La donna che ha lasciato l’ago e il fuso per scrivere …

Antonio Gallo
12 min readFeb 3, 2025

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In un post che ho scritto qui su MEDIUM, come anteprima alla recensione di questo libro, ho avuto modo di citare la frase con la quale Gaetana Mazza conclude il suo interessante lavoro su “Una storia di donne dalle origini all’era moderna”. Ho scritto che non mi piace quella sua conclusione.

Il suo libro dimostra, infatti, proprio il contrario. Ripropongo la frase, la condivido soltanto in parte. Mazza scrive: “Le donne devono rientrare nella storia a pieno titolo e con tutti gli onori”. Aveva iniziato col dire che:

“Non è facile ricostruire la vita delle donne comuni perchè le loro vicende, considerate irrilevanti e marginali, non sono entrate nella storiografia ufficiale … Neppure la fama di tutte le donne che si sono distinte nei vari ambiti del sapere è arrivata fino a noi. Solo poche si sono salvate dall’oblio.”

Non credo sia del tutto vero che “solo poche si sono salvate dall’oblio”. L’affermazione secondo cui le donne devono “rientrare” nella storia, perché ne sono state “cacciate”, anche se è una metafora che sembra essere supportata da dati storici, è troppo forte. Non credo che aiuti a salvare l’onore delle donne.

E’ vero quando Mazza evidenzia come, per secoli, la storiografia ufficiale abbia escluso consapevolmente le donne, relegandole al margine o ignorandone i contributi, anche quando si distinguevano in ambiti tradizionalmente maschili come le arti, la scienza e la filosofia.

E’ anche vero, però, che nella storia umana non si conta il numero delle donne che la Storia l’hanno fatta davvero. Sono molti del resto gli esempi che lei stessa riporta nel suo libro. E’ un fatto anche, purtroppo, che sin dalla narrazione biblica, la condizione femminile non è stata una delle più felici per quanto concerne la loro presenza e partecipazione.

Partiamo dal Principio. Dalla Genesi. Personalmente non mi è mai piaciuta come viene raccontata la creazione di quelle che, secondo chi la scrisse, furono/erano le intenzioni del Creatore. Sarò forse rude e profano con questi miei pensieri, ma non ho mai accettato, nè capito, quanto si legge in quel grande libro che si chiama Bibbia:

“E il Signore disse: “Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda”. Allora il Signore Dio plasmò dal suolo l’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome. Così l’uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli animali selvatici, ma per l’uomo non trovò un aiuto che gli corrispondesse. Allora il Signore fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e richiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio formò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo. Allora l’uomo disse: “Questa volta è osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne. La si chiamerà donna, perchè dall’uomo è stata tolta”. Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno un’unica carne”. (Genesi 2,18–24 — La Bibbia TOB, Elledici 2009)

So bene che questa non è Storia. Più che una narrazione, mi sembra una storiella scritta per antropomorfizzare l’ineffabile trascendenza del divino. Quello che si scrive in questo racconto mi sembra oggi, (ventunesimo secolo d. C.) ancora più problematico e difficilmente credibile.

La donna, femmina, creata dalla costola dell’uomo, maschio, creato per primo, si manifesta curiosa ma non scema. Eppure, si fa ingannare dal serpente, per questo suo innato sentimento, comune a tutte le donne.

Convince il suo amico, al quale si era unita per non farlo sentire troppo solo. Lui, sì!, si dimostra abbastanza scemo. Lo convince a mangiare la mela. Non un frutto qualsiasi, ma niente di meno! quello della conoscenza, a loro vietata, (non si sa il perchè).

Il fatto, poi, che sia stata la donna Eva a voler arrivare al frutto della conoscenza, segnala una certa sua superiorità mentale rispetto al suo alquanto stupido amico, l’uomo Adamo.

Quando la donna lo convince a seguirla, mangiando la mela, segnala le caratteristiche tipiche femminili, ma conferma anche la stupidità del suo compagno. Tra i due chi fa la peggior figura è lui, non lei.

Ecco: se in principio accadde questo, forse si spiega perchè la povera donna Eva sia stata tenuta “fuori”, esclusa da ogni evento importante nella storia dell’umanità. Ma anche questo non è del tutto vero.

Proprio in questi giorni ho letto l’intervista ad una donna premio Nobel 2015 per la letteratura, Svetlana Aleksevic, autrice di un libro intitolato “La guerra non ha un volto di donna”. La guerra, tutte le guerre, sono di fatto eventi crudeli ed insensati, prettamente maschili. Così lo sostiene in una lunga e interessante conversazione.

