in Nexus, fa un quadro abbastanza catastrofico dell’umanità, descrivendo l’intelligenza artificiale come una forza rivoluzionaria, capace di trasformare profondamente il nostro destino, con conseguenze ambivalenti e prevalentemente negative. La concentrazione sempre maggiore del potere e le tecnologie avanzate, spesso sviluppate e controllate da poche élite o grandi stati, potrebbero accentuare le disuguaglianze globali, creando un mondo sempre più polarizzato tra chi ha accesso ai benefici di queste innovazioni e chi ne rimane escluso o non sa come gestirle.

Un altro tema importante è quello dell’automazione, che rischia di rendere obsoleti milioni di posti di lavoro, spingendo intere società a riconsiderare i propri modelli economici e sociali. In un mondo dove l’intelligenza artificiale prende decisioni sempre più complesse, quale sarà il ruolo dell’essere umano? Quale potrà essere il ruolo del medico in un futuro prossimo in cui 12 anni di specializzazione (finendo il ciclo in corso) non saranno più sufficienti a competere nemmeno con la versione più vecchia di ChatGPT? Quale potrà essere il futuro di un editor in una casa editrice scientifica?

Al momento non posso rispondere su quello che succederà in futuro. So solo, anche grazie all’Intelligenza Artificiale, che negli ultimi anni sono riuscito ad avviare e gestire attività che in passato non mi sarei nemmeno sognato di fare e ho avuto la possibilità di apprendere e approfondire come mai avrei potuto fare in passato.

Hai qualche consiglio da dare — chessò, un testo, un corso, un profilo social di qualche esperto da seguire… — a chi volesse approfondire l’argomento AI in medicina?

Ho risposto, in parte, in uno dei miei commenti precedenti in riferimento all’AI, davvero non saprei con chi cominciare…. Bisogna selezionare accuratamente i profili da seguire (preferibilmente individui e non aziende) e assicurarsi di poter leggere o recepire almeno in parte le informazioni in entrata. Se non ho tempo, voglia o possibilità di seguire 400 profili e 2000 post, che senso ha farlo? Sicuramente Eric Topol anche per l’AI (dal suo libro Deep Medicine in poi… ). Anche il New England Journal of Medicine ha lanciato una rivista dedicata al settore. Suggerisco comunque davvero: pochi ma buoni!

Al di là dell’AI, personalmente ho trovato molto stimolante seguire Ben Goldacre, medico ex alunno della LSHTM (come noi due, Nicolò!), autore di Bad Pharma e portavoce del movimento “All Trials”, nonché Stuart Richie, psicologo e autore di Science Fictions, più recentemente diventato responsabile della comunicazione dell’azienda Anthropic (gli “scissionisti” della prima ora di OpenAI che hanno lanciato Perplexity e Claude). Seguo anche dei profili piuttosto controversi, anche per avere sempre un quadro con prospettive diverse, come ad esempio Vinay Prasad (autore del libro Ending Medical Reversal) e Peter Gøtzsche, fondatore della Cochrane Collaboration (anche se in particolare negli ultimi anni questi due clinici hanno preso delle posizioni non sempre condivisibili).

Tu sei anche molto attivo on-line dove ti occupi di una delle attività nelle quali è impegnata anche la Fondazione Sasso Corbaro, ossia la divulgazione scientifica. Mi piace molto leggere i post che pubblichi sul tuo Substack o su Linkedin perché parli di argomenti scientifici — spesso traendo spunto da recentissime pubblicazioni — in maniera sempre attenta, documentata… e, se mi permetti, con quella giusta dose di provocazione intelligente che arricchisce un dibattito che invece trovo spesso inutilmente e ipocritamente conciliante, fiacco e noioso. Ci racconti un aneddoto a tal proposito… so che ne hai parecchi.

