L’ago e il fuso di Gaetana Mazza

Antonio Gallo
22 min readJan 31, 2025

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Il Libro

Non è la prima volta che ho il piacere di occuparmi dei libri di Gaetana Mazza. L’immagine che vedete qui sopra riproduce la copertina del suo ultimo lavoro. Ho appena inserito la scheda di questo libro su Librarything, la mia biblioteca digitale.

Questo post non vuole essere una recensione, ma soltanto una anticipazione del suo ultimo importante studio su un argomento che Gaetana porta avanti ormai da molto tempo: se stessa, come donna.

Desidero contestualizzare nel tempo la sua fatica, ma anche la mia scrittura: la storia, le storie e la condizione delle donne nel corso del tempo, ed in particolare nella Valle dei Sarrasti dove è nata e vive. Questo è il tema ricorrente e quasi ossessivo della sua scrittura.

Con Gaetana, la sua e la mia famiglia, abbiamo condiviso esperienze di vita “in comune” (lei capisce) per un certo periodo di tempo, navigando in dimensioni umane, culturali e politiche diverse, ritrovandoci poi, per una strana ma felice complicità della storia, nell’ambiente digitale.

Il suo compianto sposo, Mariano, fu mio compagno di classe nella Scuola Media di Sarno, al Corso Amendola, sotto le famose “cantinelle” del dopoguerra, agli inizi degli anni cinquanta. Un altro mondo, un’altra storia. Piuttosto lunga.

Ma della Storia, quella con la maiuscola, guarda caso, Gaetana è la vera Maestra. Una studiosa attenta, precisa e curiosa, oltre che docente, ricercatrice della storia umana e della condizione femminile nel territorio della Valle del Sarno.

Ha voluto farmi omaggio di questo suo nuovo lavoro nominandomi, se pur tra virgolette, suo “Maestro” e amico. La vera “Maestra”, a dire il vero, è lei. La ragione di questo post è documentare la sua consolidata “maestria” nello studio e conoscenza della Storia non solo locale.

Ho ripescato alcuni articoli che ebbi modo di scrivere su un mio storico blog diversi anni fa. Ecco il primo scritto il 23 gennaio 2014. E’ intitolato: Microstoria tra ideologia e fondamentalismo

In una recente intervista lo storico e giornalista Paolo Mieli ha detto: “Non mettete gli occhiali di oggi per leggere la storia di ieri”. Per leggere e capire nel modo giusto questi due libri di cui mi accingo a scrivere bisogna inforcare gli occhiali di ieri e usare l’intelligenza di oggi, altrimenti le cose di cui la studiosa Gaetana Mazza scrive non sono comprese nel modo giusto. Quando uscì il primo volume ebbi modo di scrivere un articolo su di un sito al quale collaboravo. Ne seguì anche una lunga conversazione telefonica con l’autrice ed uno scambio di opinioni diverse, ma sempre equilibrate e corrette.

Come equilibrati e cortesi sono i contatti che intrattengo con lei in Rete. Oggi, che ho tra le mani il secondo tomo dell’opera, la cui copertina è qui di fianco riprodotta, credo sia opportuno riproporre il mio vecchio post. Questo serve non solo per dare la giusta contestualizzazione agli accadimenti provocati dal lavoro svolto dalla prof. Mazza, ma anche aiutare chi vuole capire in pieno le cose di cui parliamo, mettendo gli “occhiali”, giusti prima di emettere facili giudizi.

Questo blogger rivolge anche un invito al lettore a cliccare sui collegamenti che l’articolo contiene per rendersi conto di quanto sia importante leggere in “verticale” oltre che in “orizzontale” per i dovuti approfondimenti. L’episodio di “censura” ebbe una risonanza nazionale con una certa dose di strumentalizzazione politica e ideologica. Con l’uscita del secondo volume resto convinto delle mie opinioni che ebbi modo di esprimere all’uscita del primo.

Personali, soggettive e relative quanto mai, ma opinioni espresse in perfetta consapevolezza che questi documenti lasciano il tempo che trovano perché non aggiungono nulla di nuovo a quanto già si sapeva da tempo. Vale a dire lo strapotere che aveva la Chiesa in quegli anni.

Questo è il periodo in cui, per numero di sacerdoti e per gestione di potere, questa istituzione religiosa esercitava il più forte controllo sulla società italiana. Mettersi contro la Chiesa in quel tempo poteva comportare seri pericoli, per tutti. Per intellettuali e pensatori, a maggior ragione per la povera gente quale poteva essere quella della Diocesi di Sarno.

