Il “verso” giusto di Ettore
Esattamente dieci anni fa, ci manca qualche mese, su unideadivita, diventato poi appendice, biblioteca e memoria del mio attuale spazio digitale che si affaccia su questo blog planetario chiamato MEDIUM, pubblicai un post che riproduco integralmente. Chi vuole, può andare al link e ritrovarlo. Lo ripropongo a chi non lo ha mai letto, forse nemmeno chi lo scrisse se lo ricorda.
Era firmato da una persona che conosco da oltre quaranta anni, viviamo nello stesso palazzo, separati, però, da una doppia parete. Lo scrisse in riferimento ad un mio post a ricordo del mio matrimonio. Grazie all’algoritmo della IA, la Intelligenza Artificiale di Google, l’ho ritrovato, insieme ad altri riferimenti che vanno “verso” questa firma.
Non sto qui a scrivere di queste tracce facilmente ritrovabili da chi si fida della IA che lascia segni incancellabili nella memoria digitale del nostro presente, “verso” un preciso, e, si spera, migliore futuro. Perchè parlo di Intelligenza Artificiale mentre dovrei scrivere del nuovo libro di poesie che Ettore Locatelli ha appena pubblicato?
Ieri mattina, quando in un rapido messaggio su Whatsup mi ha detto buongiorno, indirizzandosi “verso” di me chiamandomi “ambasciatore dell’I.A.” perchè aveva letto un mio post su questo argomento, mi comunicava di aver messo il libro di poesie nella mia cassetta della posta, ho avuto la conferma che Ettore, di “versi”, intesi come “qualità”, ne possiede davvero molti.
Non starò qui a fare una specifica precisa, con relativi elogi e pregi del suo modo di “versificare”, ed anche “aforismare”. Lo feci quando intese “esternarsi” per lasciare una traccia. Questa volta mi limiterò a citare la prima e l’ultima delle 47 poesie che caratterizzano questa sua recente, ma non ultima “traccia”, che lascia della sua esistenza.
La prima è intitolata “C’è chi”, l’ultima “Tic-Tac”. Tra le due si distende armonicamente il suo vissuto. Devo dire che risponde in pieno ai canonici interrogativi “chi-cosa-quando-dove-perchè” che dovrebbero caratterizzare ogni essere umano durante la propria esistenza su questa terra.
Ognuna di queste poesie è una risposta “verso”, in “direzione” di un “amarcord” che sistematicamente, appassionatamente ed anche, lo voglio dire senza offesa, “fanaticamente” Ettore ha avuto in tutti questi momenti poetici, raccontati in “versi” a rima baciata o alternata.
Gli ultimi due “versi” della prima poesia non lasciano prevedere al malcapitato lettore sarnese, in quella che fu la Valle dei Sarrasti, di aspettarsi solo falsità e illusioni. Ettore è implacabile quando scrive:
“Siam tutti uguali sembrando diversi per camuffare quell’essere perversi”.
Chi ha orecchie per sentire, occhi per leggere e mente per capire, legga e capisca.
A proposito del mio post 40-anni-fa-un-anniversario l’amico Ettore Locatelli mi scrive il pezzo memoriale che segue e che merita di essere pubblicato per diverse ragioni. E’ una testimonianza personale che diventa collettiva e condivisibile specialmente chi nel Sud è nato, cresciuto e vissuto. Il Sud della piccola provincia di un Paese che pochi anni ancora prima si fregiava del titolo di “Manchester d’Italia”: la Città di Sarno, già grosso centro produttivo tessile industriale e agricolo, oggi degradato a semplice “hinterland” napoletano. Un Paese antico di millenni, addirittura prima della fondazione di Roma, come testimonia il bel libro di Salvatore D’Angelo che riporto al link qui sopra. In altre parole oggi “mera periferia” urbana dell’entroterra. Ettore descrive accuratamente le sensazioni e i sentimenti di chi in quel tempo ha gettato le sue radici umane. E’ vero. I giovani di oggi, ignorano tutto quanto egli scrive. Sarebbe utile che essi conoscessero tutto questo e sapessero “leggere” in profondità quanto è accaduto in questi ultimi cinquanta anni. Utile, ma certamente impossibile. E forse sterile. Meglio dimenticare o non sapere. L’accelerazione sociale marcia sempre più velocemente e il passato sembra non essere mai esistito. La prossima uscita è il futuro …
TUTTO IN 50 ANNI
Ho certamente un bel ricordo della mia infanzia, delle atmosfere e dei luoghi dove si è svolta. Ma il mondo di allora era profondamente diverso da quello attuale. E mi è venuta la voglia di tracciare un “amarcord” dei decenni trascorsi dall’ultimo dopo guerra.
A Sarno, in quel tempo, come negli altri paesi di provincia, (specie nel sud), la maggior parte delle case erano tuguri dove alloggiavano 3/5/7 persone. La metà della popolazione non disponeva di acqua corrente in casa che veniva attinta da pozzi o fontane pubbliche. Nelle abitazioni del centro storico (il paese non si era ancora sviluppato a valle) spessissimo mancavano i servizi igienici. Di notte veniva usato il pitale (“ ‘o rinale”) poi svuotato nei vespasiani, (“pisciaturo”), situati nei cortili comuni. A tal proposito aggiungo subito che non c’erano ancora la carta igienica ed altri prodotti per l’igiene intima, particolarmente quella femminile. Quindi i contorni, immaginateli.
