Il sonno della ragione genera mostri. Era il 18 agosto 1634
L’opera che esprime la fede illuminata di Goya nel valore della ragione, insidiata dai mostri dell’irrazionale. “Il sonno della ragione genera mostri”, (1797–98), Acquatinta e Acquaforte, cm 23×15,5 cm, Biblioteca National de Espana, Madrid. Francisco Goya ci indica il significato della sua opera: “La fantasia priva della ragione genera mostri impossibili: unita a lei è madre delle arti e origine di meraviglie. Quando gli uomini non ascoltano il pianto della ragione, tutto muta in visione“. La sua scelta “illuminista” depreca l’oscurantismo e dichiara che le superstizioni e l’assenza di autonomia di pensiero porterà gli uomini ad uno stato di brutalità e di paura. La ragione si unisca alla fantasia in un intimo connubio tra l’estro creativo e la razionalità. L’opera rappresenta una denuncia dell’oscurantismo, delle superstizioni, delle paure a non perdere mai il controllo della propria coscienza critica per non essere inghiottito dal buio della irrazionalità.
È il 18 agosto del 1634 quando Urbain Grandier, canonico di Loudun, sale sul rogo. Prete colto e anticonformista, famoso per l’oratoria trascinante, ma anche per le abitudini libertine, intreccia varie relazioni con le sue parrocchiane, seduce una giovinetta di buona famiglia dalla quale ha anche un figlio e che abbandona, si innamora di Madeleine de Brou e la sposa con un rito segreto in cui svolge il triplice ruolo di officiante, testimone e sposo.
Ma il suo nome è per sempre legato a quello che possiamo definire il più famoso caso di possessione demoniaca della storia, di cui fu l’involontario motore. La badessa del locale monastero delle Orsoline, suor Jeanne des Anges, inizia ad accusare terrificanti visioni notturne, opera di creature diaboliche alleate del canonico, che la possiede carnalmente attraverso di esse, e tali visioni coinvolgono progressivamente tutte le suore, che invano vengono sottoposte a esorcismi di ogni tipo: si contorcono, si strappano le vesti, pronunciano oscenità e orrende bestemmie, corrono seminude sui tetti o si arrampicano sugli alberi.
Grandier viene processato e assolto, ma la sua posizione di contrasto al carcardinale Richelieu, deciso ad abbattere le fortificazioni di Loudun contro la volontà dei cittadini, lo perderà. Chiamato nuovamente in giudizio davanti a un tribunale a lui pregiudizialmente ostile, è riconosciuto colpevole di stregoneria e patto con il diavolo. Barbaramente torturato non confessa, ma viene ugualmente condannato a morte.
Una ricostruzione accurata della vicenda la compie Aldous Huxley nel romanzo-saggio I diavoli di Loudun (1952). Alla luce delle nostre conoscenze scientifiche la possessione del convento delle Orsoline appare come un caso di isteria collettiva.
La superiora, forse invaghitasi del canonico per la sua fama di seduttore, gli aveva offerto la direzione spirituale della comunità di monache, ricevendone un rifiuto.
La delusione e il desiderio di rivalsa, sfruttato abilmente dal confessore, nemico del Grandier, avrebbero innescato i sintomi isterici che, attraverso il contagio della suggestione, si sarebbero estesi a tutte le suore.
La vicenda risale al XVII secolo, ma «i diavoli di Loudun» dovevano fare ancora notizia… e vittime. Nel 1971 il film I diavoli, ispirato al libro di Huxley, regia di Ken Russell, presentato a Venezia, fu accusato di blasfemia e ne venne immediatamente ordinato il sequestro, fino alla sentenza assolutoria da parte della Cassazione.
Della serie: Almamatto. Un matto al giorno. 365 tipi strani (+1) che hanno cambiato il mondo