C’è bisogno di ricordare che in questo periodo il filosofo francese Voltaire (1694–1778) mise la sua intelligenza al servizio di una crociata contro il Cristianesimo da lui definito “l’Infame”, ritenuto colpevole della superstizione, dell’ingiustizia sociale, della corruzione ecclesiastica oltre che schiacciare il popolo e di meritare il disprezzo totale degli spiriti illuminati?

Tanti pensatori continuarono ad avere una vita quanto mai difficile per le loro idee storico-filosofiche, idee che fino a poche decenni prima prima avevano portato altri spiriti liberi non a semplici processi, ma addirittura al rogo? Ecco alcuni spiriti contemporanei a questo periodo: Ludovico Antonio Muratori, sacerdote (1672–1750), Giambattista Vico, filosofo (1668–1744), Pietro Giannone, filosofo (1676–1748).

L’Italia era il paese europeo dove c’erano più poveri e in cui, di conseguenza, c’erano più briganti, mendicanti e parassiti al servizio, qualsiasi servizio, di un signore o di un prete e della sua Chiesa. Come non poteva essere questo se non un popolo di repressi, anche di origine sessuale, secondo un modello squisitamente religioso?

Se questo era il contesto, io penso addirittura che queste “carte originali” che la Mazza ci propone abbiano un valore opposto a quello che l’autrice si è proposto con la sua lunga e laboriosa ricerca. Quella che io ho chiamato nel mio primo articolo di qualche anno fa la “pars destruens” del suo libro, ci offre la chiara ed inoppugnabile prova della realtà umana, sociale e culturale in cui si trovavano a vivere gli strati più bassi della popolazione ed in particolare della Diocesi di Sarno.

Quei testi, da Mazza fedelmente e in maniera certosina trascritti o tradotti, sono la testimonianza di una realtà sociale locale che era il riflesso di quella generale. Non poteva essere diversamente. “Cui prodest?” allora tutta questa gigantesca fatica, da una parte della storica e perché quella ottusa ed incomprensibile “censura-difesa” delle autorità religiose della moderna Diocesi di Sarno? Si può dire “bona fide” da una parte, “mala fide” dall’altra? Sarebbe semplice scavare e trovare nell’ideologia da una parte e nel fondamentalismo dall’altra la chiave o le chiavi per capire.

Questo blogger, che non è né uno storico, né un politico, né tanto meno un ecclesiastico, ma un semplice e libero osservatore digitale, si sente di dire che queste antiche carte portate alla luce da Gaetana Mazza sono lo specchio del tempo, un tempo che ci aiuta a capire la realtà nella quale ci troviamo a vivere oggi in questo territorio. A saper leggere bene dietro tanti usi e costumi, comportamenti e tradizioni di oggi, si nascondono quelle tracce del tempo che emergono da quei resoconti, spesso tanto tragici quanto comici.

La ginofobia sembra essere un tema caro alla scrittrice. Prova ne sia il fatto che la donna, in quanto tale e in quanto “sesso”, si colloca al centro di tutto il tema della ricerca, tra streghe, guaritori e istigatori. Tutto nasceva dal fatto che le donne non potevano salire sul palcoscenico e perciò c’era il fenomeno dei “castrati”. Gli Italiani si misero a fabbricare voci bianche maschili mediante l’evirazione. La pratica si affermò dopo il Concilio di Trento e durò fino a tutto il Settecento, quando nel 1795 anche a Roma fu permesso alle donne di cantare. Questo per capire da dove nasceva la condizione femminile che sta al centro di tutto.

Merito, comunque, va dato alla storica Gaetana Mazza per il suo lavoro che resta un documento reale di quello che eravamo e fummo. Non dobbiamo, però, indossare gli occhiali di oggi per leggere quella che fu la realtà di un’epoca ricca di contraddizioni, limitando la nostra visione soltanto alla realtà del nostro territorio. Dovremmo sapere liberarci da ogni tentazione di interpretazione ideologica della storia e difenderci da tutti quei fondamentalismi che ci fanno meno liberi e meno responsabili come esseri umani.

Per la non modica somma di 23,20 euro mi sono fatto spedire da IBS un libro che parla di “Streghe, Guaritori, Istigatori”, ovvero “Casi di Inquisizione nella Diocesi di Nocera Inferiore-Sarno in età moderna”, vale a dire gli anni che vanno dal 1680 al 1759 ed anche prima.

Un libro scritto da una studiosa di microstoria della realtà culturale meridionale, la prof. Gaetana Mazza, presentata da uno storico di fama nazionale quale è Adriano Prosperi, professore ordinario di Storia dell’Età della Riforma e della Controriforma alla Scuola Normale dal 2002, membro dell’Accademia dei Lincei e dell’Accademia degli Intronati.

