Il suicidio della Scuola?

Antonio Gallo
7 min readFeb 6, 2025

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Labparlamento.it

Il fenomeno. Il male di vivere degli insegnanti: uno al mese si suicida (110 dal 2014). Non è una fake news. E’ una verità sconcertante. Mia moglie ed io siamo stati insegnanti di lingua e letteratura inglese per circa quaranta anni. Da venti anni abbiamo lasciato la cattedra, ma non quella della comunicazione. Continuamo a leggere, scrivere, sia in cartaceo che in digitale, viaggiamo per quanto possiamo, continuamo a discutere e litigare. Ci alimentiamo alla fonte di nostro figlio che è entrato nella realtà aumentata, una realtà nella quale si sommano tutte quelle passate: dalla cartacea alla digitale, passando per quella analogica, naviga verso quella artificiale. E’ naturale che la comunicazione cambiasse. Non poteva essere diversamente. Lasciammo la cattedra negli anni a cavallo tra il secondo e il terzo millennio. Ci rendemmo conto che se fossimo rimasti, “non ce la saremmo cavata”. Ricordate quel libro intitolato “Io speriamo che me la cavo”? Noi ce la cavammo e lasciammo. Non è mutata la comunicazione didattica, è radicalmente mutata la comunicazione umana. Leggiamo e insieme riflettiamo quando leggiamo questa notizia:

Un “male di vivere” ancora poco conosciuto e riconosciuto, stante gli stereotipi sociali legati alla figura del docente. Che, ancora oggi, per la maggioranza delle persone è un dipendente pubblico che «lavora quattro ore al giorno e ha tre mesi di vacanza». La realtà, come documenta il lavoro pluridecennale di Lodolo D’Oria, compreso quest’ultimo dossier sui “suicidi degli insegnanti” pubblicato su LabParlamento, quotidiano online di analisi e scenari politici, è tutt’altra e racconta una storia sconosciuta ai più. Già sul finire del 2023, lo specialista aveva reso pubblico un primo, allarmante studio sul fenomeno. Ora, a oltre un anno di distanza, i dati di questa seconda indagine confermano le stesse evidenze di allora, segno che, nel frattempo, il fenomeno dei suicidi tra gli insegnanti non è stato minimamente aggredito. (labparlamento)

Una riflessione che tocca un tema profondamente delicato e cruciale, e che merita di essere esplorato con sensibilità e attenzione. Il suicidio di insegnanti non è una questione da ridurre a statistiche o titoli di cronaca: è il sintomo di un malessere sistemico che investe il ruolo educativo, le condizioni lavorative e il rapporto tra scuola e società. Proviamo a condividere alcune riflessioni, partendo dalla nostra esperienza condivisa per circa un quarantennio, con l’aggiunta di un altro ventennio.

La solitudine dell’insegnante in un mondo iperconnesso. Il paradosso del nostro tempo è che, nonostante la tecnologia abbia moltiplicato gli strumenti di comunicazione, molti insegnanti si sentono isolati. Le relazioni autentiche, basate sull’ascolto e sul dialogo, sono state sostituite da dinamiche superficiali (chat di classe, email frettolose, piattaforme impersonali).

Il sovraccarico emotivo. L’insegnante è sempre più un mediatore tra studenti, genitori, burocrazia scolastica e aspettative sociali. La mancanza di confini tra lavoro e vita privata (es. rispondere a messaggi alle 22:00) logora.

La perdita di autorevolezza. In una società che spesso sminuisce il ruolo dei docenti, riducendoli a “fornitori di servizi”, lo smarrimento identitario può diventare insostenibile. Una volta la scuola era il tempio del sapere. Oggi è quello della contestazione.

La rivoluzione digitale e lo spaesamento generazionale. Passare dalla didattica analogica fatta di gesso, lavagna, fotocopie, libri, radio, giradischi, diapositive e lezioni frontali a quella digitale e in assenza, il cambiamento non è solo tecnologico, ma culturale, una vera e propria mutazione mentale.

Competenze non riconosciute. Molti insegnanti per età o per altre ragioni si sentono marginalizzati da un sistema che premia la padronanza di strumenti che non conoscono e che cambiano da un momento all’altro. Spesso fanno il loro lavoro senza avere un formazione adeguata e altrettanto spesso non sanno quello che stanno facendo.

