La fuga di Tolstoj: “La vecchiaia si può fuggire in mille modi, magari scrivendo un libro…”

Antonio Gallo
2 min readOct 27, 2021

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Il Libro

La notte tra il 27 e il 28 ottobre del 1910 Lev Nikolàevic Tolstoj è risvegliato da un fruscio nel suo studio: la moglie Sofia sta curiosando ancora una volta tra le sue carte. Stanco di una vita coniugale reciprocamente tormentata e di una famiglia inquinata da sospetti, gelosie e rivalità, all’età di ottantadue anni, decide di fuggire nottetempo, accompagnato dalla figlia Sasa e dal medico Makovickij. Alberto Cavallari ha ricostruito in questo racconto di straordinaria intensità i giorni della fuga di uno dei massimi scrittori occidentali (“una fuga dalla morte, una fuga / rivolta, una fuga / libertà”) dalla tenuta di Jasnaja Poljana alla sperduta stazione di Astàpovo, dove Tolstoj morì il 7 novembre, dieci giorni dopo la sua fuga, sotto i riflettori del mondo intero. Posseggo questo libro da diversi anni ma non l’avevo mai letto, nè sapevo della “fuga” di questo grande scrittore. A questo proposito Tolstoj scrisse: “La vecchiaia si può fuggire in mille modi, magari scrivendo un libro…”

Lev Tolstoj Scrittore, filosofo e attivista sociale (1828–1910). All’alba dei suoi 82 anni, il 28 ottobre 1910, abbandona di nascosto la sua casa nel cuore della notte. Lascia, tra le pagine di un libro, un biglietto di commiato alla moglie e parte senza una destinazione precisa, accompagnato dal suo medico e amico fidato.

Dopo solo tre giorni di viaggio, la salute del grande scrittore peggiora e muore di polmonite dopo sette giorni in una sperduta stazione ferroviaria, dove ricchi e poveri accorrono per salutarlo. Ripeteva ogni volta: «Io so dove andare, anche se proveranno a fermarmi. E so che devo andarci da solo».

Alla fine, a 82 anni, ha pensato che non poteva più aspettare. In tanti hanno provato a spiegare questo suo folle gesto adducendo varie ipotesi: l’oppressione della moglie che svariate volte si era opposta ai suoi viaggi minacciando il suicidio, gli interessi per la sua eredità materiale e politica, il lacerante conflitto tra il dolore per le diseguaglianze sociali e i vizi di una vita opulenta.

Ciò che è certo, è che fino all’ultimo Tolstoj non si esime dal comunicare un messaggio. In stato febbricitante detta alla figlia queste ultime parole: «Dio è quell’infinito Tutto, di cui l’uomo diviene consapevole d’essere una parte finita. […] quanto più grande è l’amore, tanto più l’uomo manifesta Dio, e tanto più esiste veramente».

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Nessuno è stato mai me. Può darsi che io sia il primo. Nobody has been me before. Maybe I’m the first one. Nulla dies sine linea.

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