La Valle di Tramonti: tra “colture” e “culture”

Antonio Gallo
8 min readAug 21, 2021

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Il Libro

Numerosi servizi video hanno cercato di recente di rilanciare l’idea di futuro di una Valle alla quale è stata dato un attributo di non poca rilevanza: “Il polmone verde della Costa d’Amalfi”. Io credo che ci sia bisogno di ben altri stimoli per Tramonti per recuperare la sua storica fama di Terra Operosa ricca di storia e tradizioni. Non basta l’arrivo di qualche operatore televisivo locale, provinciale o regionale, invitato da qualche solerte, e attento al portafoglio, pizzaiolo, ristoratore, operatore di B & B, agriturismo, vinaiolo, contadino, macellaio o titolare di salumificio, a ridare vita, prospettiva e futuro, una UN’IDEA DI VITA, appunto, a luoghi come questi.

Anche a causa dell’arrivo di un nemico tanto invisibile quanto pericoloso, il Covid 19, questa Valle sembra muoversi e perdersi tra le nebbie di un futuro imprevedibile. Tutti tendono a mettere in evidenza il forte, speciale legame esistente tra Tramonti e la pizza, una realtà culinaria vista in un tutt’uno con salsicce, salumi, ricotte e mozzarelle, in una Valle la cui Storia, con la maiuscola, ha molto altro da raccontare (anche se non si vedono più in giro, pecore, mucche, bufale ed altri animali).

Non a caso ho citato categorie artigianali di grande valore e prestigio che hanno caratterizzato da sempre questo territorio che vede la Natura nella sua massima espressione di operatività umana, la capacità cioè di conciliare i colori dei suoi frutti con i sapori che piacciono agli uomini e che fanno il piacere di vivere.

Nei prossimi giorni si festeggerà, (24 agosto), come ogni anno da sempre, (ma oggi in tono del tutto minore e silenzioso), uno dei dodici Apostoli ai quali è dedicata la Chiesa di uno dei villaggi di cui è formato il Comune di Tramonti: San Bartolomeo Apostolo, indicato nel Vangelo di Giovanni anche con il nome di Natanaele. Due nomi comunemente intesi, il primo come patronimico (BarTalmai, figlio di Talmai, del valoroso) e il secondo come nome personale, col significato di “dono di Dio”. Lo si festeggia calorosamente perchè loro Patrono, guarda caso, anche della categoria dei macellai e artigiani connessi.

Sono trascorsi ormai ben 14 anni da quando vide la luce il libro la cui copertina vedete qui riprodotta. Decisi di scriverlo per fare “una scelta di vita”, con l’intenzione di “salvare” un Villaggio ed una Chiesa che porta il nome appunto del Santo. Volevamo raccogliere i fondi per la sua ricostruzione.

Da oltre mezzo secolo, questa storica, piccola Chiesa che con Sant’Antonio, Patrono del Paese, condivide la custodia di un ricco patrimonio di memorie umane, è retta dal Parroco don Emilio D’Antuono che è il vero e genuino depositario della memoria del luogo: il proverbiale “genius loci”. Un prete che con la sua mente, la sua imponente presenza, e con la sua incredibile biblioteca, continua ad essere la memoria vivente del posto.

Spesso lo dimentichiamo, ci balocchiamo con falsi miti e presunti obbiettivi, quando parliamo di agricoltura, di giardini o di giardinaggio, di vigne e di vigneti. Insomma della “Madre Terra”. Anche da un punto di vista strettamente intellettuale e letterario questa passione, però, può avere un aspetto squisitamente pratico. Terra Operosa è stata giustamente definita Tramonti, ed è vero, come corrisponde a realtà il fatto che questa è anche una terra carica di Storia.

Il che comporta la conoscenza di una quanto mai ampia gamma di eventi che l’hanno caratterizzata nei secoli. Una grande varietà di problemi che questa stessa storia porta con sè, con la conseguenza di una realtà moderna e contemporanea che si presenta agli occhi del visitatore di oggi, complessa e difficile da capire. In questo approssimativo scenario che ho cercato di riassumere in poche parole si presenta la Valle di Tramonti.