Il conflitto tra profondità e velocità. Insegnare letteratura o qualsiasi altra disciplina, in lingua madre e soprattutto in lingua straniera, richiede tempo, riflessione e immersione. Oggi gli studenti (e spesso anche le istituzioni) cercano risposte immediate, in contrasto con il valore della lentezza critica che ogni sapere richiede.

La scuola diventa lo specchio di un disagio collettivo. Il malessere degli insegnanti non è isolato. Riflette una crisi più ampia del patto educativo.
Genitori assenti o iperprotettivi. Da un lato, famiglie che delegano alla scuola ogni responsabilità educativa e cognitiva; dall’altro, genitori che contestano ogni valutazione, minando la fiducia nel docente.

La retorica del “merito” senza risorse. Si chiede alla scuola di colmare divari sociali, inclusività e innovazione, ma senza investimenti strutturali. Gli insegnanti diventano funamboli tra ideali e realtà sempre più mutevoli ed instabili. Spesso anche inaffidabili. Cosa si può fare? C’è bisogno di una cultura diversa per osservare, conoscere e affrontare il mondo di fuori.

Per invertire questa deriva, servono azioni concrete a più livelli. Supporto psicologico istituzionale. Sportelli di ascolto dedicati ai docenti, non solo agli studenti. Ridare senso alla professione. Valorizzare il ruolo sociale degli insegnanti attraverso campagne pubbliche che li facciano diventare figure sociali rispettate e affidabili.

Riformare la formazione. Meno burocrazia, più spazio alla pedagogia collaborativa e alla gestione dello stress. Una comunità educante che coinvolga famiglie, istituzioni e territorio per ricostruire un’alleanza educativa, anziché lasciare i docenti soli sul fronte di una realtà che corre più veloce della luce quotidiana.

Quella che fu la nostra esperienza quarantennale è un patrimonio che non deve essere considerato obsoleto. Abbiamo visto mutare linguaggi, valori e generazioni. Parlare di questi temi, anche nella loro durezza, è già un atto di resistenza. Forse la letteratura che abbiamo insegnato può offrire metafore per comprendere il presente: come i personaggi di Beckett o Eliot, gli insegnanti oggi navigano in un “deserto che cresce”, ma è proprio in questi spazi aridi che si piantano semi di senso.

La speranza è che, rompendo il silenzio, si possa trasformare la fatica del comunicare in una chiamata collettiva alla responsabilità. Perché una società che non protegge i suoi insegnanti, alla fine, tradisce se stessa. Vediamoli più dettagliatamente questi cambiamenti.

Gli ultimi cinquant’anni (1970–2020) hanno visto trasformazioni sociali radicali, accelerati da una globalizzazione che può improvvisamente rivelarsi impossibile, difficile o addirittura pericolosa. Tutto sempre scorrere e passare come l’acqua. Ma l’acqua non è mai la stessa. Capire ed affrontare la legge del cambiamento. Ecco una sintesi dei più evidenti, sia in Italia che nel resto del mondo, con un focus sulle interdipendenze tra locale e globale:

La rivoluzione digitale e l’iperconnessione. Dal telefono fisso allo smartphone: L’avvento di internet (anni ’90), dei social network (2004-oggi) e degli smartphone (dal 2007) ha ridefinito comunicazione, relazioni e accesso al sapere.

In Italia: Nel 1983, solo il 42% delle famiglie aveva un telefono fisso; oggi il 97% ha uno smartphone. Globale: I social media hanno creato nuove forme di comunità (e solitudine), mentre l’informazione è diventata immediata ma frammentata (fake news, polarizzazione). Lavoro e educazione: Didattica a distanza, smart working, gig economy (es. Uber, Foodora) hanno cambiato il concetto di tempo, spazio e stabilità.

Globalizzazione e crisi delle identità locali. Economia senza confini. Delocalizzazioni industriali (es. Cina), mercato unico europeo (1993), e-commerce (Amazon, Alibaba). In Italia: declino della piccola industria (es. distretti tessili) e crisi del Made in Italy contrapposto alla delocalizzazione.
Globale: aumento delle disuguaglianze (il 1% più ricco possiede il 38% della ricchezza mondiale, Oxfam 2023).

Cultura omologata vs. tribalismo: Da un lato, dominano modelli globali (Hollywood, K-pop); dall’altro, riemergono nazionalismi (Brexit, sovranismi) e micro-identità (subculture online, LGBTQ+). Cambiamenti demografici e familiari. Invecchiamento della popolazione. Italia: il tasso di fertilità è crollato a 1,24 figli per donna (2023), mentre gli over 65 sono il 24% della popolazione. Globale: Giappone ed Europa affrontano crisi pensionistiche. L’Africa subsahariana ha il 50% under 18.