Eventi estranei alle donne, le quali, con tutti i difetti e i loro pregi, non hanno mai fatto o dichiarato una guerra. Ecco cosa dice delle sue idee su guerra e pace, vita, morte e amore, indossando le sue vesti di triplice identità Ucraina, Russa e Bielorussa, alla sua età di 76 anni:

“La guerra non ha un volto di donna … Siamo tutti prigionieri di una rappresentazione maschile della guerra, che nasce da percezioni prettamente maschili, espresse con parole maschili, nel silenzio delle donne … Abbiamo vissuto eventi così traumatici che credo solo l’amore potrà salvarci. Senza amore, non possiamo nè tornare indietro, nè proiettarci nel futuro. Solo attarverso l’amore per la vita, per l’umanità, possiamo sperare di ricostruire ciò che è stato distrutto e pensare a un domani”. (Avvenire, Agorà, 1 febbraio 2025).

Ma desidero qui ricordare un diverso tipo di donna che la guerra la fece, ed è importante sapere il perchè. Mazza non ne parla nel suo libro. Lo faccio io qui, trascurando molti altri nomi di donne che lei ignora. Boudicca, nota anche come Budicca o Boadicea, è stata una figura femminile di grande rilevanza nella storia inglese nel I secolo d.C.

Nata intorno al 33 d.C, era la regina della tribù degli Iceni, una popolazione celtica che abitava l’odierna Inghilterra orientale. È diventata famosa per aver guidato una delle più significative rivolte contro l’Impero Romano tra il 60 e il 61 d.C.

Boudicca era moglie di Prasutago, re degli Iceni, il quale, al momento della sua morte, aveva cercato di mantenere l’indipendenza della sua tribù dividendo il regno tra le sue figlie e l’imperatore Nerone.

Tuttavia, dopo la morte di Prasutago, i Romani ignorarono questo accordo e annetterono il territorio, confiscando le terre e umiliando Boudicca e le sue figlie. In risposta alle ingiustizie subite, Boudicca organizzò una rivolta che unì diverse tribù celtiche.

La sua insurrezione portò alla distruzione di importanti città romane come Camulodunum (l’odierna Colchester), Londinium (Londra) e Verulamium (St. Albans), causando la morte di decine di migliaia di persone. Nonostante i successi iniziali, la rivolta fu schiacciata dalle forze romane guidate da Gaio Svetonio Paolino in una battaglia decisiva lungo la moderna Watling Street.

La figura di Boudicca è diventata un simbolo della resistenza contro l’oppressione e della lotta per la giustizia. È ricordata non solo come una guerriera coraggiosa, ma anche come un’eroina nazionale nel folklore britannico.

La sua storia è stata tramandata attraverso le opere di storici come Tacito e Cassio Dione, che ne descrivono l’aspetto fisico e il carisma. La sua vita e la sua ribellione continuano a ispirare movimenti per i diritti delle donne e la lotta contro le ingiustizie sociali.

Proprio di Storia intende occuparsi con il suo libro Gaetana Mazza. In questo suo ultimo corposo lavoro, non facile, lo dice lei stessa, continua la sua missione. Perchè di una vera e propria missione si tratta, se non vogliamo chiamarla ossessione.

Lei sostiene che la donna, le donne in quanto femmine, devono rientrare nella storia, da dove sono state scacciate, per riconquistare il loro onore, anch’esso perduto. A mio modesto parere, l’uomo e la donna furono creati uguali. Restano tali, pur essendo per loro natura diversi.

La moderna tendenza, falsa etica e ipocrita politica, tra femminismo e femminilismo non rende un buon servizio alle donne, nè tanto meno a Gaetana Mazza e a questo suo importante libro.

Giovane studentessa modello, moglie, docente, archivista, ricercatrice, scrittrice, sempre documentata, intellettualmente impegnata per i tanti altri meriti che tutti le riconoscono, Gaetana non è una femminista, come in varie occasioni ha avuto modo di dichiarare nella sua intensa attività social. Leggere questo libro in questa luce sarebbe un errore.

Gaetana fa già parte della Storia della sua Città di Sarno, in una Valle la cui storia risale a prima della venuta di Cristo. Nel suo libro c’è un lungo l’elenco incompleto di queste figure femminili che sono parte della Storia con Onore. Lei stessa lo dimostra, dopo di aver deciso di lasciare sia l’ago che il fuso.

Il suo libro nasce da questi versi: “Vedi le triste che lasciaron l’ago, la spuola e ‘l fuso, e fecersi ‘ndivine; fecer malie con erbe e con imago”. Una situazione che si trova nel canto XX dell’Inferno di Dante, precisamente al verso 118.

Dante e Virgilio stanno attraversando la quarta bolgia dell’ottavo cerchio dell’Inferno, dove sono puniti gli indovini, coloro che in vita hanno cercato di prevedere il futuro utilizzando arti magiche.

