Il mito di Salgàri
Lo scrittore “matto” che nasce il 21 agosto 1862 non era presente nella piccola biblioteca personale di mio Padre, accanito lettore appartenente ad una famiglia di stampatori tipografi editori.
Anche se la pronuncia “Sàlgari”, con l’accento sdrucciolo, è indubbiamente diffusa, essa è scorretta. Si tratta, infatti, di un cognome fitonimico, derivante cioè dal nome di una pianta: il salgàro è in veneto il salice.
Emilio Salgari non trovò spazio per mio Padre che amava le letture difficili. C’era di tutto e di tutti su quei tre scaffali di quel mobile finito in garage come raccoglitore di ogni sorta di memorabilia del tempo.
Lui diceva quel nome con l’accento sulla prima sillaba e soleva dire che Sàlgari era per chi cercava di evadere dalla realtà, galoppando sulle ali della fantasia invece di andare a lavorare.
Forse da queste premesse possiamo partire per ricordare lo scrittore che scrisse circa 200 libri sui misteri della “Giungla Nera in Piemonte”.
I misteri della Giungla Nera in Piemonte Paesi lontanissimi e favolosi, personaggi esotici e animali feroci, donne bellissime e misteriose: Sandokan, Yanez, La perla di Labuan, il Corsaro Nero, i sanguinari Thug, Tremal-Naik… hanno fatto sognare generazioni di giovani lettori. Tutto frutto della fantasia di Emilio Salgari, che scriveva di terre lontane con la precisione e la cura dei particolari di chi quei luoghi li sente suoi.
E invece non si era mai mosso dall’Italia, ma aveva viaggiato con la fantasia sulle carte geografiche e si era documentato divorando libri e dizionari. La sua produzione fu impressionante: ottanta romanzi più i racconti, per un totale di oltre 200 opere. Il prezzo per questa mole di scritti fu uno stress enorme. Salgari scriveva tantissimo per contratto, ma, nonostante il successo di pubblico e i riconoscimenti, non venne apprezzato dalla società letteraria, né divenne ricco, pur facendo arricchire i suoi editori.
Lavorava a ritmi forsennati per riuscire a mantenere la famiglia, ma non si liberò mai dai problemi economici, fumava e beveva molto, sicuramente troppo. L’inclinazione all’alcol, pare, era comune alla moglie, l’attrice Ida Peruzzi, con cui ebbe quattro figli. Soffriva di insonnia, di depressione e di attacchi di panico e i ritmi di lavoro peggioravano la situazione. La moglie si era completamente dedicata a lui, ma nel 1903 iniziò a soffrire di disturbi mentali non meglio definiti.
Secondo alcuni si trattava di «erotismo esagerato», secondo altri di problemi legati all’alcol, fatto sta che, il 19 aprile 1911, dopo anni di cure costose, fu ricoverata nel Regio Manicomio di Torino, dove rimase fino alla morte. Già due anni prima lo scrittore aveva tentato il suicidio, fallendo. Dopo il ricovero di Ida l’idea torna a riaffacciarsi alla sua mente. D’altra parte il suicidio gli era familiare: molti anni prima suo padre, convinto di avere un male incurabile, era morto gettandosi dalla finestra.
Il 25 aprile 1911 Salgari lascia sul tavolo tre lettere, ai figli, ai suoi editori e ai direttori dei giornali, e va sulle colline, in una zona dove di solito si recava per un picnic con la famiglia. Lì si toglie la vita, come avrebbe potuto fare uno dei suoi esotici personaggi, sventrato con un rasoio e con la gola tagliata. Anni dopo, due dei suoi quatquattro figli — Romeo e Omar — finiranno anch’essi suicidi. Un destino degno di una tragedia greca.
“A voi che vi siete arricchiti con la mia pelle, mantenendo me e la mia famiglia in una continua semi-miseria od anche di più, chiedo solo che per compenso dei guadagni che vi ho dati pensiate ai miei funerali. Vi saluto spezzando la penna.” (Dalla lettera agli editori)