Nuovi modelli familiari. Divorzi aumentati (in Italia, dopo la legge del 1970, oggi 1 matrimonio su 3 finisce in divorzio). Famiglie arcobaleno, singlehood scelta, genitorialità tardiva. Migrazioni e multiculturalismo. L’Italia da paese di emigranti a destinazione del mondo. Negli anni ’80, l’Italia era terra di emigrazione; oggi ha 5,3 milioni di stranieri residenti (ISTAT 2023). Sfide di integrazione (scuola, periferie) e tensioni politiche (decreti sicurezza, razzismo).

Crisi globali e profughi. Dagli anni ’90: guerre (Jugoslavia, Siria), cambiamenti climatici, povertà. Nel 2023, 110 milioni di sfollati nel mondo (UNHCR). Sessualità, genere e diritti. Rivoluzione femminista e LGBTQ+. Italia: legge sul divorzio (1970), aborto (1978), unioni civili (2016). Restano divari salariali e violenza di genere (femminicidi). Globale: Matrimoni gay legali in 34 paesi (dal 2001), movimento #MeToo, diritti trans.

Crisi del patriarcato. Meno ruoli rigidi, ma persistono stereotipi (es. “soffitto di cristallo”). Crisi ambientale e coscienza ecologica. Dai primi allarmi agli scioperi climatici. Dagli anni ’80 (protocollo di Kyoto, 1997) a Greta Thunberg e Fridays for Future. In Italia: alluvioni, siccità e mobilitazione giovanile. Transizione (troppo lenta). Energie rinnovabili vs. dipendenza da fossili, consumo di suolo, plastica negli oceani.

Crisi della politica e ascesa del populismo. Fine delle grandi ideologie. Crollo del Muro di Berlino (1989), tangentopoli (1992), declino di partiti tradizionali (DC, PCI in Italia). Globale: ascesa di leader populisti (Trump, Bolsonaro, Meloni) che sfruttano paure (immigrazione, precarietà). Sfiducia nelle istituzioni. In Italia, il 65% dei giovani non si fida del Parlamento (dati Censis 2023). Globale. Proteste come gli Indignados, Black Lives Matter, gilet gialli.

La scuola e il sapere in transizione. Dalla carta al digitale. Gli insegnanti sono passati dal libro di testo a enciclopedie digitali, dalle lezioni frontali alla DAD e alla Intelligenza Artificiale, in attesa di quella Aumentata. Gli effetti collaterali. Disattenzione cronica, competizione digitale, artificiale e aumentata. Meritocrazia vs. disuguaglianza. L’università è più accessibile, ma il divario Nord-Sud (in Italia) o tra paesi ricchi/poveri (globalmente) resta drammatico.

Salute e pandemia (2020–2023). COVID-19 come spartiacque. Ha accelerato smart working, isolamento sociale, sfiducia. In Italia: oltre 190.000 morti e un trauma collettivo, specie per i giovani. Salute mentale emergenza: ansia e depressione in aumento (+30% tra i teenager post-pandemia — OMS 2023).

Italia vs. Mondo: Specificità a confronto.Tema Italia Globale. Demografia. Crisi natalità, fuga di cervelli. Africa giovane, Occidente che invecchia
Economia Stagnazione, debito pubblico (145% PIL) Ascesa della Cina, crisi del neoliberismo. Cultura. Tradizione vs. innovazione (es. Cinema). Dominio anglofono, K-pop, Bollywood. Politica. Instabilità governativa (67 governi dal ’45). Polarizzazione USA, autoritarismi (Russia, Turchia)

Un mondo liquido (Bauman) e la ricerca delle radici. I cambiamenti descritti hanno reso la società più complessa, veloce e insicura. La sfida è conciliare innovazione e valori sia umanistici che scientifici. Navigare in questo caos, per conoscere la propria identità e acquisire i necessari strumenti per vivere diventa una continua sfida che non ha nulla di nuovo ma ha il sapore dell’antico.

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Written by Antonio Gallo

Nessuno è stato mai me. Può darsi che io sia il primo. Nobody has been me before. Maybe I’m the first one. Nulla dies sine linea.

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