Nel Cinquecento l’Inquisizione, sorta nel XIII secolo per contrastare i movimenti ereticali, cominciò ad occuparsi anche dei processi per i reati contro la morale, tradizionalmente di competenza vescovile, come concubinato, usura, spergiuro, bestemmia. Nel Regno di Napoli, dove non furono ammesse né l’Inquisizione romana né quella spagnola, furono nell’età moderna i tribunali diocesani a giudicare in materia di eresia.

Dall’esame di questi processi, rinvenuti nell’Archivio Diocesano di Sarno, emerge che la lotta all’eresia fu combattuta aspramente dai vescovi, che operavano in qualità di inquisitori e disponevano di una fitta rete di controllo del territorio. Il testo presenta problematiche e modalità di funzionamento dell’inquisizione diocesana in età moderna, avvalendosi di un’ampia documentazione archivistica inedita. Gli atti processuali, soprattutto quelli sulle streghe, si rivelano anche una fonte preziosa per la conoscenza della vita quotidiana nell’agro sarnese.

Diviso in due parti, il volume si articola in una ventina di capitoli cadenzati da una documentazione fatta di nomi, di luoghi, di date ed avvenimenti. Seguono un’appendice documentaria, le fonti di ricerca e riferimenti bibliografici. Il tutto è preceduto dalla presentazione del prof. Adriano Prosperi e dall’introduzione dell’autrice. Non che l’argomento sia molto attraente per i miei gusti di lettura, nè tanto edificante da giustificare un acquisto del genere.

Ma è che l’ambiente sul quale l’autrice del libro ha rivolto la sua attenzione, con una minuziosa ed approfondita ricerca, mi tocca da vicino in quanto in quella parte del profondo sud, ma non tanto a sud, dopo tutto, ho trascorso gran parte della mia esistenza. L’agro nocerino-sarnese è un quanto mai vasto e variegato bacino dell’entroterra campano, una realtà molto ricca ed antica di tradizioni e di storia.

Ad uno dei suoi serbatoi profondi, quale può essere considerato un archivio diocesano, la docente e scrittrice Gaetana Mazza ha attinto la sua documentazione. Un lavoro che le è costato, a quanto pare, circa quattro anni di lavoro e che vede la luce dopo un’avvenuta presunta azione di censura da parte delle autorità diocesane.

Queste ultime, negli anni scorsi, si sarebbero, anzi, si sono opposte alla pubblicazione di questa ricerca, ottenendo non solo il fermo dell’opera già stampata, ma anche la sua distruzione, dopo di avere vinto in punta di diritto una vertenza legale con il primo editore. Una censura definita “anacronistica”, se con un termine del genere si intende “fuori del tempo”, avulsa, appunto, dal nostro contesto temporale, in cui cose del genere non accadono più. Per grazia di Dio, è il caso di dire.

Tutto questo vale come premessa per contestualizzare un libro che riporta alla mia memoria personale analoghe, ma non simili sensazioni, a quelle suscitate nella mente di Gaetana Mazza. L’autrice del libro ed il sottoscritto, pur se legati da una superficiale ma rispettosa conoscenza personale di famiglia, hanno idee ed opinioni molto diverse in merito alle questioni che il libro solleva. Non intendo negare con ciò la validità e la verità di quanto lei afferma o documenta. E’ che tutto il suo libro, come del resto lascia bene intendere sin dall’inizio l’ampia introduzione del prof. Prosperi, ha un’intenzione meramente accusatoria, anche se fortemente probatoria.

Ma io modestamente ritengo che lo stesso libro non ha alcunché di costruttivo. La parte “destruens” prevale volutamente su quella “costruens”, per così dire. Il riconoscimento che lei si sente di dare al prefatore, a conclusione della sua introduzione, non esimia il lettore dall’impressione che questo lavoro di certosina ricerca, sia un libro scritto volutamente “a tesi”, vale a dire con il solo intento di scavare per demolire, denunciare per condannare, moraleggiare per demoralizzare.

Non si comprende bene, infatti, cosa voglia dire quando l’autrice ringrazia il prof. Prosperi per averla “salvata dal precipizio in cui stava affondando, quando insieme al libro “Sant’Uffizio”, è stato fatto a pezzi un universo di certezze. La “scure” ha fatto a pezzi anche la mia anima e io non sarà mai più come prima”. Sarebbe stato utile e gratificante per i lettori conoscere meglio il senso di quella “scure” e di quel “precipizio”a cui lei fa riferimento.

