La carne, la morte e il diavolo …
Il 6 settembre 1896 nasce Mario Praz autore di un famoso libro il cui titolo ho usato a metà per titolare questo post in ricordo della sua nascita. Uno scrittore, critico d’arte, traduttore, giornalista e anglista accademico italiano, Mario Praz ha trascorso gran parte della sua vita a Londra, dove ha insegnato letteratura italiana presso il Queen Mary College dell’Università di Londra. È stato anche professore di letteratura italiana presso l’Università di Roma “La Sapienza”.
Un intellettuale eccentrico, noto per la sua grande cultura e la sua capacità di scrivere su una vasta gamma di argomenti, dalla letteratura alla critica d’arte, dalla moda alla cultura popolare. Tra le sue opere più famose “La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica” e “La casa della vita: simbolismo e poesia della vita inglese”.
Praz è stato anche un collezionista d’arte e ha donato gran parte della sua collezione alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma. La sua collezione comprendeva opere di artisti come Giorgio de Chirico, Carlo Carrà e Filippo de Pisis. Mario Praz morì a Roma il 23 marzo 1982, all’età di 85 anni. La sua vasta eredità culturale e intellettuale continua ad essere studiata e apprezzata in tutto il mondo.
Ho un ricordo personale di questo straordinario anglista legato ai miei primi anni di studio della lingua inglese. Nel secolo e nel millennio trascorsi. Posseggo molti dei suoi libri ma conservo gelosamente una semplice antologia di testi usata nelle poche scuole superiori italiane del tempo dove si studiava l’inglese, una lingua che stava lentamente spodestando la presenza del francese.
In un post qui al link, qualche anno fa, ebbi modo di metterla a confronto con un’altra antologia moderna e digitale, tirandone le opportune conseguenze. Firmata da Mario Praz, quell’antologia di scrittori inglesi e americani cercava faticosamente di farsi notare tra le grosse e sofisticate antologie di latino e greco che siedevano in trono sulla cattedra nelle classi sperimentali dei ginnasi di fine anni sessanta e inizi settanta.
Erano brani scelti di autori con commenti biografici, brevi inquadramenti storici letti in classe dalla viva voce con grandi sforzi e senza supporti dal povero docente.
Erano iniziate timide sperimentazioni su di un futuro che sembrava non dovesse mai arrivare. La classicità dominava il piccolo mondo meridionale, come ancora oggi, purtroppo. Qualche preside all’avanguardia era riuscito a raggruppare pochi studenti i quali, volontariamente, avevano scelto le due ore di sperimentale apprendimento di una lingua che gareggiavano con la maestosa e rivoluzionaria lingua consorella: il francese. Si era guardati con un sorriso di superiorità dalle lingue classiche. Una perdita di tempo per molti, un esperimento destinato al fallimento per altri.
Ricordo che in un antico e prestigioso liceo-ginnasio, che era anche un collegio, un lungimirante, intelligente e colto preside, un Padre benedettino “ora et labora”, mi fece avere l’incarico dal Provveditorato per alcune ore di “lingua sperimentale” in inglese ad alcuni studenti del ginnasio. I loro genitori, dietro impegno economico personale, avevano deciso di optare privatamente per lo studio della lingua inglese affiancandola al francese.
In adozione avevo proprio l’antologia di Mario Praz. Usavo la mia voce e i preziosi dischi del corso “Linguaphone” per insegnare i suoni della lingua di Shakespeare con le voci degli attori trasferiti sui nastri del nascente registratore audio. Stava per accadere quello che poi è accaduto. Era in arrivo il futuro.
Nasceva la comunicazione video, si affiancava all’audio, entrambi sarebbero in poco tempo diventati un sistema di attività cognitive complesse denominato “attivo-comparativo”, il “testo” sarebbe diventato un “ipertesto”, l’insegnamento sarebbe stato programmato, continuo e a distanza. Sarebbe arrivata ben presto la Rete.
Il “mezzo” sarebbe diventato il “messaggio”, il digitale era alle porte. Marshall McLuhan lo aveva previsto dicendo che il “mezzo era il messaggio”. In poco tempo, tutta l’esistenza umana sarebbe diventata “audio-video-attiva-comparativa”. In poche parole “social” e “digitale”. Basta dare una occhiata a come sono fatte le moderne antologie dedicate allo studio non solo della lingua inglese.
