Il potere delle parole: la parola “PO”

Antonio Gallo
3 min readMay 21, 2024

Anche le parole possono “provocare”. Anzi, se ci fate caso, sono sempre le parole che provocano discussioni, scatenano litigi e problemi vari, persino guerre. Non a caso, in principio era il “Verbo”, con tutte le conseguenze del caso. Carlo Levi ha scritto che le parole sono pietre. Io penso che le parole sono come gli eventi, fanno delle cose, cambiano le cose. Trasformano sia chi le dice che chi le ascolta, trasmettono energia, soddisfano la comprensione e le emozioni e le amplificano.

In un libro pubblicato nel 1977, Edward de Bono, il padre del pensiero creativo e l’inventore del pensiero laterale, tra le 265 parole prescelte che hanno una loro forza creativa, ne inventò una che non conoscevo: è una parola breve, appena un monosillabo: “PO”. Va detto che tutte le parole di cui parla de Bono sono parole inglesi che in quasi mezzo secolo si sono diffuse e trasferite in tutte le lingue. Lo studioso maltese le analizza in maniera molto sintetica. Provengono da vari campi quali l’economia, la tecnica, le scienze. Tutte sono viste come un potente strumento di espressione a condizione che vengano usate con precisione.

La parola di cui intendo parlare qui non sembra avere avuto molto successo, non come quella del “pensiero laterale” che è entrata a far parte dell’ Oxford English Dictionary, la bibbia della lingua inglese. Lo scrittore maltese afferma che come la parola “NO” è la parola operativa del pensiero logico, alla stessa maniera la parola “PO” lo è del pensiero laterale. Essa deriva da parole come “ipotesi”, “possibile”, “supporre”, “poesia”.

Con “ipotesi” avanziamo la proposta di una idea in modo da fare un esperimento; con “possibile” qualcosa che pensiamo possa essere fatto; con “supporre” avanziamo l’idea di una situazione in maniera di vedere gli effetti che ne deriveranno; con “poesia” mettiamo insieme immagini e parole per produrre un effetto che può essere soltanto apparente, dopo avere messo insieme le immagini. In ogni caso e situazione del genere c’è un uso “provocatorio” di idee. Ecco l’uso della parola “PO”.

Nel pensiero laterale può non esservi una ragione per dire qualcosa fin tanto che non venga detto. Nel pensiero logico questo non è possibile: la ragione per dire qualcosa deve precedere la dichiarazione. Ma nel mondo delle percezioni possiamo dovere usare una provocazione per dare vita ad un modello di comportamento. Quando abbiamo usato la provocazione, usando il nuovo modo di guardare le cose, il nuovo modello apparirà chiaro.

“PO” serve da indicatore per far vedere che si usa l’idea come provocazione non come una descrizione logica basata sull’esperienza. Ad esempio: per risolvere l’inquinamento di un fiume potremmo dire “PO”, vale a dire la fabbrica dovrebbe ricevere l’energia dalla sua stessa corrente che inquina. Una dichiarazione per niente logica, ma provocatoria. La provocazione viene dall’idea che le fabbriche, le industrie dovrebbero, per legge, essere alimentate dalla stessa corrente del fiume che inquinano di modo che esse potrebbero rendersi conto di quello che scaricano nel fiume.

La parola “PO” viene quindi usata come strumento per demodellare, mettendo insieme idee che provocano, per vedere quello che accade. Significa interrompere il modello in uso, lo schema impiegato. In una discussione, in un dibattito, la parola “PO” proposta da una parte sta a significare che si sostiene la possibilità di accettare quella proposta da un diverso punto di vista e non rigettare completamente l’altra posizione. Altre vie di uscita: per la soluzione di un problema, che altrimenti finisce come in un “collo di bottiglia” in un classico “deadlock”, il “punto morto”.

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Antonio Gallo

Nessuno è stato mai me. Può darsi che io sia il primo. Nobody has been me before. Maybe I’m the first one.