Nel suo fervore moralistico-documentale non si accorge di avere scagliato il povero lettore in quello stesso “precipizio”, magari dopo avergli fatto assaggiare il taglio di quella tremenda “scure” di cui parla. Non ci viene data nessuna spiegazione del comportamento delle autorità della diocesi a non volere vedere pubblicato il suo libro. Si parla soltanto di “anacronistica censura” e non ci si dà modo di capirne il senso.

Anzi no, si fa diventare il libro stesso una sorta di “prova provata”che questo tipo di “censura” è ancora praticato in ambienti religiosi, ed in fondo in fondo, da tutta l’intera Chiesa Cattolica. Si intende in tal modo continuare “ad infinitum”una politica, una filosofia, insomma un “credo” che trascina i credenti in un “precipizio”, magari dopo averne mozzato il capo e la mente con quella “scure” che l’autrice ha avuto, a suo dire, la sventura di sentire sulla sua pelle.

A me sembra che il grande limite di questo libro consiste nel fatto che chi l’ha scritto non ha saputo dare o trovare una risposta a questi interrogativi. Sono libri “a tesi”questi, cioè scritti con un pregiudizio in mente, una condanna da pronunciare ed una conclusione da tirare, in nome e per conto di chi legge. Gli archivi, i musei e le biblioteche di tutto il mondo sono piene di documenti simili a quelli di cui si occupa la Mazza in questo libro. Ricordo quando visitai il museo delle streghe di Salem negli USA. Un luogo famoso per averne visto bruciare o impiccare in poco tempo parecchie in nome e per conto sopratutto dell’ignoranza.

Ne ebbi un’impressione indelebile. Leggendo quelle carte e quei documenti che erano in bella mostra ai visitatori sembrava davvero cadere dentro insondabili “precipizi”dell’anima umana. Ma la mente dell’uomo, a distanza di tanto tempo, può andare“oltre” quella triste, avvilente realtà del tempo in cui quegli stessi episodi accaddero. Si può e si deve sapere andare “oltre”.

A mio sommesso parere, l’autrice di questo pur pregevole e documentato lavoro non ha saputo farlo. In sintesi lei scava per demolire, denuncia per condannare, moraleggia per demoralizzare. Non ha saputo uscire dal“corridoio buio ed angusto” della sua tormentata infanzia che quando era bambina la portava da quell’asilo delle monache di Piazza Croce nella chiesa del convento a biascicare incomprensibili preghiere che l’avrebbero portata a vedere soltanto “streghe, guaritori e istigatori”.

In questo secondo articolo che segue mi piace cogliere l’occasione per ricordare l’intervento di Gino de Filippo. L’amico poeta Gino intese ravvivare la discussione sulle caratteristiche dell’ambiente a cui si riferivano gli studi della storia dei luoghi di cui parla Gaetana Mazza e che trattava nei suoi libri. Scrisse il suo pensiero in articolo che pubblicai con il titolo ”Viaggio in un lontano passato: i libri di Gaetana Mazza”. Porta la data del 2 febbraio 2014:

Sono lieto di ospitare su questo mio blog uno scritto dell’amico Gino De Filippo sui due libri pubblicati dalla storica sarnese Gaetana Mazza. Già ho avuto modo di scrivere quello che penso su questo importante lavoro di ricerca all’uscita del primo volume, ora completato con il secondo tomo. Di fianco riproduco le copertine dell’opera. Mi auguro che i due volumi incontrino il successo di pubblico che questo lungo lavoro di ricerca, durato diversi anni merita, indipendentemente da ogni valutazione critica.

Questo blogger ritiene che, al di là del tema trattato e di quelle che possono essere state le intenzioni dell’autrice, con le reazioni che quegli stessi contenuti hanno scatenato in merito allo svolgimento dei fatti, i due volumi sono entrati nella cronaca di un evento librario che merita di essere conosciuto in tutte le sue sfaccettature.

Una attenta lettura del contesto in cui si sono svolti i fatti, l’esame della loro dinamica, le inevitabili incomprensioni tra le parti coinvolte, con i relativi conflitti, sta a dimostrare, a mio modesto parere, quanto sia importante studiare la storia nella sua giusta e naturale dimensione. Senza forzature e senza ipocrisie, ma con gli occhi del tempo, senza indossare occhiali anneriti dal fumo delle ideologie, oppure da opposti fondamentalismi oltre che dalla polvere del tempo.