Libri multimediali, piattaforme digitali sofisticate per un apprendimento immediato che avrebbe spaventato anche l’erudito e finissimo studioso quale era Mario Praz: interactive timeline, video in contesto storico e culturale, testi antologizzati, texts bank aggiuntivi, routes di apprendimento, esercizi interattivi online, esercizi di neuroscienza cognitiva, dalle origini ad oggi, una grande, una sconfinata realtà digitale. Le scarse trecento pagine dell’Antologia di Praz fanno la differenza. Progresso o mutamento?
Mario Praz fu anche un grande traduttore. Vi propongo una sua traduzione di una bellissima poesia romantica. Una poesia del poeta inglese Alfred Tennyson, molto triste, che esprime insieme la dolcezza ed il dolore del ricordo per le cose passate e gli amici scomparsi.
Il poeta piange lacrime che egli ritiene “idle” cioè “vane” perchè egli stesso non è in grado di capirne il significato e le conseguenze. Eppure resta convinto che quelle lacrime, quelle tenere, misteriose gocce d’acqua che solcano il volto di chi avverte un sentimento di sofferenza, quelle stesse lacrime sono belle e nobili.
Sorgono, infatti, dal profondo del suo cuore e gonfiano i suoi occhi alla vista di quei campi dorati al tempo della mietitura autunnale. Occasione di gioia per il raccolto, ma anche di tristezza, perchè segna una fine, quella della stagione estiva. Tutte quelle foglie gialle destinate a marcire, come sono purtoppo finiti i giorni passati che non potranno mai più tornare.
Luminoso come il primo raggio di sole che sorge e bacia le vele della nave al limite dell’orizzonte, così il ricordo degli amici perduti emerge dal profondo dell’animo. Il mondo irraggiungibile, oltre la linea della vita, nel regno dei morti, come nelle leggende classiche.
Quando ricordiamo i nostri amici scomparsi essi ci appaiono e sembra che navigano nella nostra mente. Ma poi affondano per scomparire. Sappiamo bene che essi non possono restare in superficie a lungo.
Così è altrettanto triste il momento del tramonto allorquando il sole perde le sue forze e fa il cielo rosso del suo sangue, affondando dietro l’orizzonte. Una coltre scura cala sulle memorie e sui ricordi dei giorni andati che di esse sono i figli.
Molta “carne” a cuocere, la “morte” del passato, il “diavolo” del futuro …
Tears, idle tears, I know not what they mean,
Tears from the depth of some divine despair
Rise in the heart, and gather to the eyes,
In looking on the happy autumn-fields,
And thinking of the days that are no more.
Fresh as the first beam glittering on a sail,
That brings our friends up from the underworld,
Sad as the last which reddens over one
That sinks with all we love below the verge;
So sad, so fresh, the days that are no more.
Ah, sad and strange as in dark summer dawns
The earliest pipe of half-awaken’d birds
To dying ears, when unto dying eyes
The casement slowly grows a glimmering square;
So sad, so strange, the days that are no more.
Dear as remembered kisses after death,
And sweet as those by hopeless fancy feign’d
On lips that are for others; deep as love,
Deep as first love, and wild with all regret;
O Death in Life, the days that are no more!
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Lacrime, vane lacrime ed arcane,
Dal sen d’una divina disperanza,
Sorgano in cuor, s’accolgono negli occhi.
Vedendo i lieti campi dell’Autunno,
Pensando ai giorni che non sono più.
Gai come il primo raggio su una vela
Che ci riporti i cari d’oltremare,
Tristi come l’estremo su una vela
Che affondi insieme con tutto quel che amiamo:
Si tristi e gai quei dì che non son più.
Ah, tristi e strani come in alba oscura
Voci d’uccelli per morenti orecchi,
Mentre ad occhi morenti la finestra
Via via diventa un pallido quadrato;
Si tristi e strani i dì che non son più.
Cari siccome i baci ricordati
Dopo la morte, e dolci come i baci
Sognati invan, profondi come amore,
Il primo amore, e folli di rimpianto:
O Morte in Vita, i dì che non son più.(Traduzione di Mario Praz)
Molta “carne” a cuocere, la “morte” del passato, il “diavolo” del futuro …