Antonio Gallo
5 min readFeb 28, 2024

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Fatti Nostri

Il significato di ogni cosa lo si trova certamente in quelle che molti chiamano “coincidenze significative”. La vita ne è piena e chi scrive ha avuto modo di sperimentarle e scriverne diverse volte, come in questa occasione. Oggi me la dà il grido di allarme che si rileva dal titolo di questo “urlo” con il quale una rivista online ha titolato la notizia. Che poi tanto nuova non è. Si tratta della solita, preannunciata, prevista, verificata e sopportata invasione della lingua inglese.

Mentre leggevo questa notizia avevo tra le mani un libro di cui vedete la copertina qui sotto. Il titolo mi pare abbastanza eloquente per parlare di una lingua considerata dominante non solo in Italia.

Argomento vecchio che si manifesta in varie forme linguistiche: anglomania, anglofobia, italianismi, anglicismi e via discorrendo. Stereotipi, modi di dire, male lingue, pregiudizi. Non voglio essere considerato un anglofilo, anglomane, un anti-italiano e altre fantasie del genere.

Me le hanno affibbiate in diverse situazioni. La verità è che io mi sento non un italiota, come purtroppo sono tanti miei egregi connazionali. Sono sempre e sopratutto un Italiano vero, alla maniera di Cotugno, e me ne vanto.

Mi rendo conto che, essendo parte in causa, posso facilmente essere accusato di parlare di un argomento quale la lingua inglese, con tanto di “conflitto di interesse”. Non solo per me ma anche per mia moglie, mio figlio e successori …

Se lo faccio non è tanto per contraddire quello che ha scritto l’Accademia della Crusca. Ne’ tantomeno il pensiero di un intellettuale e storico quale Giordano Bruno Guerri che ci ha scritto sopra un articolo pubblicato in prima pagina. Ci sono stati diversi interventi sulla stampa nei quali tutti hanno avanzato il rischio nel nostro Paese del pericolo addirittura della scomparsa della nostra lingua nazionale.

Si parte dall’università lanciando corsi di studio esclusivamente in lingua inglese per gradualmente imporre lo stesso sistema ai licei e altri istituti superiori fino alla scuola secondaria e primaria. Così facendo la lingua italiana sarà destinata scomparire, si affermera’ il monolinguismo inglese.

Un effetto valanga, scrive addirittura Giordano Bruno Guerri, in meno di un secolo la lingua italiana si userà solo in famiglia, al bar, con gli amici come avviene con i dialetti. L’italiano diventa il dialetto, l’inglese la prima lingua. Onestamente mi pare una vera e propria scemenza. Sfugge la realtà delle cose a chi fa questo tipo di critica circa corsi di studio universitari svolti interamente in lingua inglese.

Il fatto è che il vero non detto intento è quello di attirare studenti anglofoni, cioè di lingua inglese, (e sono miliardi su questo pianeta!), stranieri con i soldi, pronti a venire a studiare in Italia, specialmente in corsi dedicati alla storia dell’arte, del turismo, e di tutte quelle altre arti per le quali il nostro paese è famoso nel mondo.

Solamente studiando in una lingua universale quale l’inglese potranno avere la possibilità di conoscere “il significato di ogni cosa”.

Questo libro racconta la storia di come è nato il famoso Oxford English Dictionary. Possiamo anche dire, senza timore di essere smentiti, che di tutte le lingue del mondo (circa 2700), l’Inglese è quella con il vocabolario più ricco: circa 500.000 parole (il tedesco ha “solo” circa 185.000 parole, l’Italiano 150.000 e il Francese 100.000). Ecco come si spiega il titolo del libro: “il significato di tutto” te lo dà questa lingua che continua a “conquistare” il mondo. Per me è un verbo errato, non è più solo la lingua della perfida conquistatrice Albione, per chi si ricorda di lei. Di tante realtà e diversità è fatto questo idioma, per quante facce ha la realtà dell’essere umani.

“La progressiva eliminazione dell’italiano dall’insegnamento universitario (come pure dalla ricerca) in vista di un futuro monolinguismo inglese costituisce, come ha osservato anche la European Federation of National Institutions for Language, un grave rischio per la sopravvivenza dell’italiano come lingua di cultura, anzitutto, ma anche come lingua tout court, una volta privata di settori fondamentali come i linguaggi tecnici e settoriali”. E’ l’allarmata preoccupazione che l’Accademia della Crusca, tramite il suo presidente Paolo D’Achille, professore ordinario di Linguistica Italiana al Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Roma Tre, rivolge alla ministra dell’Università e della Ricerca Scientifica, Anna Maria Bernini.

A tale segnalazione ha fatto seguito una lunga serie di mail con richieste di intervento, pervenute anche da operatori turistici. “Nella sua veste di istituto statale che ha tra i propri compiti istituzionali quello di promuovere e tutelare lo studio della lingua italiana”, l’Accademia della Crusca ha deciso di far sentire la sua voce con una lettera aperta indirizzata alla ministra Bernini e al Magnifico Rettore dell’Università degli Studi Alma Mater di Bologna, Giovanni Molari.

“Il corso in inglese è un corso triennale e tra gli obiettivi di tutti i corsi di laurea triennale, di qualunque classe, figura, per legge, quello che chi consegue il titolo abbia un pieno possesso dell’italiano; come può essere assicurato questo obiettivo da un corso ‘la cui didattica si svolgerà interamente in lingua inglese’, come è specificato sul sito dell’Alma Mater? — si chiede il presidente dell’Accademia della Crusca — Esiste una esplicita sentenza della Corte costituzionale che, pur ammettendo e anzi promuovendo la didattica in inglese, richiede espressamente che la lingua italiana non venga estromessa del tutto da ogni corso di studi, tanto che anche il Politecnico di Milano, che prevedeva corsi (peraltro magistrali e non triennali) interamente in inglese, ha tenuto almeno parzialmente conto di tale sentenza inserendo qualche insegnamento (pur se secondario e/o opzionale) in italiano. Come è possibile che tale sentenza venga ignorata?”.

Paolo D’Achille, infine, sottolinea che il titolo del corso, “Economia del turismo nella dismessa intitolazione italiana, Economics of Tourism and Cities in quello inglese, parla di turismo ed è verosimile pensare che ci si riferisca a quello che ha per oggetto l’Italia, le sue città, il suo incomparabile patrimonio di beni naturali, artistici, archeologici, storici e culturali. Possibile che in questo quadro la lingua italiana sia tagliata del tutto fuori? Ma i nomi delle città, degli artisti, delle opere, dei musei, non sono ancora in italiano?”. A queste domande l’Accademia della Crusca attende ora le risposte dalla ministra Bernini e dal rettore Molari.

adnkronos.com

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Nessuno è stato mai me. Può darsi che io sia il primo. Nobody has been me before. Maybe I’m the first one. Nulla dies sine linea.

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