Il Comune, con i suoi storici tredici villaggi, si è venuto a trovare al centro di un mondo che nel corso di pochi decenni ha cambiato radicalmente volto. Non solo questo. E’ cambiata anche la realtà umana, nel suo tessuto tradizionale agricolo e contadino. Una realtà di confine che oscilla e si dibatte, con molta sofferenza, tra la ruralità del passato e le vivacità del presente, in realtà diventata globale.

La visione dei monti che circondano la Valle da millenni non trova più ostacoli, libera il pensiero dalle catene dell’isolamento e apre la mente. Una fortuna, senza dubbio, anche se molti tramontini non se ne rendono conto. Continuano a vivere con il cervello popolato ancora dai monti che fanno dei Lattari una delle bellezze più belle ed attreaenti del mondo.

Come si fa a descrivere in poche parole una comunità come questa, chiusa per tanto tempo in se stessa? Villaggi che sono stati per secoli soltanto “isolotti abitativi”, un tempo raggiungibili solo a piedi, a cavallo di muli e carrozze, spesso conflittuali tra di loro, oggi tutti collegati da strade percorse dai mezzi della moderna comunicazione? Anche se ballerina, è arrivata Internet.

Una Valle che è diventata un chiaro esempio di rete di connessione fisica, ma che continua a vivere come ha vissuto in un tempo che non esiste più. Rileggetevi nel libro che ho scritto la descrizione che ne fa lo storico amalfitano Matteo Camera che porta la data del 1876. Manca un’idea di comunità, un insieme di obiettivi, progetti, programmi comuni che costruiscano un futuro diverso da quella che è stata la realtà del passato.

La realtà rurale non è più tale, perchè è diverso l’ambiente sia fisico che umano. Le connessioni fisiche locali sono diventate interconnessioni globali. I diversi mestieri legati alla realtà rurale si sono trasformati in altre abilità che bisogna saper conoscere e gestire. E’ importante saper pensare locale ma agire in maniera globale, il che significa sapere come interagire al di fuori dei sistemi legati al localismo, confrontandosi con altre realtà, in maniera da evitare quella che alcuni sociologi hanno chiamato “la gabbia sociale della realtà liquida”.

Mi accorgo che il lettore, a questo punto, si chiederà cosa c’entra San Bartolomeo con tutto questo. C’entra e come! Chi ama questa terra, chi ci è nato, ci lavora, ci vive, chi ci passa le stagioni del vivere, dice e pensa di amare il suo giardino, la sua campagna, la sua vigna, il suo campicello, deve avere un progetto, una programmazione, degli obiettivi da raggiungere nel suo lavoro in un ampio arco di tempo, nel quale costruire non solo il proprio futuro ma anche quello comune, della comunità.

Questa valle, questo polmone verde, mi vide nascere nella piazza di Polvica, il villaggio “capitale”, nel secolo e nel millennio scorsi. Mio padre saliva a piedi su per il valico, proveniente dalla Valle dove l’antico popolo dei Sarrasti risaliva il fiume, attraversando la pianura dal mare di Castellammare. E’ necessario che questa comunità, si renda conto di quanto è importante che, sia i singoli che i gruppi, imparino a programmare le proprie attività su una base strettamente temporale specifica per affrontare i problemi che la natura offre sul territorio.

Saper cosa fare in natura e quando farlo è una delle cose più difficili anche per il contadino o giardiniere che si crede più esperto.

E’ necessario che ci sia un coordinamento, una programmazione, una visione globale che tocchi ogni singola attività produttiva che nella Natura, con la lettera maiuscola, ritrova la sua identità: coloni, proprietari, fattori, aziende agricole, operatori del commercio e del turismo, cantine sociali, enti pubblici e privati, laici e religiosi, imparino ad operare mettendo a disposizione le proprie capacità ed intelligenze operando uan necessaria programmazione che sappia andare oltre la realtà ed i bisogni del presente. Saper guardare lontano e oltre i limiti, le barriere e gli ostacoli fisici e mentali che ostacolano la crescita e lo sviluppo.

Saper superare le differenze, le gelosie, le invidie, i limiti che ogni essere umano porta con sè e sa che sono fardelli che devono essere eliminati. Non si possono costruire “giardini” pensando soltanto a quella che è la realtà del proprio giardino, ignorando quella del proprio vicino, riconoscendolo soltanto per dire che la sua “erba” è sempre più “verde”, oppure che fa “schifo”. Vanno evitati conflitti, invidie e gelosie che rendono sterile non solo la Natura ma anche gli animi di chi si crede di amarla.