La pena per questi peccatori è particolarmente dolorosa: devono camminare eternamente con la testa girata all’indietro, costretti a guardare ciò che sta dietro di loro e impossibilitati a vedere il futuro, che tanto avevano cercato di scrutare in vita.

Tra le anime che Dante vede in questa bolgia, vi sono anche delle donne che hanno abbandonato le loro attività domestiche, simboleggiate da “ago, spuola e fuso”, per dedicarsi alla divinazione e alla magia.

Queste donne sono descritte come “triste”, un termine che sottolinea la loro condizione di dolore e disperazione eterna. Dante le accusa di aver fatto “malie con erbe e con imago”, ovvero di aver praticato la stregoneria utilizzando erbe e immagini.

L’immagine in questo caso si riferisce a figure o oggetti utilizzati nei rituali magici per esercitare un influsso su persone o eventi. La presenza di queste donne nell’Inferno testimonia la condanna da parte di Dante di ogni forma di pratica magica e divinatoria, considerate peccati gravi che allontanano l’uomo da Dio. Siamo in un campo nel quale Gaetana Mazza è a suo agio.

Conosce a fondo l’atmosfera che si respirava per le donne. Basta dare uno sguardo ai titoli dei suoi libri pubblicati e alle sue tante ricerche fatte negli archivi del suo territorio. Libri e documenti che dovrebbero essere davvero letti, studiati e compresi nella loro giusta dimensione, sia spaziale che temporale.

Con “E io lasciai l’ago e il fuso”, Gaetana Mazza compie un’operazione tanto audace quanto necessaria: riabilitare quelle donne che, attraverso i secoli, hanno osato sfidare i ruoli loro imposti, trasformando il filo del conformismo in un tessuto di ribellione. Lei ribalta la condanna dantesca: quelle donne non sono emblemi di peccato, ma simboli di un sapere alternativo, spesso represso ma mai domato.

Il libro attraversa millenni di storia, dalle società arcaiche, dove le donne erano sacerdotesse, guaritrici o leader, fino all’era moderna, passando per Medioevo, Rinascimento e rivoluzioni.

L’autrice non si limita a celebrare figure iconiche, ma recupera le vite di coloro che furono bollate come streghe, eretiche o eccentriche, erboriste perseguitate, mistiche silenziate, scienziate costrette all’anonimato, rivoluzionarie dimenticate.

Il riferimento dantesco diventa una lente critica. Come le indovine dell’Inferno, molte di queste donne furono punite per aver “osato sapere” o per aver rivendicato un ruolo fuori dagli spazi domestici. Il peccato di Eva che ritorna.

Gaetana Mazza mostra, però, come proprio in quella trasgressione si celasse un grido di autonomia. Un filo rosso che unisce le sibille antiche alle suffragette moderne. La forza del libro sta nel bilanciare analisi storica e narrazione appassionata.

La scrittrice utilizza fonti eterogenee (documenti processuali, opere letterarie, iconografia) per smontare stereotipi secolari. Le protagoniste non sono icone immacolate, ma donne complesse. Alcune lottarono consapevolmente contro il patriarcato, altre semplicemente vissero secondo la loro natura, pagando il prezzo di un mondo ostile.

Il tono è a tratti polemico, specie quando smaschera l’ipocrisia di epoche “illuminate” (come il Rinascimento o l’Illuminismo), che esaltavano la ragione ma negavano alle donne l’accesso al sapere. Perché leggere questo libro?

In un’epoca di revisionismi e reazioni scomposte contro i diritti di genere, questo libro è un monito e un invito all’azione. Ricorda che ogni conquista, dal diritto alla vita, al voto e all’aborto, affonda le radici in secoli di resistenza spesso invisibile.

La Mazza cerca di non idealizzare il passato, ma chiede di riconoscere il coraggio di chi, come le indovine di Dante, preferì il rischio della libertà alla sicurezza della sottomissione. Approccio originale il suo, nel collegare letteratura e storia sociale, documentazione meticolosa. Una scrittura coinvolgente.

A chi è rivolto il libro? A chi ama la storia delle idee, gli studi di genere e chi cerca risposte alle sfide contemporanee attraverso le lotte del passato. Auguri Gaetana, in attesa del tuo prossimo libro.

