La pandemia tra Sarno, Novella e Aldeburgh …
Questa “schermata” da Facebook, ha bisogno di una spiegazione per capire il tutto. Il mio sonno da “dinosauro” è a blocchi. Mi sono svegliato poco dopo le quattro del mattino e il cervello come al solito ha iniziato a macinare pensieri. I vaccini, la pandemia, il lockdown, la pioggia battente e le turbolenze dei tre venti (ascendente, discendente e trasversale) che di solito assediano la nostra casa. Mi è stato impossibile riprendere sonno.
Mi alzo e accendo il pc. Comincio a scrivere sulla “home” di Facebook. Pesco da Google la foto della mia IIIB e scrivo il post. Rielaboro il tutto e comincio a scrivere per capire quello che penso. Guardo l’immagine e cerco di fare la conta di chi c’è e chi non c’è più, in quel cortile della scuola. Me li ricordo quei volti. Con Pasquale mi sento ogni mattina. Lui, l’ho nominato presidente del Club dei Dinosauri.
Il muro è quello delle cosidette “cantinelle”. Locali al di sotto del livello stradale, adattati ad aule. Erano privi della luce del sole, illuminati da fioche lampadine. Non c’era ancora il neon. La Scuola Media era, ed è ancora intestata, a G. Amendola, “il deputato sarnese dei ventisette voti”, nella Valle dei Sarrasti. Cerco di mettere a fuoco la mia mente sull’anno: 2021 meno 1952 fa 69. Possibile? Sono passati 69 anni? Eppure sembra soltanto ieri.
Lo ricordo bene quello spazio retrostante l’edificio di tre piani che dava vita e memoria alla Scuola Elementare al primo e secondo piano, al terzo il Liceo T. L. Caro. Il fascismo lo costruì a due piani. La prima Repubblica ci costruì il terzo, poi lo abbatterono perchè ritenuto pericoloso. In migliaia, tra studenti e docenti ci abbiamo lavorato, senza pericoli!
Oggi l’edificio sta ancora lì da anni, su due piani, in attesa di un recupero che mai avverrà. Al centro del piazzale c’era, ed è ancorà là, quella che fu la palestra. In quello spazio, prima che suonasse la fatidica “campanella” del Liceo, appesa all’angolo al terzo piano che segnalava le ore della didattica, noi ci giocavamo al pallone.
Quante volte la bidella Palmina, in servizio alle Elementari, si affacciava dalle finestre e, gridando con in mano la scopa, ci rincorreva. A colpi di pallonate, avevamo rotto i vetri delle finestre. Io ero sempre in “porta”, che poi era quel muro contro il quale, sistemati su tre file, ci vedete schierati nella immagine. Il Preside ing. De Filippo, il prof. di Lettere Ammendola, il bidello Antonio. Tutti passati a miglior vita.
Noi eravamo 23. Non credo ci fosse qualche assente, se c’era non potrei ricordarmelo. Ma i nomi di ognuno, si. Non so, però, con esattezza chi non è ancora passato sull’altra sponda del fiume. Non mi riferisco al fiume Sarno, che scorre a poca distanza, bensì al “fiume della vita”. Apparteniamo alla classe degli anni “trenta”. Tutti, oggi, “dinosauri” del terzo millennio.
Ci chiamano “soggetti fragili”, come fragile è quell’amica di mia moglie della quale parlo nel commento alle immagini. Lei, di anni, ne ha ben 92. L’abbiamo conosciuta in Inghilterra durante una “Summer School” del 1991, alla “Loughborough University of Technology”.
Nonostante problemi di deambulazione, legge, scrive e va in giro per Aldeburgh, un paesino della contea del Suffolk, con la sua sedia rotelle elettrica. E’ in contatto digitale continuo con mia moglie alla quale l’altro giorno ha raccontato di essere stata vaccinata a casa.
Alla domanda se noi fossimo stati vaccinati, mia moglie ha detto che siamo in attesa del nostro “turno”. Parola che mi ha fatto venire in mente le immagini di tante file di persone che ormai da mesi vediamo distendersi per le strade del nostro pianeta mondo, in fila, in attesa di un “turno”.
Il parroco della piccola Chiesa di Novella, la frazione del Comune di Tramonti dove siamo bloccati dall’inizio dell’isolamento per la pandemia, ma anche per alcuni lavori urgenti di manutenzione, è solito dire che “siamo tutti in lista d’attesa”.
Lui intende in attesa di “uscire dal mondo”, immagine simile a quella di attraversare il fiume e passare sull’altra sponda. Metafore di una esistenza ridimensionata dall’arrivo di una pandemia che ha riportato la condizione umana alla sua vera essenza.
Un famoso proverbio di Confucio, il saggio Cinese, ci invita a non meditare la vendetta per le tante sofferenze che siamo costretti a fronteggiare: “Siediti lungo la riva del fiume e aspetta, prima o poi vedrai passare il cadavere del tuo nemico“. E’ una perla di saggezza che arriva da lontano, ma che è preziosa e da mettere in pratica.
Senza fermarsi alla prima apparenza del messaggio, bisogna leggere tra le righe di questa frase. In fondo ci parla anche dell’arte dell’attesa. Saper attendere, per avere dei risultati. Non sempre saranno quelli sperati, ma sono quelli che la vita riserva.
Considerando che i nemici peggiori, più di quelli “esteriori”, sono i nostri “demoni interiori” incompresi, forse con queste parole, il saggio, (guarda caso un cinese!), vuole intendere qualcosa di più. Nessuno, però, potrà dircelo. Soltanto noi potremo, forse, farlo. Con noi stessi …