L’intervento di Gino De Filippo, poeta e scrittore, uomo abbastanza “navigato”, neanche a farla apposta, sia nel tempo che nei luoghi della frazione di Episcopio, giusto Alle Falde del Monte Saro della Città di Sarno, luogo tipico dei riti di cui si occupa la studiosa Mazza nei suoi libri, è uno dei pochi eredi e testimoni, se non superstite.

Lo pubblico in piena libertà e consapevolezza che forse non piacerà a qualcuno che si ostina a guardare in avanti con la testa rivolta all’indietro e a chi guarda indietro pensando che il presente non esiste e non possa esserci un futuro diverso.

“Mi è stata offerta l’occasione di un “viaggio in un lontano passato”. Un viaggio alla scoperta di sofferenze ed ingiustizie vissute da alcuni cittadini sarnesi. Il viaggio è costituito dalla lettura di due libri scritti e pubblicati dalla prof.ssa Gaetana Mazza. L’argomento del libri? L’Inquisizione! Si!, la diabolica Istituzione Ecclesiale che per tanti secoli non soltanto ha accecato e stravolto il messaggio di Cristo, ma persino le verità esistenziali che personaggi illuminati apportavano come progresso umano e civile, tra i quali Dante e Galileo, Campanella e Bruno, Savonarola e Lutero e tanti altri. Sono in molti ad aver pagato con la morte o l’esilio per aver tentato di fare luce in quel buio prodotto dal Tribunale della Inquisizione. Un Tribunale che non religiosità o fede rafforzava, ma soltanto ipocrisia e superstizione, tanto che distanza di tanto tempo rimangono ancora tracce visibili in alcune fasce popolari.

Io stesso posso dire di essere stato testimone di queste tracce, fatte di figurine attaccate alle porte, capelli ficcati nelle fenditure delle porte a protezione delle “fattocchiare”, guaritrici di dolori di testa, occhi e pancia, persino una “accongiaossa”, (altro che ortopedico!) e un lupo mannaro che sbranava i bambini per le strade di notte. C’era anche chi credeva di fare il bello e cattivo tempo, in senso letterale, osservando l’arcobaleno se stava a monte o a valle.

E poi c’era una cugina di mia madre, abitavamo nello stesso cortile in Vico San Chirico, che quando nelle sere d’estate qualche civetta, appollaiata intorno all’abitato, mandava il suo stridio, o canto, come diceva la gente, allora zia Margherita usciva nel cortile e, a voce alta, diceva: “Commà piglia ‘a ‘tiella e frie ‘sta capa r’aocealla”.

Ed era convinta, come tanti, che la civetta impaurita dalla minaccia se ne volava via e con essa il malaugurio di cui era portatrice. E poi la falsa religiosità che tanto faceva comodo ai vescovi e preti, come farsi baciare la mano, vedere chi si faceva il segno di croce al suono delle campane, il correre a confessarsi dicendo cosa e quando aveva mangiato, ottenendo così la benedizione o la denunzia al tribunale del Santo (diabolico!) Uffizio affinché l’Inquisitore pronunciasse la condanna.

A che pro, allora, rispettare costoro che mentre ne facevano di tutti i colori, ben lontani dall’osservare l’insegnamento di Cristo, sfogavano la loro rabbia condannando certa povera gente che, spesso per necessità, imposizione o paura, era costretta a commettere qualche errore. Errori, peraltro definiti tali soltanto da qual Tribunale che negava ogni verità. Verità per la quale, come ho già avuto modo di dire, hanno pagato con la vita le persone migliori.

Ecco che allora approda alla mente quello che ha scritto il grande Voltaire del quale, e chiedo scusa, mi piace citare dal suo “Zadig”: “I preti delle stelle avevano deciso di punire le giovani vedove e bruciarle sul rogo, ma i gioielli e gli ornamenti appartenevano a loro”. Oppure da “L’Ingenuo”: “… e il vescovo di cui non aveva mai sentito parlare. Il gesuita, uomo colto e molto istruito, gli disse che era un santo che aveva fatto dodici miracoli. Ce n’era un tredicesimo che valeva gli altri dodici: era quello di aver mutato cinquanta vergini in cinquanta donne in una sola notte, che miracolo! …”.

Ho sfogliato e letto con cura i due libri della studiosa Gaetana Mazza. Ma pagina dopo pagina, una sorta di fastidiosa noia mi prendeva. Ma come, mi dicevo, ne ho sentite tante da bambino e anche letto dell’Inquisizione. Ho fatto tanto per cancellare dalla mente tutto quanto avevo sentito raccontare e anche visto, ed ora, a questa età, mi ritrovo con cose che emergono da un mare prosciugato persino dalla storia?