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La SCHEDA COMPLETA DEL LIBRO

su Librarything con le recensioni. In copertina un particolare di Van Gogh “La Filatrice” 1884. In seconda il sommario dell’editore:

“La storia della donna è la storia della sua subalternità, teorizzata fin dall’antichità da scrittori e filosofi: Aristotele considerò il maschio forma e spirito, la donna venter e materia. Ritenute deboli, incostanti, inaffidabili e di limitate capacità cognitive, le donne furono messe sotto tutela, private dei diritti civili e sociali, escluse dal foro, dalla vita politica e dall’accesso agli studi letterari, filosofici e scientifici. A partire dall’Alto Medioevo le donne dell’aristocrazia e della ricca borghesia, che venivano istruite in casa o nei conventi, si cimentarono con successo nelle arti e nelle attività tradizionalmente riservate ai maschi, ma gli storiografi le esclusero consapevolmente e colpevolmente dalla Storia. Delle tante che nei secoli si erano distinte nei vari ambiti del sapere, solo qualcuna fu sottratta all’oblio. Nel Novecento studiosi anglosassoni, statunitensi e, in minima parte, italiani, utilizzando le fonti più disparate, hanno risvegliato le belle addormentate, ridando vita alle moltissime donne, famose nella loro epoca, ma finite per secoli nel dimenticatoio. La ricerca si pone l’obiettivo di far conoscere non solo poetesse, protofemministe, mistiche, filosofe, musiciste e cantanti, pittrici, storiche, alchimiste, medichesse, guerriere, ma anche le donne ‘comuni’ che, con la loro sapienza pratica e il loro faticoso lavoro hanno contribuito al progresso dell’umanità. “

Il libro è dedicato “A mia nonna Evelina, a mia madre Elena, a mia sorella Gloria, a mia figlia Elena”.

Segue una poesia. Il testo completo del sonetto “Tacete, o maschi” di Leonora della Genga, poetessa marchigiana del Trecento:

Tacete, o maschi, a dir, che la Natura
A far il maschio solamente intenda,
E per formar la femmina non prenda,
Se non contra sua voglia alcuna cura.
Qual’invidia per tal, qual nube oscura
Fa, che la mente vostra non comprenda,
Com’ella in farle ogni sua forza spenda,
Onde la gloria lor la vostra oscura?
Sanno le donne maneggiar le spade,
Sanno regger gl’Imperi, e sanno ancora
Trovar il cammin dritto in Elicona.
In ogni cosa il valor vostro cade,
Uomini, appresso loro. Uomo non fora
Mai per torne di man pregio, o corona.

Questo sonetto è una potente rivendicazione del valore delle donne. Appartengono a un sonetto che esprime una forte critica nei confronti della visione patriarcale della società e della letteratura del suo tempo.

Leonora inizia il suo sonetto con un invito ai maschi a tacere riguardo alla presunta superiorità maschile, sottolineando che la natura non si limita a creare solo uomini, ma investe altrettanta cura e forza nella creazione delle donne. La poetessa sfida l’idea che il maschio sia l’unico risultato voluto dalla natura, affermando invece che anche le donne sono frutto di un processo naturale significativo.

Nel proseguire, Leonora mette in discussione l’invidia e la mancanza di comprensione degli uomini nei confronti delle donne. Sottolinea come le donne siano capaci di gestire le spade e governare imperi, evidenziando le loro abilità e potenzialità in ambiti tradizionalmente maschili. Questo passaggio è una chiara rivendicazione del valore e delle capacità femminili, contrastando l’immagine stereotipata di inferiorità.

La poetessa conclude affermando che il valore degli uomini svanisce in confronto a quello delle donne. La sua scrittura non solo celebra la forza femminile ma anche critica la narrazione storica che ha relegato le donne a ruoli secondari. Leonora si pone come una voce di ribellione contro le convenzioni sociali del suo tempo, proponendo una visione più equa e inclusiva della società.

I versi di Leonora della Genga rappresentano un’importante espressione di protofemminismo nel XIV secolo, anticipando temi che oggi sono ancora rilevanti nel dibattito sulla parità di genere e sul riconoscimento del valore delle donne nella società.(a.g.)

L’indice si articola in diciotto capitoli con una premessa, una conclusione, la bibliografia e una interessante appendice fotografica. Si va dalla Grecia alla prima poetessa della storia Enheduanna, altre poetesse, Roma, le poetesse latine, la dote, i Regesti del Protocollo del notaio de Martino di Sarno (1475–76), il ruolo della donna nel medioevo, i saperi femminili, le donne e la scrittura nel medioevo, musicisti e cantanti, le mistiche italiane, le protofemministe, le filosofe greche, le medichesse, le letterate, le poetesse rinascimentali, le pittrici.

Sulla terza di copertina, chi è Gaetana Mazza. In quarta sono riproposti i quattro versi iniziali della poesia di Leonora della Genca.

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Written by Antonio Gallo

Nessuno è stato mai me. Può darsi che io sia il primo. Nobody has been me before. Maybe I’m the first one. Nulla dies sine linea.

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