Se questa Valle vuole continuare ad essere il “polmone verde” della Costa d’Amalfi” deve imparare a “respirare” in maniera diversa l “aria” del XXI secolo. Il compito di farlo spetta “in primis” a chi è deputato a gestire “la casa comune”. E’ importante che questa gestione sia intesa come “servizio”, non come “mestiere”, mero lavoro dietro ricompensa politica, per un interesse particolare. La Natura, con la maiuscola, appartiene a tutti, un bene comune che il suo Fattore ci ha regalato e che l’Unesco, non a caso, ha dichiarato bene dell’umanità.

Nella presentazione del libro, esternando i miei ringraziamenti per chi mi aveva aiutato a preparare il lavoro, rinunziando ad ogni compenso di natura economica, rivolsi un messaggio alle nuove generazioni invitando i giovani ad intraprendere percorsi opportuni per un futuro migliore. Spetta a loro, si legge, il compito di approfondire la propria identità. Conoscendo se stessi, si conoscono gli altri, nella stessa misura in cui gli altri ci aiutano a conoscere noi stessi.

La Valle di Tramonti ha una lunga, ricca ed ancora inesplorata Storia alle spalle. Ipotizzavo ricerche ed approfondimenti su questi argomenti: Storia locale: le frazioni e la valle. Storia cittadina: la città e il territorio. Storia religiosa: le chiese e i religiosi. Storia sociale: arti e mestieri. Storia politica: gli uomini e le idee. Storia amministrativa: i cittadini e la cosa pubblica. Storia dell’arte: artisti e mecenati. Storia dell’ambiente: catastrofi e progetti. Storia della cultura: letterati ed artisti.

Per natura mi sforzo di non essere pessimista, cerco di vedere sempre il bicchiere della realtà sempre mezzo pieno. A distanza di oltre mezzo secolo, l’antica Chiesa di San Bartolomeo Apostolo di Novella, retta da don Emilio d’Antuono da oltre cinquanta anni, aspetta ancora di essere salvata. Prima di chiudere questo lungo discorso tra “cultura” e “coltura” in questa Valle di Tramonti, confesso di essere essere un pò scettico sul futuro. Sono in buona compagnia, però, sono insieme al Santo che festeggiamo: Bartolomeo/Natanaele. Vi spiego perchè.

A prima vista quella di Natanaele-Bartolomeo sembrerebbe una figura “secondaria” nei disegni divini. Quasi sempre eclissata da personalità più forti. Ma nel Vangelo di Giovanni troviamo un episodio che invece lo vede protagonista e che offre numerosi spunti di riflessione: è la chiamata dell’apostolo. Natanaele si trova seduto all’ombra di un fico quando viene raggiunto dall’amico Filippo che con tono entusiastico gli dice «Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti, Gesù, figlio di Giuseppe di Nazareth».

Bartolomeo è però scettico, diffidente, tanto che risponde con sprezzante incredulità: «Da Nazareth può mai venire qualcosa di buono?». E’ un uomo concreto e ragiona secondo i canoni dalla tradizione: conosce benissimo quell’insignificante agglomerato di casupole che si trova a pochi chilometri da casa sua e gli pare incredibile che un posto simile, mai menzionato nell’Antico Testamento, possa aver dato i natali al Messia, il liberatore di Israele che tutti attendono.

Natanaele ha lo sguardo pessimista e un po’ frettoloso di chi si ferma all’apparenza. Ma si ricrederà presto. Infatti, incontrandolo, Gesù dice di lui: «Ecco davvero un Israelita in cui non c’è falsità»: è una straordinaria attestazione di fiducia che non ha uguali in tutti i Vangeli. L’uomo, infatti, ne resta spiazzato: «Donde mi conosci?» domanda. E Gesù: «Prima che Filippo ti chiamasse ti vidi mentre eri sotto il fico».

Voglio essere come Natanaele/Bartolomeo. Voglio essere pessimista, anche a causa del virus che, però, il vaccino sta per annientare. Credere che sia possibile “salvare una chiesa ed un villaggio” è ancora nei miei desideri. Basta pensarlo e don Emilio non intende mollare …

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Written by Antonio Gallo

Nessuno è stato mai me. Può darsi che io sia il primo. Nobody has been me before. Maybe I’m the first one. Nulla dies sine linea.

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