Va riconosciuta l’immane fatica di anni della studiosa Mazza. Ma forse pone anche qualche legittima perplessità. Un lavoro come il suo può anche portare a scavare e scovare i fili del passato nel tempo presente, con riferimenti a fatti e persone di oggi. Ma quante persone saranno capaci di leggere questi libri? Chi lo farà sarà di certo per ben altri motivi poiché, grazie a Dio, (è il caso di dire), l’argomento Inquisizione è sotterrato.

Per concludere, vorrei aggiungere che con i tempi che corrono, secondo decennio del terzo millennio, sarebbe stato più interessante, piuttosto che percorrere un passato ormai superato, scrivere della necessità di una nuova “Inquisizione”, quella sui tanti politici in combutta con organizzazioni finanziarie nazionali ed internazionali. Una sorta di associazione che ha prodotto miseria culturale e morale, disperazione e anche suicidi. Altro che streghe ed eresie!”

Postato 2nd February 2014 da galloway

Questo terzo articolo che propongo all’attento, spero non annoiato lettore, è utile per dimostrare le straordinarie capacità comunicative che possiede Gaetana Mazza. Si intitola: ”Storytelling” tra storia e storie:

Questo libro non ha niente a che fare con il moderno “storytelling”. Non è un libro che si può leggere come un comune libro. Nonostante il titolo principale sia leggero ed invitante, il sottotitolo rivela la sua vera identità quanto mai intrigante e complessa: “Banditismo, brigantaggio e milizie civili nel Meridione d’Italia dal XVI al XIX secolo”. Un libro che è ricerca e documento di un’epoca che abbraccia ben quattro secoli e che è costato all’autrice un bel pò di lavoro.

Gaetana Mazza non è nuova a imprese di questo genere. Da studiosa di lettere classiche ed esperta di storia locale ha avuto la possibilità di dimostrare ancora una volta la sua predisposizione alla conoscenza di quello che molti credono essere un campo facile, vale a dire lo studio della forma degli avvenimenti storici del territorio locale e che va sotto il nome di microstoria. Una esperienza alla quale la Mazza non è affatto nuova se si considera che ha al suo attivo importanti precedenti con la pubblicazione di diverse altre opere che hanno lasciato una traccia importante nella storiografia locale e che riguarda il il meridione d’Italia. In particolare la Città di Sarno, in provincia di Salerno, in quella antica Valle che fu dei Sarrasti in epoca preistorica.

Non è la prima volta che questo blogger si occupa dei suoi libri. Una prima occasione è stata nel 2009 quando uscì il suo volume “Streghe, guaritori e istigatori”, la seconda volta nel 2012 con “Processi inquisitoriali e criminale d’epoca moderna”. In entrambe le occasioni i libri suscitarono un notevole interesse con echi che andarono al di là degli aspetti locali legati alla microstoria, e anche con non senza uno strascico di polemiche.

Con questo suo ultimo lavoro la prof.ssa Gaetana Mazza conferma in maniera definitiva le sue grandi qualità non solo di appassionata ricercatrice, ma rivela anche la sua grande capacità di sapere organizzare i materiali da lei così abilmente identificati e trascritti, sistemarli in maniera contestualmente significativa e arrivare a rigorose conclusioni storiche che non hanno nulla di astratto, ideologico o personale.

Non sono uno storico e non pretendo di avere le necessarie qualità per valutare nella giusta dimensione critica questo libro che comunque non ritengo essere un “saggio”, come pensa il prof.Vincenzo Salerno nella sua breve nota introduttiva. Il lavoro della Mazza mi sembra avere piuttosto il grande respiro di una riflessione documentata su un periodo difficile e complesso del nostro Paese prima e anche dopo la sua unità.

Quello che mi ha particolarmente colpito è innanzitutto il suo spessore formale, per così dire. Il libro manifesta, infatti, il suo “peso” culturale con le oltre quattrocentocinquanta pagine il cui contenuto è articolato in quattro parti, distribuite su venticinque capitoli, due di questi dedicati ad una documentazione grafica. Una abbondante bibliografia e un fitto repertorio di note arricchiscono il volume la cui narrazione procede in una prosa fluida e scorrevole, ma mai superficiale e sempre densa di nuove prospettive documentali.

Insomma, questo non è un libro che si legge come tutti i libri. L’ho detto all’inizio. Questo mio post non è, e non può essere, una recensione ma soltanto l’occasione per il giusto riconoscimento al grande lavoro svolto dalla prof.ssa Mazza a favore della conoscenza di questo territorio che ha tanto bisogno di riscattarsi da un così triste e tragico passato. Ahimè!, anche se sotto altre forme, questa pesante eredità ancora insiste nella realtà di questa antica Città e continua a condizionare la nostra quotidianità.

