Libri e Internet: conoscenza o follia?

Antonio Gallo
5 min readOct 15, 2020

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Francesco Petrarca non conosceva Internet o i social quando scrisse questo pensiero: “Libri quosdam ad scientiam, quosdam ad insaniam deduxere”. (De remediis utriusque fortunae 1.43) In italiano: “I libri hanno portato alcuni alla conoscenza, altri alla follia”. Non si contano i proverbi, gli aforismi, i pensieri in lode dei libri. Questo di Petrarca sembra voglia dirci che non tutti i libri sono intrinsecamente buoni. Un libro è uno strumento e, come ogni strumento, può essere utilizzato nel bene o nel male. Solo perché qualcosa è stampato in un libro non significa che sia affidabile. Se leggi un libro, ciò non significa che acquisirai conoscenza da esso. Potrebbe accadere esattamente l’opposto.

Con i libri come con la Rete. Da quando è nata Internet sono sempre più frequenti gli attacchi che si fanno ad essa per la mancanza di affidabilità quando ci sono anche molti libri folli in stampa. Ma è sempre stato così nella storia della comunicazione umana. Non è colpa di chi scrive a stampa o in digitale se si pensano e si scrivono tante “cose” insane, che non sono corrette, giuste o false. Oggi si dice “fake”, e si rivelano poi addirittura pericolose.

Quando Adolf Hitler scrisse il suo famoso libro “Mein Kampf” furono vendute milioni di copie in tutto il mondo. Ancora oggi, nonostante i divieti e il boicottaggio, se ne vendono a migliaia. Un tempo la Chiesa aveva “l’indice dei libri proibiti”, oggi sembra che la comunicazione più diffusa sia proprio questa, quella “proibita”. Anche mio padre, che era non solo un piccolo tipografo di provincia degli anni venti, ma anche un forte e accanito lettore, nella sua piccola biblioteca personale aveva due copie del libro, perchè Benito era grande amico di Adolfo e a quei tempi sia l’uno che l’altro erano sulla cresta dell’onda, come si suole dire. Me li ricordo quei due volumi, non so dove siano finiti. Una edizione in italiano e un’altra in tedesco. Quella tedesca apparve nel 1925, quella italiana nel 1934.

Non ero ancora nato e non era in vista nemmeno la Rete con i suoi social. A stento qualcuno aveva una radio e mezzo mondo ancora non sapeva leggere. Non è colpa di chi scrive, (in questo caso di Adolfo e di Benito) o di chi vuole comunicare i suoi pensieri, diffondere o promuovere le proprie idee. Sta a chi decide di leggere quello che viene pensato, scritto e pubblicato a farne l’uso più corretto e conveniente. Per questa ragione ha torto Umberto Eco quando scrisse che “i social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli”. Attaccò così Internet, guarda caso, dopo aver ricevuto all’Università di Torino la laurea honoris causa in “Comunicazione e Cultura dei media”.

“Prima, lui disse, parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli”.

Non so se il grande scrittore ed intellettuale Umberto Eco si rendesse veramente conto di quello che intendeva quando parlava dei “social media”. Internet non è un mass media. Non lo è mai stato nelle intenzioni di chi ne ha costruito l’architettura. Eco da quando ha iniziato a parlarne, ossia negli ultimi 15 anni circa della sua vita, ha trattato la Rete spesso come tale. Ha immaginato ognuno di noi come un “emettitore” con una folla intorno. Solo che così non è mai stato.

Internet funziona in maniera sensata a una sola condizione: che diventi per chi lo utilizza un medium individuale. Uno strumento nel quale il flusso è autoimposto e autoregolato. Sono io su Internet che scelgo cosa “vedere” e cosa no. Cosa dire e cosa tacere. La qualità che mi raggiunge, che condiziona i miei pensieri ed i miei punti di vista, dipenderà insomma per la prima volta da me.

Se gli “imbecilli” diventeranno per me tanto rilevanti solo due ipotesi saranno possibili: o sono un etnologo, un sociologo, uno studioso o semplicemente un essere umano che vuole conoscere, sapere ed informarsi col taccuino in mano, oppure sono un “imbecille” pure io. Lo imparai alla fine del mio insegnamento, in un corso online dell’Università di Londra: C.A.C. “Connessione Accesso Controllo”.

Questa idea di autodeterminazione delle scelte culturali si scontra con un sacco di cose: una di queste è il pensiero novecentesco sul ruolo degli intellettuali. Umberto Eco lo era e come! Forse sarà per questo che una simile ipotesi per un intellettuale è del tutto inconcepibile? Se non sarò più io la guida, allora io, cosa sarò? Ma al di là delle illazioni, ce n’è un’altra delle quali vale a dire l’incapacità di tutti noi adulti ed anziani a riconoscere il senso dei tempi attuali, impegnati come siamo a non meravigliarci più di niente.

La frase di Eco sugli “imbecilli” resta valida? Secondo il mio modesto parere no. I social network sono diventati strumenti potenti nella mani di utilizzatori elementari. Zuckerberg e compagni, in altre parole, hanno saputo scavare nicchie diventate poi piattaforme spaziali sulle quali si accumula il deficit di educazione digitale dei cittadini. Per il cittadino digitalmente competente gli “imbecilli” sui social non solo non sono un problema ma proprio non esistono. Non li vede, a meno che non lo voglia, non li ascolta, le loro stupide parole non condizionano alcunché. Per costoro la frase dell’intellettuale Eco è quella di un palombaro che canta il “nessun dorma” nelle profondità degli abissi.

Ma per tutti gli altri che incidentalmente sono la maggioranza? Per loro è pura verità ed esperienza quotidiana.Quale sarebbe allora il ruolo degli intellettuali, sempre che ne esista uno, oggi? Io credo sia quello di indicare come affrancarsi dagli “imbecilli”, quello di sottolineare strumenti e luoghi di rete nei quali migliorare consapevolezze e competenze. Quello di spiegare, invece che dedicarsi al solito al lupo al lupo. Opportunità per tutti, a portata di mano, come mai è accaduto in passato. Anche per chi intellettuale non è.

Per questo la frase di Eco sugli “imbecilli” trovo sia una frase sostanzialmente sbagliata. Perché, come accade spesso da noi, osserva la battaglia dalla parte sbagliata della barricata. Quella facile e consolatoria. Si concentra sui detriti ignorando i diamanti. Ed è l’errore più consistente che un intellettuale possa fare. Occuparsi del trascurabile ignorando la scintilla appena scoccata.

I lettori devono essere allora esigenti sia sulla carta stampata che online. Questo proverbio ci avverte che proprio come tutto il cibo non è buono per te solo perché è in vendita nel negozio di alimentari, tutti i libri non vanno bene per te solo perché puoi acquistarne una copia su Amazon.

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Antonio Gallo
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Written by Antonio Gallo

Nessuno è stato mai me. Può darsi che io sia il primo. Nobody has been me before. Maybe I’m the first one. Nulla dies sine linea.

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