Il paese più caotico al mondo

Antonio Gallo
7 min readApr 24, 2022

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Nigeria

Fin dalla sua indipendenza dal Regno Unito nel 1960, la Nigeria è vissuta in uno stato di crisi permanente. Il collante per questo paese, diviso ma con «l’ossessione dell’unità nazionale», è stata la dipendenza dal petrolio, che ha però eroso istituzioni e sviluppo economico-sociale e portato corruzione, colpi di stato, disastri ambientali. Sotto molti aspetti l’arrivo della democrazia, nel 1999, non ha migliorato le cose: si stima che cento milioni di nigeriani, la metà della popolazione, vivano sotto la soglia di povertà. Soprattutto, è la violenza diffusa a dipingere un quadro sconfortante: dai terroristi di Boko haram ai nuovi movimenti secessionisti armati, fino alla piaga dei rapimenti, che miete sempre più vittime e può colpire chiunque. Come si vive in un paese in cui lo stato è, nel migliore dei casi, assente? In cui manca la corrente sei mesi all’anno, la sanità e l’istruzione pubbliche sono inesistenti e l’esercito, schierato in ognuno dei 36 stati che formano la federazione, non riesce a contenere la violenza? In questo quadro l’unica società possibile è quella del «fai da te», che germoglia dove e come può. Non appena nasce il minimo barlume di opportunità, i nigeriani sfoderano tutto il dinamismo e l’imprenditorialità repressi, e inventano: app finanziarie per ovviare all’inaccessibilità del sistema bancario, una rivoluzione energetica solare per rendersi autonomi dalla rete elettrica pubblica (ma anche metodi artigianali — e inquinanti — di raffinare il petrolio), e-commerce su Instagram per vendere afrodisiaci tradizionali, film a budget ridottissimo, libri e musica che riscuotono successi in tutto il mondo. Nessun altro paese del continente africano è permeato dalla stessa vivacità. E mentre la generazione dei generali che ha vinto la guerra civile e governato il paese per sessant’anni è ormai agli sgoccioli, il rifiuto di sempre più giovani di voltarsi dall’altra parte davanti all’ingiustizia e alla violenza (di stato e non) apre spiragli di speranza: forse le forze più vitali riusciranno a prendere in mano il futuro del paese. E, come sono abituate a fare, ad aggiustarlo.

Il Libro

La lettura della recensione di questo libro mi ha riportato alla mente il lavoro che feci sulla Poesia del Mondo diversi anni fa. Una sorta di antologia nella quale tutti i paesi del mondo venivano rappresentati da una poesia. 196 poesie in lingua inglese per 196 paesi del pianeta Terra, ognuna di esse tradotta e commentata da me sul blog. Era un progetto editoriale cartaceo rimasto in versione di digitale free-access. Questo volume entra nel continente africano raccontando la complessità di un luogo dove convivono niente di meno che 300 gruppi etnici e più di 520 lingue.

Lo Stato è assente e l’arte di arrangiarsi raggiunge vertici di perfezione.
C i sono alcuni luoghi al mondo così stratificati, intricati, complicati, che il cervello ne è sopraffatto e dispera di potervisi anche solo orientare. Uno di questi posti soverchianti è la Nigeria, Paese che tanto stordisce e respinge, tanto ammalia. Non poteva che partire da qui il primo volume africano della bella collana «The Passenger» di Iperborea, che con inchieste, reportage letterari, saggi narrativi e dati economici cerca di restituire un racconto sfaccettato, eclettico e aggiornato di come si vive oggi in alcuni Stati o città.

Ben si adatta a questo Paese caotico, multiforme e in continua mutazione la narrazione polifonica fatta di testimonianze di giornalisti locali o internazionali, dello storico Max Siollun, della giurista-romanziera Cheluchi Onyemelukwe e di alcuni dei più famosi scrittori nigeriani delle ultime generazioni — dalla celeberrima Chimamanda Ngozi Adichie a A. Igoni Barrett, a Noo Saro-Wiwa, figlia di Ken, l’autore di Sozaboy che il dittatore Sani Abacha fece impiccare per essersi schierato in difesa dell’ambiente e del suo popolo, gli ogoni, minacciati dalle estrazioni petrolifere della Shell. Mancano invece, in questa narrazione concentrata sul presente, i maestri del passato, Chinua Achebe in primis, la cui opera è, fra l’altro, uno straordinario documento storico e antropologico dell’era coloniale e precoloniale.

La Nigeria è uno degli Stati con la maggior varietà etnica e linguistica del Pianeta: vi si contano oltre 300 popolazioni diverse e più di 520 lingue. Gli abitanti si dividono equamente tra musulmani e cristiani, a loro volta divisi in vari culti con un sincretismo religioso diffuso. Le molte spaccature etniche, linguistiche, religiose, sociali sono tali che John Paden, professore emerito di Studi internazionali alla George Mason University, lo ha definito «il Paese più complicato al mondo». Un Paese ossessionato dall’unità, specialmente dopo la guerra del Biafra, «che ha portato a una gestione su quote etniche della società e che esiste ormai quasi esclusivamente per spartire il denaro e posti di lavoro», scrive Siollun.