Le strade e gli altri spazi pubblici erano una vera palestra di vita, dove ragazzi e giovani tentavano di divertirsi e socializzavano. Si giocava a nascondino, con lo “strummolo” (una specie di trottola), con i tappi delle bottiglie si giocava a fare le “tappe” del Giro d’Italia o del Giro di Francia. Nei tappi si mettevano le teste dei corridori che uscivano a figurine edite dalla casa editrice Panini. I piu’ fortunati avevano il “carritiello”, i pattini o la bici.
C’erano ancora i cavalli a trainare pesanti carri su un selciato dissestato (le auto in paese erano poche decine). Particolarmente d’inverno ci si lavava dopo aver riscaldato l’acqua sul fuoco. Le scarpe si risolavano.Gli indumenti si rammendavano e si passavano dai figli maggiori ai piu’ piccoli. Non c’erano lavatrici e molti andavano a fare il bucato presso i lavatoi pubblici (ahi noi! poi scomparsi anche come testimonianza). Quando faceva freddo per riscaldarsi almeno un poco si usava il braciere alimentato a “cravonelle”.
Col torrido caldo umido sarnese d’estate si scoppiava. I ragazzi piu’ arditi (io ero tra quelli) andavano a fare il bagno nel fiume. Le vacanze estive, intese come andare al mare, erano per quelli che potevano farle, un calvario. La meta era Torre Annunziata raggiunta col treno della Circumvesuviana. Tempo di percorrenza: un’ora, piu’ mezza ora circa a piedi per raggiungere la spiaggia. Stesso calvario al ritorno.
La mia generazione (come le precedenti) è cresciuta con pane e olio, pane e melenzane sott’olio, pane e scarola o, al meglio, pane e mortadella. I cibi cotti avanzati si conservavano (non c’era il frigo) precariamente per il giorno dopo. La discarica pubblica dell’immondizia (“scarricaturo”), ancor prima di quella sulla montagna spaccata in via Bracigliano, era situata in via Matteotti di fronte all’attuale Banco S.Paolo.
C’erano ancora i “signori” e il “volgo”. Questa distinzione di classe demarcava, allora, oltre che la disponibilità di mezzi e la povertà materiale, soprattutto un fortissimo divario d’istruzione. Negli anni che racconto si registrava nella popolazione uno spaventoso tasso di analfabetismo. Tale tenore di vita, cosi’ come succintamente descritto era pressappoco lo stesso di secoli precedenti.
Quelli che oggi hanno 20–30–40 anni quel mondo lo ignorano e forse non ne hanno neppure sentito parlare. Ritengo invece che sarebbe molto interessante e formativo che i giovani ne venissero a conoscenza. Si tratta, in fondo, del mondo dei loro padri o nonni. Un mondo così vicino ma tanto lontano.
Poi il miracolo! Con l’inizio degli anni ’60 s’avviò la rinascita. La scelta politica italiana di aderire al Patto Atlantico portò l’America nelle nostre case e nella nostra mente. Arrivò la TV che contribui’ enormemente a diffondere ed affermare la lingua italiana. Arrivò anche il frigo, la lavatrice, il giradischi col rock and roll, i grandi magazzini e tanto altro. Arrivò il “benessere” e quindi la cultura del consumismo.
Iniziarono a svilupparsi l’edilizia abitativa ed il mercato dell’auto. La società progrediva indiscutibilmente, almeno sul piano dei bisogni primari quali il lavoro, l’istruzione e il cibo. Andavano affermandosi idee di diritti e modelli di emancipazione col coinvolgimento del mondo femminile fino a quel punto tenuto ai margini. I passi avanti compiuti in questi decenni su scala nazionale e mondiale con lo sviluppo tecnologico e le conquiste scientifiche in tutti i campi, comprovano che oggi, per l’effetto, si vive meglio e piu’ a lungo.
Nessuno soffre la fame. Nessuno usa scarpe risolate o abiti rammendati. Abitiamo case decenti accessoriatissime e in massima parte di proprietà. L’igiene pubblica e personale è enormemente cresciuta. Particolarmente l’avvento dell’era del computer, dei telefoni cellulari e Internet offre a tutti, specie ai giovani e in un mondo globalizzato, enormi possibilità, in tutti i campi, appena ieri inimmaginabili.
Senza dubbio tutti questi aspetti meriterebbero una più dettagliata e complessa analisi dei processi di crescita che hanno riguardato la società, con le ovvie implicazioni e scelte di vario tipo che si determinarono anche a Sarno. Ma il mio intento (a parte la nostalgia del tempo andato) è solo quello di dire ai giovani che oggi, nonostante tutto, loro vivono in un mondo migliore.E tutti questi cambiamenti sono avvenuti in 50 anni. Io li ho vissuti.
Postato 6th August 2012 da galloway