Quando mia moglie (che non è sarnese!) ha fatto una rapida lettura di alcuni capitoli del libro, s’è lasciata andare ad una significativa espressione che voglio qui riportare per segnalare il disagio ma anche il sollievo provato nel leggere di tanti malesseri sociali da cui la sua città di adozione ha avuto la sventura di soffrire in un passato, tutto sommato, non molto lontano.

La sua considerazione ha una rilevante importanza specialmente se si pensa che tutto nasce dalla frazione di Episcopio, il luogo da dove la Mazza inizia il suo viaggio in questo turbolento passato. Dopo di avere letto qualche capitolo, mia moglie si è lasciata andare a questa esclamazione: “Meno male che non sono nata in quel tempo da queste parti! Ringrazio Iddio per avermi fatta nascere altrove e nel terzo millennio!”

Si potranno mai raccontare queste “storie” ai nostri figli e nipoti? Ci sarà un modo per farle comprendere, per far capire che alla base di tanti, gravi e seri problemi che ancora oggi affliggono la nostra società, le radici di tanti mali sono da ritrovarsi in queste tante storie che hanno concorso poi a formare la nostra attuale storia, il nostro modo di essere, di vivere e di pensare? Come fare per far sì che tutti questi mali antichi vengano eliminati? Queste sono le domande alle quali questo libro, credo, cerca di trovare una risposta e proporre una soluzione. A Gaetana Mazza va dato il merito per averci mostrato la vera faccia della nostra storia, fatta di tante, piccole ma significative storie che non meritano di essere ripetute ma nemmeno dimenticate.

Mi auguro che il volume riscuota il successo che merita non solo in termini di diffusione e vendita di copie che giustamente ripaghi l’autrice delle fatiche anche materiali affrontate con tanto coraggio. Sopratutto spero che queste “storie” vengano lette, studiate e raccontate non solo in maniera tradizionale secondo i noti canoni narrativi intesi in termini di conflitto, sfide, prove di un vissuto umano, ma anche storie di sfide interiori, conflitti da affrontare e risolvere per conquistare il bene personale e comune ai quali ogni essere umano deve tendere.

Il tutto sull’onda di quella che viene definito il “fatal flow”, quell’evento che se pur doloroso e che ha dato origine alla storia, alle storie, ma che deve condurre i protagonisti al cambiamento, alla trasformazione di se stessi e quindi del tessuto sociale. Questo deve essere il senso e il valore del libro di Gaetana, altrimenti la sua fatica resta vana e, per usare un aggettivo alla moda, “liquido”.

Postato 19th November 2015 da galloway

L’articolo che segue non riguarda la figura di Gaetana Mazza, docente, attenta e scrupolosa studiosa di Storia locale e non, archivista bibliofila e femminista classica, impegnata nella difesa dei diritti della donne, ma bensì la sua vena marcatamente poetica. E’ la recensione di un suo libretto di poesie di cui scrissi su una delle due biblioteche digitali GoodReads in data 27 marzo 2017

Rivisitare la propria biblioteca cartacea per trasferirla online può essere una piacevole operazione da diversi punti di vista. Può infatti significare non solo procedere a sistemare i libri, riorganizzare gli scaffali, rivedere gli elenchi e il catalogo, rileggere schede, appunti e recensioni per poi passare a digitare il tutto in rete sulla piattaforma, in maniera dinamica e leggibile per chiunque visita il tuo spazio.

Apri un libro e puoi trovarci dentro una cartolina, un appunto, una critica, una ricevuta, una nota ed anche un fiore. In un grosso volume di linguistica ho ritrovato questo testo formato da soltanto una quarantina di pagine. Rivestito di una copertina in profondo colore rosso, il libretto Intitolato “Femminilità” porta la firma della prof.ssa Gaetana Mazza. Trenta anni è un più che ragionevole lasso di tempo per giustificare la dimenticanza che il tempo stesso provoca. Ed io, lo confesso con vergogna, della Gaetana Mazza poetessa, me ne ero del tutto dimenticato.