Un Paese in cui lo Stato è, nel migliore dei casi, assente. In cui, nonostante sia fra i maggiori esportatori di petrolio al mondo, manca la corrente per sei mesi l’anno e la gente s’arrangia con mini-generatori, pannelli solari e carburanti raffinati in casa, dove la sanita? e l’istruzione pubbliche sono inesistenti, dove, anche a Lagos, per avere l’acqua le persone sono costrette a scavarsi pozzi in cortile, e l’esercito, schierato in ognuno dei 36 Stati della federazione, non riesce a contenere la violenza, anzi, ne è esso stesso promotore. In cui l’unica societa? possibile e? quella del «fai da te», che germoglia dove e come puo?, in un trionfo di ingegnosità, anche criminale, e frustrazione.

In questo caos supremo «ogni famiglia è uno stato a sé, dicono i nigeriani: un detto che offre la chiave di lettura perfetta di un Paese che racchiude un universo a sé stante», scrive la giornalista olandese Femke van Zeijl. Un universo che Adichie non smette mai di scrutare: «È l’architettura vivente di Lagos a emozionarmi di più. Per una romanziera non esiste osservatorio migliore del genere umano. La domenica, quando le strade non sono intasate di traffico, mi piace farmi portare in giro in macchina, senza meta, solo per guardare la città». Una megalopoli di 23 milioni di abitanti in quello che è il Paese più popoloso dell’Africa, con i suoi 140 milioni di giovani sotto i 35 anni su 200 milioni di cittadini.

La giornalista Maite Vermeulen racconta Benin City, città abitata da un milione mezzo di persone da dove però proviene più del 50% dei nigeriani emigrati nell’Unione europea, città che vive della prostituzione delle sue donne all’estero, dove è possibile essere insieme trafficante e vittima. Un’analisi degli effetti delle politiche per contrastare l’immigrazione illegale mostra che non portano a una riduzione del fenomeno, ma solo a un rialzo del prezzo per i migranti, a una crescita dei profitti per i trafficanti, all’adozione di percorsi più pericolosi e alla creazione di legami più stretti con il crimine organizzato; che «quando l’Europa usa le sue categorie ristrette per ideare nuove politiche migratorie, il sistema criminale diventa ancora più spietato. Negli ultimi anni è quasi impossibile per le donne sfruttate ripagare i loro debiti, perché il costo del viaggio è altissimo (da 15–20mila euro si è passati a 35mila per il viaggio attraverso il Sahara e il Mediterraneo e a 60–70mila per l’aereo)».

Disperanti anche i reportage dal Nord, terra arcaica, soggiogata dall’ignoranza e da un fanatismo e fatalismo religioso. Un luogo dove i rapimenti sono quotidiani e il banditismo, che non è solo Boko Haram, «si sta espandendo in tutti i territori, come un’industria, e noi siamo costretti in un angolo — afferma Abdulkareem Baba Aminu, giornalista scampato a uno di questi attacchi che rendono insicure molte importanti strade e città settentrionali: «Quando saremo tutti prigionieri, chi pagherà il nostro riscatto?» si chiede amaramente.

Nel mio lavoro che ho ricordato innanzi, un anonimo poeta fu scelto a rappresentare la Nigeria. Sono noti già dal quindicesimo secolo i primi contatti fra l’odierna Nigeria e l’Europa. Il Portogallo, all’epoca una delle maggiori potenze europee, giunse alle coste nigeriane già nel 1472. Durante il diciassettesimo secolo l’influenza portoghese è stata sostituita in primo luogo dai Paesi Bassi, in seguito dalla Francia e infine dal Regno Unito. Il Regno Unito diventò la potenza principale nell’ovest dell’Africa monopolizzando il commercio di schiavi, pepe, avorio e perle.

Nel 1902 la Gran Bretagna assunse definitivamente il potere in Nigeria, affidandolo a re e capi locali che manteneva però sotto il proprio controllo. Finito il periodo coloniale, la Nigeria ottenne l’indipendenza nel 1960 dopo grandi lotte. Le risorse petrolifere del Paese furono anche causa di frequenti conflitti per il potere. Shehu Shagari fu nominato presidente nel 1979 e cercò di instaurare un governo democratico, ma il tentativo ebbe fine dopo appena quattro anni. I governi successivi, dal 1983 in poi, sono stati caratterizzati da gravi carestie, disoccupazione e corruzione. La poesia scelta a rappresentare questo Paese è molto delicata ed è dedicata ad una ragazza senza nome come il suo autore.

Bloom-Girl
now
you are
a mirror
that the sun
should never
see
a lamb
that the leafdrip
should never
touch
a breath
wound with
hair
a rushlight
that men
see looking
by
a kite-feather
that one man
will
wear
a straight line
drawn
by God.
— — — — -
Ragazza in fiore
ora
tu sei
uno specchio
che il sole
non dovrebbe
mai vedere
un agnello
che la foglia
che cade
non dovrebbe
mai toccare
una ferita di
sospiro
con un capello
un lampo di luce
che gli uomini
vedono
guardando
alla luna
che gli uomini
vedono
sperando
alla piuma di
un aquilone
che un uomo
farà sua
una linea dritta
tirata da Dio.
.
Postato 14th February 2012 da galloway

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Antonio Gallo
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Written by Antonio Gallo

Nessuno è stato mai me. Può darsi che io sia il primo. Nobody has been me before. Maybe I’m the first one. Nulla dies sine linea.

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