Di recente ho commentato il paradosso di un editoriale pubblicato su The Lancet Regional Health Europe “The Italian Health Data system is broken”, rilanciato sia da diverse importanti testate giornalistiche che da eminenti esponenti del mondo della sanità italiana, senza aver nemmeno letto l’editoriale (lungo una paginetta) e capito di che cosa si stesse parlando. C’è una responsabilità condivisa che è in carico sia agli editori che ai principali stakeholders del mondo dell’healthcare, nonché ai mezzi di comunicazione che non sempre trasmettono informazioni in maniera adeguata… e che, anzi, spesso utilizzano la scienza e la medicina per fini strumentali, di visibilità o di mero clickbait, a danno della salute dei pazienti.

Si è parlato di recente di fake news e dell’eliminazione da parte di Meta (Zuckerberg, Facebook per capirci) dei filtri che avrebbero assicurato il fact checking e ridotto (o prevenuto) la disinformazione. Ma siamo sicuri che il problema sia davvero (solo) questo? A mio avviso è necessario che gli utenti/lettori siano adeguatamente attrezzati alla valutazione critica di contenuti (specialistici) e non… a prescindere da eventuali filtri imposti a monte da algoritmi addestrati anch’essi con dei bias assolutamente umani.

Chiudiamo con una domanda che si discosta un po’ da quello di cui abbiamo chiacchierato sin qui. Carissimo Alessandro, possiamo tranquillamente dirlo, senza voler esser troppo precisi, che io e te abbiamo alcuni anni di differenza — tu sei il più vecchio (d’età s’intende! Solo d’età …all’anagrafe!). In maniera simile, però, entrambi abbiamo intrapreso un percorso formativo molto impegnativo (mi riferisco al Master alla LSHTM) quando le nostre carriere lavorative erano già più che avviate. In altre parole, ci siamo rimessi sui libri da grandi. Come è stata la tua esperienza? La consiglieresti anche ad altri o, col senno di poi, a chi come noi sente il desiderio di proseguire nel suo percorso formativo, nel 2025 diresti di puntare ad altro?

A un corso di teatro a cui mi sono iscritto nella mia follia dell’età adulta, ho detto che si è giovani “dentro”. Il coordinatore del gruppo teatrale mi ha fatto notare che questa è la tipica risposta di chi è ormai diventato anziano. In verità, pur avendo perduto i capelli molto presto e raggiunto l’attuale posizione da “giovane” (a 37 anni), non ho ancora compito 48 anni.

Durante il mio periodo alla LSHTM, ho fatto anche l’Ambassador per i potenziali studenti, sono stato eletto anche Vice President per gli studenti Distance Learning con oltre 100 voti da tutto il mondo, ho potuto interagire e incontrare anche di persona medici e operatori sanitari provenienti da ogni parte del globo, in particolare anche da paesi africani e asiatici che mi sono meno familiari, oltre che confrontarmi ad altissimo livello su tematiche di grande attualità. Valuterei molto bene un percorso così complesso perché per alcuni anni ho lavorato full time e studiato tutte le sere e ogni singolo weekend, rischiando un esaurimento nervoso… Ma sicuramente sono orgoglioso dei risultati ottenuti e di aver superato il confronto con me stesso, principalmente per una motivazione intrinseca personale, dato che ero integralmente self-funded. Ho comunque poi goduto di notevoli vantaggi anche dal punto di vista lavorativo, in un secondo momento, grazie al Master.

Ad maiora!

La rivista per le Medical Humanities, edita dalla Fondazione Sasso Corbaro in collaborazione con l’Ente Ospedaliero Cantonale, è il risultato di un lungo itinerario di studio attorno alle scienze umane e alla cura nelle sue più svariate forme. Dopo quindici anni di attività e 50 numeri cartacei pubblicati, la rivista cambia forma: a dicembre 2022 nasce la nuova piattaforma Sentieri nelle Medical Humanities, uno spazio dinamico e vivace, che conduce il lettore alla scoperta dei temi più attuali nel campo delle Medical Humanities e dell’etica clinica.

Originally published at https://www.rivista-smh.ch.

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Written by Antonio Gallo

Nessuno è stato mai me. Può darsi che io sia il primo. Nobody has been me before. Maybe I’m the first one. Nulla dies sine linea.

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