Ho riletto la presentazione del libro che porta la firma di un caro amico scomparso, il prof. Giovanni Ciociano, e ho cercato di “rivedere” quei giorni, riavvolgendo il film dei ricordi. Gaetana Mazza, apprezzata studiosa di storia locale, e valente docente, nonchè autrice di importanti libri di cui in varie occasioni mi sono occupato, abitava a poca distanza da dove chi scrive ancora vive. Pochi metri, direi, ma ci divideva un “muro”. In tempi da trapassato remoto ero stato compagno di classe di Mariano, il suo amato compagno di una vita, scomparso immaturamente. Ci eravamo poi ritrovati insieme ad altri amici e non in uno spazio del tutto nuovo ed inaspettato, forse anche improprio, che mal si confaceva alla nostra estrazione sociale, umana e culturale.

Lo avevamo conquistato in un periodo della nostra storia locale e nazionale quanto mai turbolento e perciò difficile da vivere e convivere. Avevamo bisogno di una casa, per questa ragione avevamo formato una cooperativa edilizia. A distanza di quaranta anni d’allora, posso dire che quella fu un’esperienza irripetibile, unica ed anche travagliata. Negli anni settanta e ottanta il nostro Paese attraversò momenti difficili che devono essere ancora metabolizzati. Il nome che venne dato, e che ancora porta la realizzazione di questo bisogno, conferma quello che dico.

Il bisogno di una casa divenne una idea pseudo rivoluzionaria. Ancora oggi reca un nome che ha un sapore chiaramente obsoleto. L’ho ritenuto sempre ridicolo ogni qualvolta lo cito nel mio indirizzo postale. Ricordo ancora quando qualcuno lo lesse la prima volta e mi chiese perchè quella parola fosse femminile invece che maschile: “il comune-la comune”. Non è facile spiegare su due piedi i sogni e le utopie delle rivoluzioni della storia. Quaranta anni fa, anche nel Paese degli antichi Sarrasti si sognava la rivoluzione …

Mi accorgo di avere “sforato”, esagerato forse, nel ricordare tutte queste cose, ma i libri fanno anche di questi scherzi. Ho voluto ricostruire il contesto umano e sociale che fa da sfondo a questo libretto per segnalare la distanza ideologica che ci separava nonostante la vicinanza fisica. Con gli anni questa differenza, dopo il trasferimento, con il tempo ed anche con le varie, sofferte vicissitudini che ognuno di noi ha dovuto affrontare in questi decenni, sono stati superati. Quel “muro” a cui ho accennato innanzi è scomparso. Meno male che i muri, dopo che gli uomini li hanno costruiti, il tempo provvede ad abbatterli. La realtà digitale ha creato nuove e diverse occasioni per discussioni e confronti, senza dubbio molto più significativi.

Ritrovare questo libretto di Gaetana Mazza ha significato poter rivolgere un pensiero oltre che al compianto ed indimenticabile prof. Giovanni Ciociano autore della presentazione e curatore della collana che portava il nome di Edizioni dell’Ippogrifo, anche a chi ne fu stampatore: Gaetano Amato, titolare della Grafica Sarnese e grande comune amico. Grazie a Gaetana Mazza per le sue magiche poesie che hanno concorso col tempo ad abbattere quel “muro” di cui parla lei stessa, guarda caso, in una sua breve poesia nel libro che porta questo titolo. Un “muro” che il tempo ha provveduto ad abbattere.

Gaetana Mazza ha sicuramente scritto molte altre cose. Articoli, saggi, ricerche, documenti e libri che non conosco. Quotidianamente siamo in contatto in rete, ci scambiamo, da colleghi, moderni e attempati coetanei, idee, opinioni e commenti che non sempre concordano.

Condividiamo una ferma e sostanziale libertà di pensiero su qualsiasi argomento ci capita a tiro nella socialità digitale. Posso ben dire che è una fortuna che lei abbia lasciato “ago” e “fuso” per diventare quella donna scrittrice che è. Questa sua ultima fatica lo conferma.

Non era mia intenzione recensire il suo libro. Ho voluto soltanto ricostruire il contesto che la riguarda. Quattrocento e passa pagine di questa sua fatica, di certo non l’ultima, meritano l’attenzione e il tempo necessario per capire come “le donne devono rientrare nella storia a pieno titolo e con tutti gli onori”.

Con questo pensiero si conclude il suo studio. Posso solo anticipare che non lo condivido affatto. Leggete il suo libro. Specialmente chi è o si sente femminista.

Se siete maschi la penserete in un modo. Diversamente, se siete femmine, in un’altra. L’importante è sempre e soltanto pensare l’ineffabile. Tutto scorre, tutto passa, tutto cambia. Ma l’acqua non è mai la stessa.

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Antonio Gallo
Antonio Gallo

Written by Antonio Gallo

Nessuno è stato mai me. Può darsi che io sia il primo. Nobody has been me before. Maybe I’m the first one. Nulla dies sine linea.

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